Trama
Una donna si risveglia nell’oscurità, il suo corpo macchiato di sangue, circondata dalla silenziosa presenza di una decina di cadaveri. L’unica fonte di luce sembra provenire da una grande bocca spalancata, con i denti scheggiati e affilati simili a quelli di uno squalo. I ricordi si affacciano con incertezza nella flebile psiche della donna. Come si è ritrovata lì? Immagini di una festa scorrono veloci e confuse nei suoi ricordi. Si trovava a una festa? Probabile.È stata drogata? Forse.
Incapace di spiegarsi cosa le sia accaduto, si fa strada il pensiero che sia stata inghiottita dalle fauci di un mostro…
Sogno? Realtà?
Forse la verità, come sempre è stato e sempre sarà, è nel mezzo.
In poco meno di quindici minuti, il regista pugliese Giovanni Aloisio, scava a fondo della psiche umana rivelando un’insolita quanto gradita direzione narrativa e tecnica, degna del miglior cinema horror.
Recensione a cura di Federico Adacher
Luce. Oscurità. Speranza. Orrore. Violenza. Pace.
La maestria e la potenza narrativa di Giovanni Aloisio viene notata sin dai primi minuti del cortometraggio. Come in un gioco visivo in cui le contraddizioni e le paure del subconscio regnano sovrane rincorrendosi, Mouth of Horror colpisce per il lato tecnico accompagnato da una sceneggiatura efficace e scorrevole. Il regista gioca con la fragile psiche dei suoi personaggi, dipingendoli in tutte le loro più nere sfaccettature nello spazio ristretto e angusto (ma non per questo limitato) del cortometraggio, che assume la meravigliosa quanto tetra atmosfera della vicenda che racconta.
I richiami al maestro dell’orrore Dario Argento sono frequenti e più che apprezzati, nonostante il titolo del cortometraggio possa rimandare a John Carpenter e alla sua fatica In the Mouth of Madness. La scenografia, i colori e un sapiente utilizzo del chiaroscuro rimandano al cinema di un altro tempo: incontrando le inquietanti ambientazioni del cinema espressionista tedesco (come, ad esempio, Il gabinetto del dottor Caligari), per passare al già citato Carpenter e, infine, riconoscendo una “scintilla” simile a quella del visionario Tim Burton.
Un elogio particolare va alla fotografia e all’uso delle luci (curati dal direttore della fotografia Romualdo Pecorella e alla fotografa di scena Raffaella Fasano) che hanno saputo catturare l’essenza febbricitante di questo cortometraggio a metà tra sogno, follia e cruda realtà.
La recitazione del cast è convincente e ben realizzata. La donna intrappolata, interpretata da Agata Paradiso, è espressiva ed immediata, nonostante il tono vocale avrebbe necessitato, a mio avviso, di un lavoro meno artificiale e sopra le righe. La sfuggente personalità di Domenico Tacchio stupisce in un risvolto caratteriale inaspettato senza, tuttavia, lasciare impressa la sua presenza nella memoria dello spettatore.
Mouth of Horror è un’opera coraggiosa dove la paura regna incontrastata. Ispirato dai grandi registi del passato, questo cortometraggio lascia, tuttavia, una propria impronta originale e indelebile nel panorama di un cinema che sin troppo spesso ha lasciato che la sperimentazione artistica venisse sacrificata per venire incontro ai gusti del grande pubblico.
Assolutamente consigliato.