Intervista a cura di Stefania Ghelfi Tani
Buongiorno Angelo e grazie per averci concesso un po’ del tuo tempo! Raccontaci di te. Chi sei? Quando è nato il tuo amore per la scrittura?
Alessandrino da sempre, doganiere da quarant’anni. Ed è stata la mia professione (consumata per 22 anni in un classico posto di confine con tanto di sbarra) a risvegliare un mio desiderio di adolescente. Ovvero, la voglia di saltare il fosso da lettore a scrittore. Mi ha dato la spinta giusta a raccogliere i miei primi tre racconti su Frontiere, un volume pubblicato con Mobydick Editore nel 1999.
Oltre alla scrittura hai altri interessi, passioni, hobbies?
Viaggiare appena si può. Un interesse spesso in contrasto con l’avere due cani in famiglia. E per loro, magari si rinuncia. Ma va bene comunque. Tolto lavoro e scrittura, di tempo ne resta poco. In parte lo dedico anche ai serial tv.
Dove scrivi? Hai un posto preferito dove trovi ispirazione?
Non ho un luogo. Ho un portatile che mi accompagna nei posti dove spero di trovare la tranquillità per riuscire a concentrarmi. Con i cani accucciati sui piedi. Invidio molto quegli studi da “scrittore” con libri, riviste, oggetti, foto alle pareti, ricordi. Disordine. Ma al momento, dove abito, non me lo posso permettere.
Come nascono le tue storie, quanto rubi alla fantasia e quanto c’è di autobiografico?
Mi piace dire che le tiro fuori dallo “scrigno dei ricordi”. Come nel caso de “L’Uomo dei Temporali”, la mia fonte sono state chiacchiere, aneddoti, storie raccontatemi nel tempo da parenti e conoscenti che hanno vissuto in prima persona gli anni che ho scelto di raccontare. Ovvero, il ventennio. Chiacchiere e personaggi che, da soli, possono creare un’atmosfera. E’ sempre necessaria qualche verifica dei fatti storici e di costume, giusto per non uscire troppo dai binari della verosimiglianza. Poi l’immaginazione, di solito, aiuta a cucire insieme il tutto e a trovare una trama che (nel mio caso) si lega più ad atmosfere e ambiente che non a un complesso intreccio criminale.
Quanto c’è di te nel Commissario Bendicò?
Forse c’è quello che forse vorrei essere. Più silenzioso, più riflessivo.
Ami caratterizzare psicologicamente i tuoi personaggi?
Si. Credo che ogni personaggio debba essere un “mondo” all’interno del quale il lettore può individuare ciò che più gli è congeniale per sentirsi parte della storia che sta leggendo. I personaggi devono essere coerenti con se stessi ma allo stesso tempo ricchi di sfumature e di cose da narrare a loro volta.
E quanto c’è della tua Alessandria nei tuoi romanzi?
All’inizio del mio lavoro quasi nulla. Penso al primo romanzo con il commissario Bendicò, Legami di morte dove Alessandria era solo un palcoscenico su cui far muovere gli attori. Conoscendo la città, mi era sembrato il modo migliore per scrivere una storia senza dovermi preoccupare dell’ambientazione. Poi mi ha preso la mano. E oggi Alessandria è personaggio di spicco. A volte credo che conti quasi più del protagonista. E mano a mano che scavo nella sua storia passata, emergono sempre più dettagli e situazioni che meritano uno spazio letterario.
“L’uomo dei temporali”, “Ora segnata”, “Buchi neri nel cielo”, “Piedra Colorada”, Legami di morte”, Destinazione Avallon”, Borsalino, un diavolo per capello”, etc. Una vasta produzione! C’è qualcosa che accomuna i tuoi romanzi?
Forse il tratto cinematografico. Da lettore ho sempre cercato di “vedere” ciò che leggo. Mi piace lasciarmi andare all’immaginazione, interpretare a modo mio ciò che mi viene proposto da un altro autore. Insomma, mi piace crearmi la storia a mio uso e consumo seppur guidato dall’autore. E da scrittore cerco di fare altrettanto
“L’uomo dei temporali” è ambientato negli anni ’40, perché questa scelta? Dacci tre buoni motivi per leggerlo.
La scelta di raccontare storie del passato è dovuta al fatto che mi sento un po’ estraneo nel presente. Lo trovo freddo. Manca la città con le sue caratteristiche di “popolanità”, la violenza è cruda, e poi occorre avere una buona conoscenza dell’aspetto tecnologico, finanziario senza il cui ausilio è difficile tratteggiare anche una indagine classica..
L’atmosfera un po’ retrò, credo che sia un buon motivo. Alessandria è la patria del Borsalino, quello di Al Capone, Alain Delon, Robert Redford, Humprey Bogart e tanti altri.
E poi, raccontare su un periodo recente della storia che ancora non ha sanato tutte le sue ferite, permette anche di intercalare brevi quanto umane riflessioni.
Il terzo motivo è la “tenerezza”. E’ una definizione che mi è stata data (casualmente) da più donne, anzi, giovani donne, che mai avrei immaginato potessero essere un pubblico interessato a un romanzo come “L’uomo dei temporali”.
Stili solitamente una scaletta o ti fai condurre dalla narrazione?
Di solito mi lascio condurre dalla narrazione. Con tutti i rischi che comporta. Quando ho un’idea in testa faccio fatica a trattenerla e devo iniziare la stesura. Lavorando però su un personaggio seriale, negli ultimi tempi ho incominciato a costruire una trama di massima, quanto meno con un inizio e una fine con tanto di nome dell’assassino. Il cuore del racconto, lo lascio, appunto, al cuore.
Ami avere musica di sottofondo? E se sì quale genere ami?
No. Mi distrae. E’ un’abitudine che non ho mai avuto nemmeno ai tempi del liceo o dell’università ascoltavo musica mentre studiavo. Non ho un genere preferito. Anche se sono cresciuto con il rock degli anni ’70, i cantautori italiani e il blues. E quindi, pezzi che mi piacciono, ce ne sono molti.
Come lettore quali libri acquisti, cosa ami leggere? E se devi regalare un libro come lo scegli?
Un occhio di riguardo è sempre stato per la narrativa francese. Dai classici al Polar. Da Maupassant a Camus, fino a Simenon, Izzo, Malet, Manchette, Daenincx, Hélèna… in caso di regalo evito le novità da libreria. Di solito regalo un romanzo che mi è piaciuto.
Uno o più autori che ami particolarmente e perché?
Tutti quelli che ho citato prima. La Francia degli anni 50/60 riesce ad attrarmi come una calamita.
Prossimi progetti letterari in divenire?
Un nuovo personaggio nell’Alessandria del 44/45, l’anno più duro vissuto dalla mia città e da un’intera generazione a me ancora vicina per colpa dei bombardamenti. Cerco di raccontarla attraverso un dittico, due storie con indagine per non dimenticare un pezzo di storia drammatica che ha mietuto un numero impressionante di vittime di ogni età
Un consiglio a chi ha il suo romanzo ancora chiuso nel cassetto?
Tiratelo fuori, mandatelo in lettura, non irritatevi per i rifiuti o le critiche (anche se gli editori non hanno sempre ragione), non abbiate fretta di pubblicarlo, e soprattutto non fatevi incantare dalle chiacchiere degli editori a pagamento
Grazie per la bella chiacchierata. Ora, come tradizione di Giallo e Cucina ti chiediamo di salutarci con una citazione ed una ricetta di cucina che ami!
E’ una frase de “Lo Straniero”: “…ho avuto voglia di lei perché aveva un bel vestito a righe rosse e bianche e dei sandali di cuoio. Si indovinavano i seni duri, e il suo viso, bruno di sole, era un fiore. Abbiamo preso l’autobus e siamo andati a qualche chilometro da Algeri, su una spiaggia stretta tra le rocce e orlate di roseti dalla parte della terra…”
Per quanto riguarda la ricetta, proporrei un Carpione. Semplice da cucinare, si conserva a lungo, gustoso. Lo farei o con fettine di pollo o tacchino, o con zucchine o piccoli pesci di fiume.
Si fa friggere quello che si sceglie di mettere in carpione, e gli si versa sopra un battuto di cipolla, salvia, foglie d’alloro appena sbollentate con una quantità di aceto diluito con una doppia di acqua. Meglio mangiare un paio di giorni dopo.