Cuore del Sahel
La siccità ha compromesso il raccolto, e lo spettro della fame aleggia sul piccolo villaggio nascosto tra le montagne dell’estremo nord del Camerun. I miliziani di Boko Haram sono sempre più vicini, e cresce la paura per la violenza estrema che quegli uomini, nel nome di un Dio, stanno seminando ad ogni incursione. Faydè, la figlia maggiore di Kondem, ha deciso di partire per andare a lavorare a Maroua, in città, a una cinquantina di chilometri di distanza. Andrà a servizio nella casa di qualche fulani benestante, come hanno già fatto anche le sue amiche. Kondem non vuole, perché conosce bene la vita che le domestiche fanno in città. Lei stessa visse quell’esperienza, e tornò a casa disonorata, con Faydè piccolina e senza padre. Faydè parte lo stesso, perché non vede soluzione diversa. Il suo stipendio di cameriera a Maroua le permette di aiutare economicamente se stessa e la sua famiglia, anche se la soddisfazione per questo successo sarà sotterrata dall’umiliazione conseguente alla consapevolezza di essere considerata, dai suoi datori di lavoro, poco più di un oggetto. Intuisce rapidamente il valore dell’istruzione, e impiega il tempo libero per imparare, di nascosto, a leggere e scrivere, sperando di superare grazie alla cultura i limiti della propria condizione. Impara anche a difendersi, a non accettare passivamente gli abusi che abitualmente le ragazze come lei sono costrette a sopportare, ribellandosi ad una consuetudine radicata che garantisce agli uomini l’impunità. L’insidia più grande però arriverà da se stessa, da una passione tanto travolgente quanto impossibile. Ma forse è proprio dal cuore che può partire il cambiamento. Anche nel cuore del Sahel.
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Cuore del Sahel è un romanzo che convince, soprattutto perché appare chiaro quanto l’autrice conosca bene la realtà che descrive.

Djaili Amadou Amal, infatti, è originaria del Camerun. Suo padre era un fulani, e a diciassette anni fu data in sposa ad un cinquantenne di buona famiglia. Le occorsero due divorzi, per affrancarsi dalle logiche arretrate e maschiliste della sua terra. Con il trasferimento nella capitale, a Yaoundè, ricominciò una nuova vita insieme ai sui figli, fondò un’associazione per l’istruzione femminile e diventò “la voce di chi non ha una voce”.

Il racconto è ambientato nell’estremo nord del Camerun, quel lembo di terra incassato tra la Nigeria e il Ciad, nel cuore del Sahel.

Faydè, forse l’alter ego letterario dell’autrice, affronta con coraggio e coerenza il mare agitato della vita, navigando a barra dritta tra le insidie minacciose della società.

Lei e le sue amiche rappresentano le sfaccettature dell’universo femminile, le diverse reazioni possibili per sopravvivere alla discriminazione di casta, di censo e di genere che tutte le ragazze si trovano ad affrontare per affermare il proprio diritto all’esistenza.

Djaili Amadou Amal ci consegna un ritratto lucido e crudo della condizione e della realtà sociale nel suo Paese, preda di violenza, abusi e discriminazione sociale. Non fa sconti a nessuno, neppure alle donne stesse, se cadono nella logica del compromesso e dell’opportunismo, e proprio questo, unitamente ad una prosa essenziale e diretta, rende davvero credibile l’intero impianto.

L’auspicio che l’amore, quello profondo e vero, possa liberare gli esseri umani dai limiti che essi stessi hanno inventato, chiude la storia con un fiato di speranza, che giustifica il senso della vita stessa.

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