Intervista a cura di Roberto Carboni
Tra le cose belle di questo fine 2017, ho avuto la fortuna di incrociare Stefano Sala e il suo il Pedone Avvelenato, fresco di stampa. Terzo e ultimo romanzo di una trilogia sugli scacchi (Il sacrificio dell’alfiere e La scacchiera d’oro. Tutti editi da Le Due Torri). E mi ha fatto sognare. Con la sua bella scrittura pulita e leggera. Avventurosa da subito. Sognare. Sospendere il tempo e l’incredulità. Mi ha calato nel suo mondo incredibilmente nitido e reale eppure misterioso e spericolato.
Il dono della scrittura è come il dono della mossa negli scacchi. Passi la vita ad affinarlo, ma devi averlo di tuo, perché è magia, è stupore. Ogni frase è un candelotto di dinamite che scatena interi giacimenti di pensieri, di immagini, di memorie e fantasie. Che aggancia la nostra parte tenera e bambina.
Stefano è riuscito a farmi volare, palpitare, incuriosire e stupirmi.
Non cerca di emergere dallo scritto, come il regista teatrale, semplicemente rimane dietro il sipario a osservare pubblico e attori.
Una storia che merita di essere letta.
Ciao Stefano, eccoci qua. Benvenuto a Giallo e Cucina. Chi era Gioacchino Greco? Che ruolo ha avuto negli scacchi?
Ciao Roberto, Gioacchino Greco è stato il più grande giocatore di scacchi italiano di tutti i tempi, era un giovane calabrese, nato nel 1590 e cresciuto in un collegio di gesuiti di Cosenza. Ha percorso tutta l’Europa diventando il primo professionista del gioco, di cui ha creato molte delle regole che sono ancora oggi in vigore.
Cosa vuoi dirci a proposito della storia che hai raccontato?
È affascinante provare a ricostruire la storia e la personalità di un personaggio tanto lontano e tanto ammantato dalla leggenda. Ho cercato di cogliere il profumo del 1600 e di capire “quale è il segreto e di quanta umiltà bisogna armarsi per avvicinare un genio senza rimanere ustionati dal vivo fuoco che circonda chi riesce a svettare al di sopra della mediocrità”.
“Il convitato di pietra” di Puskin è stato per me un faro nella nebbia: la disperazione di Salieri, annichilito dal genio abbagliante di Mozart, lo fa urlare contro Dio, perché tutto a lui e niente a me che ho dedicato la mia vita alla musica?
Come spesso accade il più potente motore che regola i nostri rapporti si è presto messo in moto anche all’interno del mio romanzo. L’invidia.
Il titolo del tuo romanzo a noi scacchisti ricorda la Siciliana Najdorf, Bobby Fischer e la casa b2. Per chi non è scacchista invece suona misterioso. Cos’è il pedone avvelenato, e in che modo hai usato questa metafora?
Il pedone avvelenato è un pedone offerto in pasto all’avversario che, se lo accetta, viene travolto da funeste conseguenze, ma nel romanzo è come la firma di un serial killer che semina indizi, come le briciole di Pollicino, nella sottaciuta speranza che qualcuno lo fermi.
Chi è il protagonista del romanzo?
Il protagonista è Gioacchino Greco, ma è l’antagonista, il diacono don Fernando, che con forza e violenza si ritaglia il vero ruolo di protagonista tingendo di nero le trame e le pagine dell’intero romanzo.
Che tempi erano quelli che racconti?
Il romanzo veleggia fra le contraddizioni del ‘600, un secolo che si apre con il rogo di giordano Bruno e il processo di condanna di Galilei da parte delle autorità ecclesiastiche, ma che vede sorgere personalità eccellenti fra cui cito solo il Caravaggio, che è uno dei protagonisti del pedone avvelenato, e perché no, lo stesso Gioacchino Greco.
Un insieme di fantasia e realtà. Come ti sei documentato?
Cimentandosi con un romanzo storico, il lavoro di ricerca è fondamentale, per creare la giusta atmosfera e non incappare in banali errori, anche perché la strada percorsa è lunga: dalla Roma Papalina ai Lorena di Nancy, dalla reggenza parigina di Maria dei Medici alla tenebrosa Londra degli Stuart, fino al “Siglo de Oro” di Madrid.
Cosa c’è di magico in questa storia. Perché rapisce il lettore?
Credo che il romanzo riesca a catturare l’attenzione del lettore calandolo in un’atmosfera radiosa e al tempo stesso cupa, avvolgendolo con il fascino del racconto e con la perfetta alchimia di personaggi e luoghi, sorprendendolo con inattesi e violenti colpi di scena, che lasciano con il fiato sospeso. Inoltre il sottile filo rosso che lega la narrazione è la magia del gioco degli scacchi. Ma forse a questa domanda non dovevo rispondere io!
Come è tradizione di Giallo e Cucina, ora ci devi scrivere una tua ricetta…
In omaggio a Gioacchino Greco ho scelto una ricetta calabrese, i “Maccarruni e cavulu” che poi è la stessa ricetta siciliana che io spesso preparo: “Pasta arriminata chi vrocculi”.
Ingredienti: 1 cavolfiore, 1 cipolla, filetti di acciughe salati, 2 cucchiai abbondanti di olio d’oliva, una bella manciata di uvetta (fatta rinvenire in acqua calda), una manciata di pinoli, 2 etti (per due persone) di maccheroni, pecorino grattugiato, foglie di basilico e per finire una bustina di zafferano.
Lessate il cavolfiore, scolatelo al dente e aggiungetelo nella padella dove avete soffritto la cipolla, le acciughe, l’uvetta, i pinoli e le foglie di basilico. Se necessario aggiungete qualche cucchiaio dell’acqua di cottura del cavolo, fino ad ottenere un composto cremoso. Per ultimo aggiungete i maccheroni cotti in abbondante acqua salata, lo zafferano e come trionfo finale cospargete il tutto con il pecorino, come se nevicasse… Il risultato è assicurato, e il sapore agro dolce vi riconcilierà con il mondo!
E infine una citazione che accompagna la tua esistenza.
Ti ripeto la frase che apre il mio romanzo e che è di Seneca: “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.
Grazie per aver risposto alle domande. Ti auguro che il romanzo abbia il successo che merita.
Tutto il meglio e lunga vita ai sognatori!
Grazie a te Roberto di avermi ospitato in questo blog. Viva!