Intervista a cura di Miriam Salladini
1) Rita Carla Francesca Monticelli com’era da bambina e quali erano i suoi sogni?
Devo ammettere che ho ricordi molto frammentari della mia fanciullezza, perlopiù legati a vacanze con i miei genitori o altri eventi di cui i miei hanno conservato tante fotografie. Ero una bambina studiosa, anche se ci tenevo a precisare che non amavo studiare. Lo facevo perché era il mio dovere e volevo a fare bella figura a scuola. L’amore per lo studio e per il sapere l’ho conosciuto molto più tardi, all’università, quando per la prima volta ho potuto decidere cosa studiare.
Non so di preciso quali sogni avessi. Quando si è piccoli si tende a guardare al futuro come una cosa lontanissima. Io poi non avevo nessun particolare desiderio di diventare grande tanto presto. La vita da bambina era fatta di ben poche preoccupazioni, tanto gioco e cartoni animati. Chi me lo faceva fare a crescere? Erano tante le cose che mi piacevano, anche se non pensavo in prospettiva di un loro utilizzo futuro in campo lavorativo. Mi piacevano le lingue straniere, essenziali per capire gli altri quando si viaggia. Ricordo ancora quando avevo cinque anni, l’estate prima di iniziare la scuola, ed ero in vacanza con i miei in Valle d’Aosta. In un parco giochi una bambina si era rivolta a me in francese, ma io non la capivo. Quello è stato senza dubbio il primo momento in cui mi sono resa conto quanto fosse importante conoscere le lingue straniere nella vita.
Ma mi piacevano anche tante altre cose, come la musica, il disegno e la lettura. Nonostante questo mi sono sempre più sentita attirata dagli argomenti di natura scientifica.
Unica eccezione: il cinema. L’ho sempre amato fin dalla prima volta che ho visto un film in sala e da adolescente sognavo di lavorare nel cinema come regista.
2) Avresti mai pensato di diventare una scrittrice affermata?
Non avrei proprio mai pensato di diventare una scrittrice in generale. Non ho mai amato particolarmente la letteratura a scuola, sebbene la studiassi comunque, come tutto il resto, e infatti poi ho frequentato il liceo scientifico. Alla fine le materie letterarie erano sempre più importanti delle altre e, aggiungerei, per fortuna. Allora non lo sapevo, ma ciò che stavo imparando mi sarebbe tornato molto utile anni dopo. Infine mi sono laureata in biologia e per un po’ di anni ho persino lavorato all’università come ricercatrice. È stato allora, tra rielaborazioni di appunti, la scrittura della tesi e successivamente quella di articoli scientifici relativi alle mie ricerche, che mi sono cimentata anche nel portare su carta alcune storie che avevo in testa, ma l’ho fatto sotto forma di sceneggiature (in realtà un primo tentativo risale alla fine del liceo, ma poi era stato abbandonato). Nonostante avessi preso un’altra strada, sentivo comunque in me il desiderio di dare vita alle mie storie che nascevano in me come immagini. Non sarei mai diventata una regista, ma niente mi avrebbe impedito di scrivere dei film. Mi bastava la mia fedele Olivetti Lettera 22 e dal 1997 il mio primo PC.
Dalle sceneggiature sono poi passata alle fan fiction, quindi già a una forma di narrativa, e al blogging, nei primi anni zero, ma ho iniziato a scrivere un romanzo originale in maniera seria solo nel 2009, a 34 anni suonati.
3) La fortunata serie “Deserto Rosso” di cosa parla? A cosa ti sei ispirata per scriverla?
“Deserto rosso” è una serie ambientata su Marte fra una cinquantina d’anni e ha come protagonista Anna Persson, una esobiologa svedese che fa parte dei primi cinque colonizzatori del pianeta rosso. La storia si dipana in diversi anni, ma non è narrata in ordine cronologico. Il primo libro, “Deserto rosso – Punto di non ritorno”, si apre con Anna che esce di nascosto all’alba dalla Stazione Alfa, l’habitat in cui vive insieme ai suoi colleghi, per addentrarsi nel deserto marziano con provviste e aria per soli due giorni. Avvertiamo che qualche evento debba averla spinta a questo gesto, ma non sappiamo se stia fuggendo da qualcosa, cercando qualcosa o semplicemente abbia intenzione di uccidersi.
L’intera serie mescola elementi di fantascienza hard e technothriller (vale a dire che riporta fatti scientifici reali relativi a Marte, rendendo il contesto plausibile) con altri che vanno dall’azione, la suspense (c’è di mezzo persino un omicidio), l’avventura, ma anche l’introspezione e i sentimenti di personaggi con problematiche reali, quali il senso di rivalsa nei confronti del passato, l’intolleranza dovuta ai pregiudizi, le rivalità e gelosie, tutte cose fortemente amplificate dal vivere in un pianeta deserto dove non esiste alcuna forma di controllo esterno che sia in grado di far rispettare le regole. Mettendo insieme tutti questi elementi, ho cercato di creare una storia che coinvolgesse il lettore, persino quello che normalmente non legge fantascienza, e nel contempo lo lasciasse con qualche conoscenza in più riguardo all’astronomia, l’esplorazione spaziale e l’astronautica.
Sono stata ispirata dal mio stesso interesse per questi campi della scienza e dal fatto di subire da tanto tempo il fascino di Marte. Pochi mesi prima di iniziare la scrittura della serie ho assistito con trepidazione al lancio del rover della NASA Curiosity (novembre 2011) e nel contempo stavo leggendo alcuni libri di Robert Zubrin, fondatore della Mars Society. E così mi sono ritrovata a immaginare un astronauta (all’inizio non sapevo fosse una donna) che vagava da solo nel deserto letale del pianeta rosso e a chiedermi come mai fosse lì, cosa stesse cercando, se fosse destinato a morire.
4) Ci parli del self publishing e di cosa ne pensi?
Il self-publishing in italiano significa autoeditoria e fa riferimento a una forma di editoria in cui la figura dell’editore e dell’autore coincidono. Il self-publisher (autoeditore) è un editore che gestisce tutti gli aspetti relativi alla produzione, pubblicazione, commercializzazione e promozione di libri di cui lui stesso è autore. Ciò non significa che fa tutto da sé, ma solo che, come ogni editore, gestisce tutte quelle figure professionali necessarie per produrre, pubblicare e commercializzare un libro, con l’unica differenza che il libro in questione l’ha scritto lui. Si tratta di una forma di attività imprenditoriale che può essere di varie dimensioni in base a quanti libri uno scrive, alle proprie ambizioni e ai risultati che ne ottiene, e come tale è un mestiere vero e proprio, che non va affrontato senza un’adeguata preparazione, poiché l’autore che decide di diventare autoeditore deve conoscere il mercato editoriale e acquisire delle competenze da editore. Non tutti sono in grado di farlo o semplicemente hanno il tempo o il desiderio di farlo.
Io sono una self-publisher. Ciò mi ha permesso finora, tra le varie cose, di pubblicare due libri l’anno, di scrivere e pubblicare libri in generi o sottogeneri diversi, di decidere autonomamente di sfruttare i vari diritti relativi ai miei singoli libri, di scegliere le persone con cui collaborare, di stabilire il prezzo dei miei libri e promuoverli come meglio credo. In altre parole, ciò fa di me una figura completamente indipendente all’interno del mercato editoriale.
5) Sei una lettrice compulsiva? Quali sono i tuoi libri preferiti?
Mi ritengo una lettrice abbastanza forte, poiché leggo più di cinquanta libri l’anno e prediligo i testi medio-lunghi. Per me leggere, oltre a essere un piacere, fa parte del mio essere un’autrice.
Leggo quasi tutti i generi di libri, ma non amo il fantasy classico e il romanzo rosa.
Il mio libro preferito in assoluto è “Hannibal” di Thomas Harris. La maggior parte dei libri che leggo rientrano nei generi che scrivo: thriller e fantascienza.
6) Hai mai vissuto un periodo di blocco e di mancata concentrazione nella scrittura?
Non proprio, anche perché sono molto disciplinata e, se ho deciso di scrivere un certo numero di parole entro una certa data, mi siedo e le scrivo, anche se non mi sento ispirata (l’ispirazione è quella cosa che arriva perlopiù quando non puoi scrivere, quindi non ci si può fare affidamento) e letteralmente soffro nel farlo.
Ecco, piuttosto vivo dei periodi in cui non provo piacere nello scrivere, ma devo farlo comunque e quindi lo faccio. Ciò però è legato a fattori esterni, preoccupazioni o ansie che influenzano il mio umore. Non sono di quelle persone che si rifugiano nella scrittura di fronte ai problemi della vita per stare meglio. Siccome scrivere è il mio lavoro, quindi una parte consistente della mia vita, non è proprio possibile. Per scrivere e divertirmi mentre lo faccio (cioè non vivere la scrittura come una sofferenza), ho bisogno di stare bene.
Purtroppo questo non è sempre possibile, poiché dipende da fattori che sfuggono al mio controllo.
7) Cosa consiglieresti ad uno scrittore esordiente?
Se con scrittore esordiente intendi il suo significato letterale, cioè scrittore che sta per pubblicare o ha pubblicato il suo primo libro, tutto ciò che posso consigliargli, se non l’ha già fatto, è di scrivere il secondo (nel senso di scriverlo fino alla fine)!
Può sembrare una cosa banale, ma non lo è affatto. Aver scritto e pubblicato un libro non è un traguardo, ma solo un punto di partenza.
8) Da dove nasce il tuo amore per la fantascienza?
Il mio amore per la fantascienza nasce da quello per la scienza e dal desiderio di venderla applicata alla realtà del presente e del futuro.
Io, però, mi ritengo più genericamente un’autrice di thriller. Tutti i miei libri finora sono stati dei thriller, alcuni dei quali in un contesto fantascientifico, come la serie di “Deserto rosso” e i libri successivi inseriti all’interno del ciclo dell’Aurora (www.desertorosso.net) e il romanzo “Per caso”, pubblicato nel novembre 2015. Mi piacciono però anche i thriller ambientati in contesti diversi.
Il mio penultimo romanzo, intitolato “Sindrome” e uscito lo scorso maggio, è un crime thriller che ha come protagonista un detective a capo di una squadra della scientifica della Polizia Metropolitana di Londra (quella con sede a Scotland Yard) ed è il secondo di una trilogia iniziata nel 2014 con “Il mentore”. Il libro finale prevedo di pubblicarlo a maggio 2017.
Nel maggio 2015 ho anche pubblicato un action thriller, intitolato “Affinità d’intenti”.
9) Quali progetti futuri hai per gli amanti della fantascienza?
Lo scorso 30 novembre è uscito “Ophir codice vivente”, la terza parte del ciclo dell’Aurora, di cui la serie di “Deserto rosso” e il technothriller “L’isola di Gaia” sono rispettivamente la prima e seconda parte.
“Ophir” si svolge tra la Terra, Marte e anche un po’ sulla Luna. È il sequel cronologico di “Deserto rosso” e ha come tema principale quello dell’evoluzione dell’intelligenza artificiale, con tutti i suoi vantaggi, ma anche tutti i pericoli legati a essa.
10) Per concludere l’intervista noi di gialloecucina vorremmo sapere qual è la tua citazione e ricetta preferita.
Non saprei proprio scegliere una citazione preferita tratta da un libro, ma voglio proporre questa frase dei ringraziamenti di Thomas Harris alla fine di “Hannibal”.
“La malvagità infusa nel romanzo è esclusivamente farina del mio sacco.”
Sorrido sempre nel rileggerla e non perché creda che Harris o qualsiasi altro autore che infonde malvagità nei proprio scritti (me compresa) possa essere nella vita reale una persona malvagia, ma piuttosto l’esatto contrario: la scrittura è un non-luogo in cui possiamo essere persino ciò che non saremmo mai in grado né vorremmo mai essere.
Non amo cucinare (scusate!) ed evito di farlo del tutto, se posso, ma c’è una ricetta deliziosa e semplice che persino io riuscirei a mettere in pratica (una volta tanto tempo fa ci sono riuscita), quella degli spaghetti con i ricci di mare, nella sua versione più semplice, cioè facendo una normale pasta all’aglio e olio, e aggiungendo direttamente sulla pasta condita un’abbondante quantità di polpa di riccio a crudo. Bisogna avere pronta la polpa di riccio, possibilmente fresca (quindi ciò è possibile solo in zone di mare e durante i periodi consentiti per la raccolta). Se poi si hanno i ricci interi, è necessario procedere all’apertura e l’estrazione della polpa, cercando di resistere alla tentazione di mangiarsela col pane (!), mentre si sta facendo scaldare l’acqua per la pasta, in modo che sia tutto pronto nel momento in cui si deve scolare e condire.