A Complete Unknown
Regia di James Mangold
Interpreti: Timothée Chalamet, Edward Norton, Elle Fanning, Monica Barbaro, Boyd Hollbrook, P. J. Byrne,
Scott Mc Nairy, Will Harrison, Dan Fogler, Joe Tippett, Laura Kariuki, Charlie Tahan, David Allan Basche.
Sceneggiatura: James Mangold, Jay Cocks
Produttori: Timothée Chalamet, James Mangold, Alan Gasmer, Bob Bookman, Peter Jaysen, Jeff Rosen, Fred Berger, Alex Heineman.
Produttore esecutivo: Bob Dylan, Michael Bederman, Brian Kavanaugh-Jones, Andrew Rona.
Casa di Produzione: Range Media Partnersm Veritas Entertainment Group, The Picture Company, Turnpike Films
Distribuzione: Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italy
Fotografia: Phedon Papamicheal
Montaggio: Andrew Buckley, Scott Morris
Scenografia: François Adouy, Regina Graves
Costumi: Arianne Phillips
Genere: Biografico
Anno 2025
Recensione a cura di Dario Brunetti
A Complete Unknown è un film scritto, prodotto e diretto dal regista newyorkese James Mangold uscito nel 2024. Ripercorre gli inizi della carriera di Robert Allen Zimmerman in arte Bob Dylan fino ad arrivare all’anno della svolta elettrica.
Siamo nel 1961 e un giovane Bob Dylan (Timothée Chalamet), si trasferisce a New York per conoscere il suo idolo musicale, il cantante e chitarrista Woody Guthrie (Scott McNairy).
L’uomo è in ospedale, affetto da una malattia neurodegenerativa ed è in compagnia di un altro musicista Pete Seeger (Edward Norton) con il quale il giovane Dylan stringe subito amicizia.
Ci tiene a suonare davanti ai due artisti, facendo ascoltare particolarmente a Woody Guthrie il brano che gli ha dedicato dal titolo Song to Woody. È il primo pezzo da lui scritto che sarà introdotto nel suo album d’esordio Bob Dylan nel 1962.
Un’emozione infinita per il giovane Dylan esibirsi davanti a Woody, suo punto di riferimento e padre della musica folk; i due artisti resteranno rapiti e incantati dall’ascolto di quel brano così magistralmente interpretato da un ragazzo di soli vent’anni, un predestinato ad avere talento?
Sarà proprio Pete Seeger a plasmare Bob Dylan introducendolo nella scena folk americana e dandogli la possibilità di esibirsi insieme ad altri artisti in diversi locali del Greenwich Village.
Questo quartiere diventò una vera e propria colonia per gli artisti della scena musicale, nonché un notevole punto di riferimento per scrittori del calibro di Jack Kerouac, William Burroughs e Allen Ginsberg.
In uno dei locali del Greenwich Village, Bob Dylan (Timothée Chalamet) incontrerà Sylvie Russo interpretata da Elle Farning (un nome fittizio attribuito a Suzie Rotolo) con la quale avrà una relazione che a lungo andare tenderà a vacillare a causa del sodalizio artistico tra Bob Dylan e la folk-singer Joan Baez (Monica Barbaro) per la quale lo stesso menestrello di Duluth inizierà a invaghirsi. Sylvie romperà il legame con lo stesso Bob che ormai sta sempre raggiungendo l’apice del successo e non riesce a contenere innumerevoli fan che non gli danno tregua.
Ma cos’ha rappresentato il folk per Bob Dylan? Sapeva che si sarebbe trattato di qualcosa di molto serio e importante, i brani folk nella loro semplicità sono suonati con chitarra acustica e armonica nel suo caso e sono contraddistinti da disperazione, tristezza, fede e speranza, senza dimenticare canzoni di denuncia sociale come Blowin’ in the Wind e Master of War.
Entrambe le due tracce sono contenute nel suo secondo album pubblicato nel 1963 The Freewheelin’ Bob Dylan e rappresentano l’emblema della canzone di protesta: Blowin’ in the Wind è un brano di tipo pacifista ed esistenzialista nel quale ci si interroga su tematiche sociali rilevanti attraverso una concezione visionaria e poetica da parte di Dylan che si sofferma sulla totale incapacità dell’uomo nel rifiutare ogni tipo di guerra.
Invece in Master of War, lo stesso Dylan punta il dito come dice il titolo contro i padroni della guerra rivolgendosi a loro in maniera esplicita e perentoria, accusandoli di restare indifferenti e comodamente seduti dietro una scrivania, mentre il fango si porta con sé i corpi insanguinati di tanti poveri ragazzi uccisi a causa della guerra.
Si nota subito l’enfasi di Chalamet interpretando Dylan nel caricare con vigore le parole dello stesso brano mettendoci nella denuncia il disprezzo e tutta la rabbia possibile nei confronti dei padroni della guerra, una canzone che ancora oggi emette il suo grido. Dal 1963 ai giorni nostri non è cambiato assolutamente nulla.
A complete unknown, canditato agli Oscar 2025 con 8 candidature racconta in modo magistrale la vita e la carriera di un’icona come Bob Dylan, il padre degli ideali perduti. L’opera di Mangold ripercorre uno spaccato fondamentale nella carriera artistica di Dylan, grazie a un Timothée Chalamet in versione menestrello di Duluth, l’attore francese gli regala la giusta dose di autenticità rendendolo credibile. Chalamet diventa Dylan non solo nell’eseguire i suoi brani con quell’incredibile capacità di suonare senza nemmeno muovere la chitarra peculiarità che tra l’altro lo caratterizza, ma nel suo sguardo svagato e nell’essere trasandato, nel diventare un uomo imprevedibile capace di non dare alcun punto di riferimento alle persone che lo circondano e nel non fissare sempre il suo interlocutore come se si perdesse in un mondo tutto suo, nella sua creatività e immaginazione che ha fatto di lui il più grande artista di sempre.
Davvero perfetto Chalamet, ineccepibile la sua prova esattamente come quella di Monica Barbaro che interpreta Baez donandogli la forza evocativa che ci mette nell’interpretare i suoi brani.
Ma chi è Bob Dylan chiederanno a David Zard nel 1984 che lo porterà nella tournée italiana nei due concerti all’Arena di Verona assieme a Carlos Santana? Bob Dylan è incontrollabile, non ha manager, decide lui all’ultimo momento risultando spiazzante per chi li sta attorno.
Ma forse siamo andati troppo oltre e non ci resta che tornare indietro perché, a quanto pare, si sta muovendo qualcosa nella carriera di Robert Allen Zimmerman in arte Bob Dylan c’è aria di cambiamento come lo stesso artista denuncia nel brano The Times They Are a-Changin’. Sarà il suo terzo album e uscirà nel 1964 e ancora una volta una canzone di denuncia che diventerà un inno di battaglia di una generazione intera. Per la prima volta si vedono i giovani voltare le spalle ai loro padri avvertendo un sentimento di ribellione nei confronti di una generazione passata e nella quale non si riconoscono. Ma ancor di più Dylan punta il dito contro la politica americana, schiava della sua stessa ipocrisia e di critici e giornalisti piegati con riverenza al potere. Il brano uscì un anno prima, precisamente nel 1963 un periodo storico che il mondo intero non dimenticherà mai. Sarà l’anno dell’assassinio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy.
Il regista Mangold ripercorre frammento per frammento avendo cura della stessa pellicola che maneggia proprio nel rispetto del grande musicista americano, lo si percepisce dalla costruzione delle scene e dallo stile chirurgico utilizzato nell’inquadramento di tutti i personaggi del film focalizzando soprattutto l’attenzione su dei momenti emblematici che rappresenteranno la storia di vari artisti: dall’incontro emozionante con Woody Guthrie nel quale Dylan realizzerà il suo grande sogno, dal sodalizio musicale con Joan Baez, all’attestato di stima che gli riserverà un’altra pietra miliare della musica folk-country, il cantautore e chitarrista Johnny Cash.
Ma c’è ancora un momento epico a cui la pellicola di Mangold farà riferimento e che rappresenterà per sempre la svolta nella carriera dell’artista e risale al 25 luglio del 1965.
Bob Dylan si presenta sul palco del Newport Folk Festival con giubbotto e pantaloni di pelle nera e imbraccia una chitarra elettrica, insolito per uno che suonava in modalità acustica ed eseguiva canzoni di protesta e denuncia sociale! Cos’è accaduto a quel ragazzo del Minnesota così legato ai suoi brani folk in cui cercava di smuovere le coscienze e andava in difesa degli ultimi e degli oppressi?
Chi si aspettava il Dylan di sempre si dovrà preparare alla sua trasformazione perché proprio su quel palco si presenterà una formazione tipicamente rock. La svolta elettrica era stata già annunciata quattro mesi prima con l’uscita di un altro album capolavoro Bringing it all back home, ma al Newport Folk Festival il pubblico non riconoscerà il suo artista di sempre che sarà fischiato e denominato traditore.
Dylan imperterrito continuerà a suonare i suoi pezzi che lo porteranno alla definitiva svolta rock ma sarà difficile placare gli animi inquieti della folla. Se ne andranno delusi e sconcertati e non riusciranno mai a comprendere la reazione di quel pubblico che per anni ha osannato il menestrello di Duluth che si ripresenterà mestamente sul palco e offrirà una delle più struggenti ballate folk dal titolo It’s all over now baby blue strappandone i meritati applausi.
Ma forse è davvero tutto finito? La risposta è sì; eppure il pubblico che ha tanto amato Dylan non demorde, ma lui rincarerà la dose diventando ancora più rock e in un concerto a Manchester sarà apostrofato come “Giuda!”, lui risponderà a chi si è rivolto in quel modo: ”Non ti credo!” e rivolgendosi alla band darà un ordine ben preciso: “Play it fucking loud” (“suonate forte cazzo!”) e partirà quel deciso e incessante rullare i tamburi che spalancherà le porte a un altro brano che entrerà nella storia del rock dal titolo “Like a Rolling Stone”, che nel 2024 sarà proprio la rivista Rolling Stone a classificarlo al 1° posto nella lista dei migliori brani di tutti i tempi.
Ma qual è il vero significato della canzone? A chi si rivolge e cosa nasconde? Chi è la miss solitudine che è passata dal lusso più sfrenato al cadere così in disgrazia? Come una pietra che rotola la definirà Dylan, per usare un’espressione idiomatica che si accosta al termine nomade.
Miss solitudine a cui Bob Dylan si riferisce è Edie Sedwick, modella e attrice statunitense che è diventata la musa ispiratrice di uno degli artisti più influenti del XX secolo. Stiamo parlando del poliedrico Andy Warhol.
Il brano coniuga sonorità folk a quelle rock, un connubio tra questi generi musicali apre la strada proprio al musicista statunitense per intraprendere un cammino interminabile che nel corso del tempo lo porterà a sperimentare altri generi musicali passando al blues-rock per una definitiva consacrazione tale da renderlo immortale.
A Complete Unknown è una fedele ricostruzione di James Mangold sul periodo che va dal 1961 al 1965 in cui abbiamo potuto rivedere il volto angelico di un giovane Dylan in Timothée Chalamet che ne ha saputo offrire un’interpretazione maiuscola facendolo passare da profeta a ribelle grazie a uno stile camaleontico. L’opera dona allo spettatore quel qualcosa di puramente magico ed esaltante al tempo stesso, dal momento in cui vedremo sin dall’inizio in Dylan, un ragazzo dalle idee chiare che voleva realizzare il suo sogno e una volta raggiunta la sua notorietà sarebbe diventato l’artefice del suo stesso destino non perdendo mai il suo essere visionario da poeta che lo porterà a vincere nel 2016 il Premio Nobel per la letteratura.
Ma ancora oggi siamo riusciti a comprendere per davvero Bob Dylan? Ecco il motivo della perfezione di questa eccellente pellicola che l’ha reso ancor di più impenetrabile, misterioso e sfuggente. Ma se del Dylan uomo e artista ci poniamo dei quesiti e allora non ci resta che far parlare i testi delle canzoni e son sicuro che non sempre troveremo le risposte nel vento nonostante le innumerevoli strade che dovremo percorrere nella nostra vita.