Ci sono libri che si leggono con gli occhi e altri che sembrano depositarsi direttamente sulla pelle, lasciando un bruciore lieve ma persistente. Come sale sulla pelle di Anna Pavignano appartiene a questa seconda categoria: un romanzo che scava nella memoria e nella vita quotidiana con la stessa forza di un temporale estivo, capace di stravolgere i destini e insieme di restituire una limpida freschezza.
La protagonista è Camilla, una bambina che all’inizio incontriamo piena di fantasia, di paure infantili e di piccoli slanci di libertà. Ma un incidente improvviso la mette di fronte a una frattura irreparabile: la perdita di una gamba. Da quel momento la storia si dilata, seguendo le ripercussioni sulla sua famiglia, sul paese, sul modo in cui una comunità intera reagisce a ciò che considera una “menomazione”. È qui che la Pavignano dimostra la sua capacità rara di raccontare la durezza della vita contadina senza mai appesantire il ritmo, con uno sguardo che alterna dolcezza e crudezza, intimità e respiro corale.
Il romanzo non è solo la cronaca di una vicenda familiare, ma un affresco ampio di un’Italia ancora ancorata a rituali, pregiudizi, superstizioni, dove le decisioni dei genitori diventano materia di dibattito collettivo e il destino individuale sembra intrecciarsi con quello di un intero villaggio. I personaggi secondari – dalla madre Ernestina, roccia silenziosa e sofferente, al padre Giovanni, diviso fra l’amore e il giudizio degli altri – si imprimono con forza, restituendo un mondo dove le parole pesano e le scelte possono segnare generazioni.
Eppure il cuore del libro resta Camilla: non vittima, ma bambina e poi ragazza che impara a vivere con la sua ferita trasformandola in carattere, ironia, vitalità. Pavignano la tratteggia con tenerezza e verità, senza cedere a pietismi. È impossibile non rimanere colpiti dalla naturalezza con cui Camilla affronta il suo corpo diverso, dalla sua voglia di amare e lasciarsi amare, dalla leggerezza che conserva nonostante tutto. Il romanzo diventa così un inno alla resilienza, al coraggio di crescere restando fedeli a se stessi, e alla forza silenziosa delle relazioni familiari.
La scrittura è limpida, cinematografica, capace di far vedere le scene come quadri viventi: i balli di paese, le voci che corrono nell’osteria, la campagna che fa da sfondo al dolore e alla rinascita. C’è sempre, in filigrana, la consapevolezza che la vita, come il sale, può bruciare ma anche dare sapore.
Come sale sulla pelle è un libro che lascia tracce, perché non si limita a raccontare una storia: ci costringe a guardarci dentro, a interrogarci su cosa significhi davvero essere “interi”, su quale sia il confine tra fragilità e forza. Ed è proprio in questa domanda che sta la sua potenza.