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Speciale Giallormea – Oggi parliamo con Francesca Bertuzzi

Si è concluso Giallormea e ho avuto il grande piacere di fare qualche domanda a Francesca Bertuzzi, ospite di questa quinta edizione.

1. MF –  Benvenuta Francesca, hai partecipato alla rassegna Gialloromea presentando il tuo nuovo romanzo. La star, uscito ad aprile 2024 per la Giunti editore. Ti va di raccontarci qualcosa dell’esperienza a Ormea? C’è un ricordo in particolare che hai portato via con te?

FB – Sicuramente le persone, gli organizzatori e gli altri scrittori… c’era un clima magico a Ormea. Un clima che si è creato grazie a un’organizzazione che con forza sta portando avanti la rassegna e la voglia di esserci degli autori sono elementi che hanno contribuito a far sì che la serata sia stata bella per tutti i partecipanti. Poi la location da favola, Ormea immersa nei boschi, ha fatto il resto.

2. MF – La star si lega molto al tema della violenza di genere al quale i curatori di Giallormea hanno voluto dedicare ampio spazio in questa edizione con l’antologia Noir in abito da sera che ti ha vista autrice di un bellissimo racconto. C’è stata una volontà di riallacciarti alla protagonista femminile creata per quell’occasione? Nella costruzione del romanzo, il tema della violenza di genere (con un abilissimo rimescolamento di carte da parte tua) ha avuto un ruolo o la storia ha un’altra genesi?

FB – Io sono una scrittrice di thriller e certo è che il thriller, come genere, affonda le sue radici nell’humus della società. È innegabile che stiamo vivendo, sulla violenza di genere, un momento drammatico. La cronaca nera parla in modo inequivocabile, le statistiche sono inclementi, e nel corso dell’anno vediamo crescere vertiginosamente il numero delle vittime di femminicidio. È inevitabile, che questo dramma collettivo, che tocca la società tutta, si riverberi anche nelle riflessioni che possono svilupparsi all’interno di un thriller. In La Star il filo rosso della verità che si cela dietro i delitti che si snodano nel corso del romanzo, corre fra due figure femminili, la vittima di un rapimento violentissimo: Benedetta Cané, costretta dal suo aguzzino a girare dei video che poi l’uomo caricherà in rete, rendendo di fatto, Benedetta Cané la vittima più famosa del web. E sua cugina, Arianna Cané cronista di nera, che vedendo in questa storia l’opportunità di uno scoop senza precedenti si lancerà sulla notizia con determinazione, trovandosi presto incastrata in un giro di morti che le faranno capire quanto pericolosa sia la strada per conquistare lo scettro dello share

3. MF – Le tue protagoniste sono due donne molto diverse tra di loro seppur unite da un legame familiare (sono cugine) e affettivo. Due donne ambiziose e competitive. Una giornalista molto intelligente e colta e una “star” che però non è mai riuscita a brillare nel firmamento della notorietà. Come nasce l’idea dei personaggi? Soprattutto quella di contrapporre due figure così divergenti l’una dall’altra, in una storia dal finale imprevedibile?

FB – Le due protagoniste nascono dalla stessa riflessione. La prima, Arianna Cané voleva essere una sorta di sonda nel mondo della cronaca nera, e della narrazione che si fa dei così detti “fatti di sangue”. Io ammiro profondamente i giornalisti di nera, persone che lottano perché casi irrisolti non finiscano nel dimenticatoio, aiutando non solo le famiglie ma la società tutta a portare avanti con tenacia la lotta alla verità e di stretta conseguenza alla giustizia. Ma come in ogni campo, c’è chi fa bene il proprio mestiere e chi lo fa meno bene, personalmente spero di non leggere mai più su un giornale un titolo come “l’amava troppo, per questo l’ha uccisa” l’amore non è il movente di atti violenti, mossi al fine di sopprimere un altro essere umano. La narrazione che si decide di fare cambia in modo pericoloso non solo la realtà dei fatti, ma la percezione che la società ne ha. E la parola amore deve assolutamente rimanere fuori dal giornalismo che racconta il movente di un carnefice.

Dall’altra parte c’è il personaggio di Benedetta, noi delle tante donne scomparse, conosciamo tutto, dalle abitudini alle speranze, entriamo nelle loro case, vediamo i loro oggetti personali. Mi sono chiesta cosa sarebbe successo se per una volta una di queste donne fosse ritrovata, non cadavere ma viva. Ormai non sarebbe a tutti gli effetti una star?

4. MF – Nella Star la trama thriller è di altissima suspense ma hai dato molto respiro all’analisi psicologica dei tuoi personaggi rivelando anche una grande sensibilità nel saper cogliere le peculiarità caratteriali di ognuno di loro. Ti definisci una scrittrice di genere o potresti essere aperta a nuove esperienze?

FB – Fino a oggi il mio immaginario si è sviluppato su trame thriller, e La Star è senza dubbio un thriller psicologico. Il genere ha sempre avuto grandi affondi nella psicologia, basti pensare a Psycho per rivelare quanto sia radicato nel movente l’aspetto psicologico del protagonista e quanto questo analizzi la società dell’epoca, condannandola nella sua misoginia? Sicuramente è la parte che più mi stimola nella scrittura. Il genere spinge tutto al limite, dove la lotta che i personaggi intraprendono è per la sopravvivenza, e non è forse quando si è spalle al muro che si rivela di più la propria natura?

5 MF – La star è un romanzo autoconclusivo oppure la mia sensazione che presto potremmo ritrovare almeno una delle due protagoniste ha ragion d’essere?

FB – L’isola d’Elba è da subito, giù dai primi capitoli, stata una location che ho trovato stimolante, ricca, piena di possibilità, così come Arianna Cané l’ho sentita immediatamente dinamica, un personaggio che avrei potuto sfruttare a più riprese. Onestamente vorrei che ci fosse un sequel, poi certo, sono preda delle idee, ma vorrei fortemente avere presto un’altra ispirazione che sia perfetta per Arianna Cané.

6. MF – Francesca le parole sono per te importantissime, non solo scrittrice ma anche sceneggiatrice, Story editor, premi e importanti progetti che ti stanno regalando grandi soddisfazioni. Un soggetto per una sceneggiatura e un soggetto per un romanzo: quali sono le difficoltà nella stesura, quali le assonanze? Capita che la sceneggiatrice abbia il sopravvento sulla scrittrice o viceversa?

FB – Amo le storie e i mille modi in cui si possono declinare. Trovo bellissimo del mio lavoro il momento in cui a furia di tentare strade si trova quella giusta, il momento dell’intuizione. Quello di sceneggiatrice è un lavoro molto diverso da quello di scrittrice. Con le sceneggiature metto le intuizioni le idee a servizio di immaginari non per forza aderenti al mio. È un lavoro di squadra che si sviluppa fra due o più sceneggiatori, e spesso nell’equazione c’è anche la o il regista, allora devi avere l’elasticità di comprendere dove vuole andare l’immaginario dell’autore, come fare in modo che il tema sia totalmente centrato. Che quando l’autore andrà sul set la base di partenza, la sceneggiatura, sia già il più aderente possibile al film che vuole realizzare. Inoltre la sceneggiatura è a servizio di tutti i capo reparti del cast, da quello artistico a quello tecnico, per cui è una scrittura non libera ma piena di paletti che è necessario vengano rispettati dagli sceneggiatori. Nel romanzo per lo più sei libero nel gesto della scrittura, puoi divagare, esplorare tutti e cinque i sensi, puoi costruire mondi e distruggerli contemporaneamente senza pensare al budget. Poi certo anche i romanzi sono un lavoro di squadra, con l’agente che ti aiuta se il romanzo ha delle debolezze con l’editor che ti stimola a migliorare e ottimizzare, a rendere il romanzo una lama sottile priva di fronzoli, ma sono lavori diversi. Io li amo entrambi.

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