Biancaneve nel Novecento
Giovanni è un uomo affascinante, generoso e fallito. Candi è una donna bellissima che esagera con il turpiloquio, con l’alcol e con l’amore. E Bianca? È la loro unica figlia, che cresce nel disordinato appartamento della periferia bolognese, respirando un’aria densa di conflitti e di un’inspiegabile ostilità materna. Fin da piccola si rifugia nelle fiabe, dove le madri sono matrigne ma le bambine, alla fine, nel bosco riescono a salvarsi. Poi, negli anni, la strana linea di frattura che la divide da Candi diventa il filo teso su un abisso sempre pronto a inghiottirla. Bianca attraversa così i suoi primi vent’anni: la scuola e gli amori, la tragedia che pone fine alla sua infanzia e le passioni, tra cui quella per i libri, che la salveranno nell’adolescenza. Negli anni Novanta, infatti, l’eroina arriva in città come un flagello e Bianca sfiora l’autodistruzione: mentre sua madre si avvelena con l’alcol, lei presta orecchio al richiamo della droga. Perché, diverse sotto ogni aspetto, si somigliano solo nel disagio sottile con cui affrontano il mondo? È un desiderio di annullarsi che in realtà viene da lontano, da una tragedia vecchia di decenni e che pure sembra non volersi estinguere mai: è cominciata nel Sonderbau, il bordello del campo di concentramento di Buchenwald. Con una penna vibrante, intinta nella storia del Novecento e affilata da una profonda sensibilità per le umane lacerazioni e debolezze, Marilù Oliva disegna una vicenda incalzante che è anche una riflessione su quello che le famiglie non dicono, sulle ferite non rimarginate che si riaprono, implacabili, attraverso le generazioni. Un romanzo che dà voce al rimosso di un secolo.
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Avventurarsi nella storia partendo da due periodi diversi del Novecento, è il bel lavoro narrativo svolto da Marilù Oliva.

Benchè il lettore sia stato avvertito che trattasi di un romanzo di fantasia, le vicende emotive e sociali di Bianca, sono le stesse vissute da chi è stato adolescente negli anni 80.

I riferimenti storici sono precisi e puntuali e la ricerca storica relativa alla vita nei campi di concentramento narrata da Lili, dimostra quanto l’autrice sia stata rispettosa e generosa verso il lettore.

Molte atrocità non vengono inserite nei libri di storia o nei saggi è merito della letteratura e di chi come autore o autrice se ne rende portavoce, e creare romanzi che raccontino quelle storie, perchè non se ne perda la memoria o addirittura se ne venga a conoscenza, è il caso dei bordelli voluti da Himmler per “aumentare la produttività” dei deportati nei campi di concentramento, ovvero l’ulteriore abominio operato dalla perversione nazista. Un romanzo di formazione, a tratti duro, a tratti di estrema dolcezza che rendono fluente la lettura. Un romanzo presentato meritatamente al Premio Strega.

 

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