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L'angolo giallo

Il commissario Spada
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Milano, stazione centrale: l’auto di una banda di rapinatori sgomma in mezzo al traffico mentre cerca di sfuggire all’inseguimento di una volante della Polizia. Anni ’70 nella metropoli più europea d’Italia: malviventi dalla fisiognomica inconfondibile che sembrano ricordare i Cavallero o i Vallanzasca, poliziotti inchiodati da un severo rispetto delle regole che “lega” loro le mani, questori che rilasciano dichiarazioni, terroristi travestiti da secondini che s’infiltrano nelle carceri per far evadere i loro compagni, passanti atterriti, un’opinione pubblica pavida e qualunquista che ondeggia fra uno sdegno da maggioranza silenziosa e una tacita complicità con il disordine dilagante.

Che cos’è, un filmato in bianco e nero di un telegiornale d’epoca? Un documentario sugli anni di piombo? Il montaggio serrato di sequenze tratte da quei film chiamati in senso riduttivo poliziotteschi e in seguito rivalutati fino a diventare veri e propri cult sia per cinefili intellettuali che per un pubblico di quarantenni vagamente nostalgici della loro giovinezza?

Niente di tutto ciò: è un fumetto, Il commissario Spada. Di più, è un fumetto d’autore, anch’esso destinato a diventare un doveroso cult generazionale, pubblicato fra il 1970 e il 1982 su un giornale, anzi Il Giornalino, edito dalle edizioni Paoline e venduto in chiese e sacrestie d’Italia. Un paradosso, uno scherzo, un tiro beffardo del destino che sembra architettato e messo in opera da quell’autentico genio della messa in scena che risponde al nome di battaglia di Geronimo, e tiene in scacco le forze dell’ordine, come l’omonimo capo indiano d’America fece con la giacche blu, infliggendo duri colpi alla reputazione che fanno quasi più male della fuga di banditi accerchiati o dell’evasione da un carcere di massima sicurezza. È qualcosa che mina facili sicurezze, fragili e incerti equilibri, quieti e superficiali modi di vivere. Possibile che un fumetto sia tutto questo? Certo, e i fatti lo dimostrano.

Il commissario Spada, scritto con un ritmo incalzante da Gianluigi Gonano e disegnato con tratto secco e immaginifico e allo stesso tempo realistico da Gianni De Luca è bello, avvincente e pieno di azione e ritmo come un film di Fernando Di Leo o Umberto Lenzi, due fra i registi più amati del filone poliziottesco, e stavolta sia da intendersi con ammirazione e un filo di rimpianto.

Ma chi è Eugenio Spada, e come fa un commissario di polizia a finire sulle pagine del Giornalino?

Che sia un poliziotto lo abbiamo detto, che condivida le difficoltà e le frustrazioni dei suoi colleghi cinematografici, come l’indimenticabile Maurizio Merli, che a loro volta replicano con notevole realismo sul set quelle vere degli agenti in prima linea contro la malavita, pure. Aggiungiamo che è vedovo, perché la moglie è morta, in uno degli episodi più toccanti e crudi della serie, nel dare alla luce un figlio, Mario, che in seguito si dibatterà nel più annoso conflitto generazionale, sospeso fra l’ammirazione per la figura paterna e la contestazione del suo ruolo nella società.

Basta? Ancora no. Ecco allora che il fermo immagine della pagina precedente diventa un susseguirsi frenetico di sequenze dal ritmo e montaggio quasi cinematografico, scandite da una sceneggiatura matura e tuttora straordinariamente attuale e un tratto che sconvolge, che destruttura la tradizionale scansione del fumetto per ricomporlo in una forma del tutto nuova, proprio per accentuare sia la contemporaneità delle azioni che il senso di straniamento per vicende che sembrano sfuggire di mano ai loro stessi protagonisti, siano essi guardie o ladri.

Alto, bruno, aitante e all’occorrenza atletico (ma in seguito a uno spaventoso incidente automobilistico rischierà di restare sfigurato per sempre, cavandosela con qualche cicatrice e un profilo più rude e spigoloso), nonché ovviamente buon tiratore, Spada è anche uno sbirro che sa usare il cervello, non solo per indagare secondo logica e intuizioni investigative ma che per sforzarsi di comprendere il punto di vista dei suoi avversari, non certo per giustificarli secondo un malinteso scrupolo di coscienza borghese o tutt’al più radical chic, ma per riuscire a prevenirne le mosse. Tattica da questurino che sembra convenzionale e superata dai tempi e dall’impetuosa evoluzione delle tecnologie al servizio sia del crimine che di chi lo combatte, e invece è ancora dannatamente efficace.

In una Milano non ancora da bere (che sembra uscita da un soggetto di Scerbanenco), ormai alle spalle gli anni del boom che ne hanno irrobustito le figure imprenditoriali più moderne e intraprendenti, fra cui, (perché no?), la malavita, il commissario Spada deve affrontare terroristi e ladri di banche, spacciatori e delinquenti da strapazzo, sette sataniche e irridenti truffatori, boss e manovalanza criminale, sempre con lo stesso impegno e la fede incrollabile nelle istituzioni, lasciando trapelare, solo nei momenti in cui la tensione è al culmine, lo sconforto e la rabbia per le contraddizioni di una legislazione e di una burocrazia che sembrano involontariamente (?) ostacolare il lavoro sul campo di chi rischia la vita ogni giorno per difendere la comunità civile e le stesse leggi che, troppo spesso, legano le mani ai poliziotti. Fra i suoi avversari più ostinati e complicati da affrontare c’è Geronimo, sguardo mefistofelico di un trentenne che ignora di essere un precursore della contestazione irriverente degli indiani metropolitani, ma conosce assai bene i meccanismi del marketing criminale, così convincente da affascinare e sconcertare anche il giovane Mario Spada. Valeria Vergani, invece, esponente di spicco della banda terroristica Aut Aut, ha il look da brigatista doc appena uscita da un corteo di femministe arrabbiate (e non del tutto a torto), con quel viso irregolare e quasi comune nella sua banalità e tuttavia in grado di far perdere la testa a un giovane cantautore, che per lei rischierà grosso, trascinando con sé il solito Mario, che ha l’insopprimibile vizio di cacciarsi sempre nei guai. Sembra proprio un film, con protagonisti e attori caratteristi, anzi quasi un documentario con personaggi reali.

Già, perché in questo fumetto non ci si avventura nelle praterie della fantasia, galoppando in un altrove lontano nel tempo e nello spazio come nel western texano, parente e antesignano dello spaghetti western cinematografico alla Sergio Leone, oppure nella Clerville delle sorelle Giussani in cui agisce Diabolik, ma in una città reale, dove i cittadini leggono Il Corriere della Sera, alle manifestazioni sfilano cortei di operai con striscioni dei sindacati CGIL, UIL e CISL (che in realtà è scritto CSIL!), sulle strade girano le Giuliette o le Fiat 1500, i terroristi hanno proprio i volti che ci siamo abituati a riconoscere nelle edizioni straordinarie dei tg d’epoca o sulle prime pagine dei quotidiani, e in sottofondo pare di sentire una canzone “della mala” cantata da Ornella Vanoni, o Giorgio Gaber, o ancora da Enzo Jannacci.

Eugenio Spada, il commissario Spada: padre tormentato dall’incomunicabilità con il figlio che pure rappresenta il solo legame con il ricordo della moglie Lucia, mai abbastanza rimpianta. Una donna e madre che decide di sacrificarsi, anzi di immolarsi, combattendo a modo proprio la battaglia contro il male che il marito proseguirà con le armi che gli sono più consone. Un male rappresentato da una spietata setta satanica composta di insospettabili personaggi, una vera e propria piovra tentacolare che arriva ovunque con irrisoria facilità, corruttrice torbida e perversa da fermare a ogni costo, anche al prezzo della propria vita e della dolorosa rinuncia a veder crescere il figlio portato in grembo.

Un’assenza, quella di Lucia, che diventa una presenza impalpabile per il commissario Eugenio Spada, che in fondo non è solo uomo delle istituzioni ma anche padre di famiglia alle prese con i problemi di tanti suoi coetanei dell’epoca, e forse anche di oggi. È anche questo aspetto, oltre alla capacità di ricreare le vicende terribili e per certi versi irripetibili di quegli anni, che rende il fumetto di De Luca e Gonano un piccolo cult e spiega perché un editore cattolico lo abbia pubblicato su un giornale, anzi su Il Giornalino, in vendita in tutte le chiese e le sacrestie.

 

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