Vita di Cristo e del suo cane randagio
Storia e tradizione raccontano che la notte in cui nacque Gesù a Betlemme faceva freddo. I pastori sorvegliavano le greggi dalle intrusioni di briganti e lupi. Molti si riscaldavano attorno ai falò. Ma quella era una notte movimentata come mai. Verso una capanna incavata nella roccia si incamminavano persone a loro sconosciute. Ma più delle persone, ad attirare gli sguardi fu il passaggio di un cane enorme e bianco, anzi candido, che spedito, fiutando il terreno, si era unito alla processione diretta alla capanna, ora illuminata da una strana stella. Intanto si era sparsa voce che lì fosse nato l’Uomo che li avrebbe liberati dall’oppressione di Roma. Alcuni vollero vederlo. Ai piedi di una greppia adattata a culla, insieme a una giovane donna e al suo sposo, era accucciato il cane che sembrava vegliare sul Bambino, e poco lontano un bue e un asino. Inizia così il nuovo romanzo di Vincenzo Pardini. La narrazione prosegue sulla linea dei Vangeli, dove vicende di Cristo si intrecciano con quelle dell’animale che mai lo abbandonerà. Fedele e presente, il cane resterà solo il giorno che il Redentore ascenderà al cielo, e randagio rimarrà finché, come promesso, non tornerà sulla terra.
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Recensione a cura di Dario Brunetti

Vita di Cristo e del suo cane randagio è la nuova opera di Vincenzo Pardini uscita per la prestigiosa casa editrice Vallecchi di Firenze.

Lo scrittore nativo in un paese della Media Val Di Serchio, (piccolo distretto geografico della provincia di Lucca) ci narra attenendosi ai vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, della vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo, inserendo la figura di un personaggio inedito ai lettori, un cane di nome Ebaù.

Si tratta di un cane bianco di grandi dimensioni da somigliare a un pastore maremmano che compare nella grotta di Betlemme in cui Maria sta dando alla luce il bambin Gesù. Diventa spettatore interessato della sua nascita e infatti si trova di fronte ai suoi genitori, il falegname Giuseppe e Maria.

Da quel momento Ebaù sarà l’ombra di Gesù, se gli apostoli sono dodici, lui rappresenta il tredicesimo; si prende cura di lui, lo difende combattendo i demoni pronti per assalirlo, in un paese in cui proprio i cani venivano allontanati dai farisei e i giudei che saranno gli stessi pronti ad odiare il suo fedele padrone.

Ma Gesù prosegue nel curare lebbrosi sotto la loro stessa incredulità (vangelo di Marco), nel guarire ciechi, e nel liberare persone dal demonio e infine moltiplicare i pani e i pesci, nonostante serpeggia infima l’ombra del male che risiede nelle vite di molti esseri umani, qualcuno di questi è anche disposto a tradire.

Se l’uomo è pronto a tradire, Giuda Iscariota ne è un tipico esempio, data dalla famosa transazione della storia in cui Giuda vendette Gesù per trenta denari d’argento consegnandolo ai capi dei sacerdoti pronti per portarlo davanti al Governatore affinché venisse condannato a morte.

Gesù sentiva che il tradimento da parte di uno degli apostoli era nell’aria e lo comunicò il giorno dell’ultima cena: in verità vi dico, uno di voi mi tradirà e sarà colui che ha messo con me la mano nel piatto ed è quello che mi tradirà”.

Giuda, il traditore disse: “Rabbi, sono forse io?

Gesù rispose: “Tu l’hai detto”.

Sarà un momento emblematico rappresentato dall’ultima cena dove Gesù è a tavola con i dodici apostoli e c’è la figura di un cane che sotto il tavolo consuma il suo cibo.

Ebaù, trasmette quel senso di purezza grazie al suo manto bianco e vive con Gesù un sentimento di fratellanza andando con lui in simbiosi, si instaurerà così, un’intesa di tipo spirituale.

Nell’ultima cena del pittore tedesco Peter Paul Rubens realizzata nel 1932 e ubicata nella pinacoteca di Brera di Milano viene rappresentato un cane, la sua figura è fondamentale e rappresenta la fedeltà che all’essere umano manca.

Un altro affresco riguardante l’ultima cena viene attribuito al pittore mantovano Giuseppe Orioli ed è custodito nel Museo Diocesano Francesco Gonzaga. Non è casuale la presenza di un piccolo cane bianco ai piedi del tavolo contrapposta alla figura di Giuda Iscariota vestito di nero.

Pardini riprendendo le testimonianze dei quattro evangelisti, narra la storia di Gesù di Nazareth focalizzandosi sul rapporto che aveva non solo col suo fedele amico Ebaù, ma con tutti gli animali.

Il Messia aveva un rapporto basato sull’amore e sul rispetto verso gli animali, una peculiarità che gli esseri umani tendono ad avere sempre meno, concentra l’attenzione su dei valori assoluti e imprescindibili come la fratellanza, la reciprocità e lo spirito di condivisione.

Valori che nella società odierna si stanno sempre più perdendo.

Nel romanzo di Pardini la figura di Ebaù arriva attraverso la sua sensibilità e riesce a trasmetterci dei sentimenti puliti e nobili, proprio come nostro signore Gesù Cristo.

Vita di Cristo e del suo cane randagio è un’opera sincera, onesta che arriva al nostro cuore, grazie al personaggio di Ebaù, scopriremo un angelo che veglia sulla figura di Cristo sia in vita che quando starà per morire e che non lo abbandona mai, soprattutto se tornerà ad essere randagio per aspettarne il suo ritorno.

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