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I maestri del giallo

AMANDA CROSS
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Amanda Cross è lo pseudonimo di Carolyn Gold Heilbrun. Americana, nata il 13 gennaio 1926 a East Orange nel New Jersey, fu figlia unica di madre e padre ebrei d’origine rispettivamente austriaca e lettone (ma allontanatisi per propria scelta da quelle radici). Quando aveva solo sei anni, il padre, Archibald Gold, dopo una lunga e brillante attività di contabile e broker, perse il suo patrimonio a seguito della Grande Depressione e si trasferì con la famiglia all’Upper West Side di Manhattan, dove ricostruì a fatica la sua carriera.

Carolyn, dopo aver frequentato il Wellesley College vicino a Boston, dove si laureò in inglese e filosofia nel 1947, passò alla Columbia University, dove conseguì la laurea magistrale in Belle Arti nel 1951 e il dottorato nel 1959. In precedenza, nel 1945, all’età di 19 anni, aveva sposato James Heilbrun, uno studente di Harvard e futuro docente all’università di Fordham, con cui ebbe tre figli.

 

Proprio alla Columbia fu la prima donna a ricoprire un incarico di ruolo, nel dipartimento di Letteratura inglese e comparata: assistente nel 1962, professore associato nel 1967 e professore di ruolo dal 1972. Nel 1983, insieme a Nancy K. Milner, fondò e diresse la  collana “Genere e Cultura” della Columbia University Press, e nel 1986 divenne direttrice dell’Istituto di Ricerca sulle donne. Seguirono la nomina a presidente della Virginia Woolf Society, e la consulenza della “Serie sulle Donne” dell’Università del Michigan, a renderla indiscussa pioniera della letteratura femminista, grazie anche alle numerose lezioni e conferenze presso altre università oltre alla Columbia (Yale, Princeton, Swarthmore), fino al maggio del 1992, quando si ritirò dall’ambiente accademico denunciandone il sessismo. “E’ come la fine di un matrimonio”, dichiarò con rammarico, lasciando l’università da professoressa emerita, ma continuando a scrivere romanzi e saggi a favore dei diritti delle donne.

 

Tra i suoi studi sulla condizione femminile, firmati come Carolyn Heilbrun, i più importanti risultano Writing a Woman’s Life del 1988 e la raccolta di saggi Hamlet’s Mother and Other Women del 1990 (entrambi editi da noi da La Tartaruga, Milano, 1990 e 1994). Soprattutto nel primo, divenuto un bestseller, l’autrice si propose di svecchiare le definizioni di “realizzazione femminile”, proponendo nuovi modelli ispirati a Virginia Woolf e Dorothy Sayers, donne capaci di ribellarsi ai cliché culturali imposti dalla società in cui vivevano.

 

Stanca dopo tante battaglie civili e amareggiata da varie polemiche, la scrittrice si spense a New York all’età di 77 anni, il 9 ottobre 2003.

 

Carolyn Heilbrun diventò la giallista Amanda Cross nel 1963 – con il romanzo In ultima analisi, pubblicato l’anno dopo – dove lo pseudonimo trovava ragione nel timore di vedersi revocare il contratto di insegnamento e nella necessità, da parte della scrittrice, di una maggiore libertà d’espressione. E’ curioso segnalare che la sua vera identità fu scoperta nel 1970 grazie alle ricerche condotte da un suo lettore, capace di risalire a lei tracciando le informazioni ricavabili dal copyright dei libri pubblicati.

 

Nel giallo d’esordio la Cross presenta per la prima volta la detective Kate Fansler, che diverrà la protagonista di una serie di quattordici mysteries, editi dal 1964 al 2002, tradotti in sette lingue e venduti in totale in quasi un milione di copie. Di questi, esattamente la metà sono comparsi in edizione italiana, e non tanto nei consueti Gialli Mondadori [GM] quanto presso editori di nicchia ma dal preciso impegno politico e civile come La Tartaruga di Milano [Tar], o in grado di coniugare tirature e qualità (Einaudi, Bompiani), in linea col particolare profilo intellettuale della nostra giallista:

 

– 1964, In the Last Analysis (In ultima analisi, Tar, 1987; GM n. 2648, 1999);

– 1967, The James Joyce Murder (Un delitto per James Joyce, Tar, 1985; Einaudi, 2006);

– 1970, Poetic Justice (Giustizia poetica, Roma, Fazi, 1998);

– 1971, The Theban Mysteries;

1976, Question of Max (A proposito di Max, Tar, 1989);

– 1981, Death in a Tenured Position (Morte ad Harvard, GM n. 1772, 1983);

– 1984, Sweet Death, Kind Death (Dolce morte gentile, Bompiani, 1996);

– 1986, No Word from Winifred;

– 1989, A Trap for Fools;

– 1990, The Players Come Again (Intreccio pericoloso, Tar, 1997);

– 1995, An Imperfect Spy;

1998, The Puzzled Heart;

2000, Honest Doubt,

2002, The Edge of Doom.

 

Ma come si presenta ai lettori Kate Fansler? Docente universitaria, detective dilettante suo malgrado, è energica e simpatica, meticolosa senza essere fredda, riflessiva senza pedanteria, e soprattutto capace di ascoltare e comunicare con gli interlocutori più diversi. E’ indubbio che un personaggio così va considerato di fatto una sorta di alter ego idealizzato della stessa scrittrice: come lei attiva presso una prestigiosa università di New York, interessata alla letteratura femminile, arguta, colta, intelligente, consapevole delle proprie potenzialità, ma soprattutto solidale con le altre donne, Kate Fansler doveva in teoria ispirare le lettrici ad assumere il controllo della loro vita e a ribellarsi contro la società fallocentrica.

 

Il romanzo in cui il femminismo dell’autrice si manifesta più chiaramente è Morte ad Harvard, in cui la detective prende le difese di una collega, Janet Mandelbaum, divorziata, molto colta e molto sola, prima donna designata a insegnare alla Harvard University e vittima dei pregiudizi dei colleghi, che non solo non riescono ad accettare la sua nomina, ma considerano anche la presunta discriminazione sessuale come un’invenzione di donne pigre e mediocri. Il tema della solidarietà femminile, centrale nel romanzo, diventa così per Kate la condizione necessaria per far fronte al dilagante sessismo presente in ambito accademico e non solo, tanto più quando Janet morirà in modo misterioso e lei dovrà far luce sulla sua tragica fine.

 

La specificità culturale della Cross emerge anche considerando che alcuni suoi gialli risultano costruiti attorno a grandi scrittori o capolavori della letteratura, a partire dal primo, In ultima analisi, incentrato su Freud. Il secondo, Un delitto per James Joyce, rivela una riuscita trasposizione dei personaggi di The Dubliners nel moderno Berkshire. I due gialli successivi, Giustizia poetica e The Theban Mysteries (mai tradotto in italiano), prendono spunto dai disordini politici degli anni Sessanta nel mondo universitario e scolastico, con il secondo, inoltre, a utilizzare la figura di Antigone per affrontare il problema del Vietnam.

 

Altra peculiarità rilevata nella Cross è che soltanto in due dei suoi gialli compaiono direttamente dei cadaveri. Nelle indagini di Kate, infatti, gli omicidi non avvengono molto spesso, né assumono un carattere efferato: cosa che ha suscitato alcune critiche verso la scrittrice, che s’è giustificata spiegando di essere maggiormente interessata ai “misteri intellettuali”, ossia a storie in cui l’intelligenza e l’astuzia ricoprano un ruolo molto più rilevante della violenza. E anche questo spostamento dell’attenzione – dalla semplice trama dell’omicidio al romanzo stesso – ci pare possa rappresentare un punto di rottura con il genere giallo convenzionale.

 

Ci piace concludere, a questo punto, con le parole con cui una volta Carolyn Heilbrun parlò di se stessa, dei suoi gialli e della sua poetica narrativa:

“Ho cominciato a scrivere i romanzi di Amanda Cross nel 1963, perché non riuscivo a leggere un poliziesco che mi facesse divertire. Ahimè, da allora la situazione è rimasta praticamente immutata (eccezion fatta per P.D. James). Io credo di rappresentare il vecchio stile della detective-story. A volte penso persino di essere anacronistica. Dai dati di vendita, dalle lettere che ricevo, dal numero delle ristampe in paperbacks, però, ho tratto la conclusione di aver avuto qualche seguito. Nello stesso tempo sono sempre stata ignorata da coloro che dominano il campo della narrativa gialla. Per quedsto mi sembra di non aver diritto di appartenervi.

Ma cosa volevo nella narrativa gialla che non riuscivo a trovare? Prima di tutto il dialogo, e poi un ambiente o un’atmosfera in cui la violenza deve arrivare inaspettata. Esattamente il contrario, cioè, di quel che voleva Chandler, o che diceva di volere, in La semplice arte del delitto. Inoltre a me piacciono i misteri letterari, non proprio con una citazione all’inizio di ogni capitolo, anche se non mi darebbe fastidio, ma con un cast di personaggi che includono anche coloro che possono non conoscere la letteratura.

Mi piace soprattutto la figura femminile, ma non come fatto decorativo, come arredo domestico o oggetto sessuale. In breve, mi piace che le donne dei miei romanzi siano gente reale, così come lo erano nella prima opera di Nicholas Blake [su cui cfr. i nostri MAESTRI DEL GIALLO, 08/04/2021]. So che posso venir tacciata di snobismo. E’ inevitabile. Io stessa sono in qualche modo anomala, perché amo la cortesia e l’intelligenza, odio la violenza e non considero il sesso uno sport che si può praticare davanti al pubblico. Adoro l’umorismo, temo la villania e la crudeltà del potere…”

E su questa parola, conclusiva, concludiamo anche noi con una definizione della stessa Cross, tratta da altro contesto: “Il potere consiste, in gran parte, nel decidere quali storie verranno raccontate.”

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