Benvenuta a Valentina Guani, traduttrice, interprete e grande lettrice. Numerosissime le traduzioni all’attivo, tra gli autori più noti ricordiamo Dan Brown, Patricia Cornwell, John LeCarré e Joyce Carol Oates. Le abbiamo rivolto alcune domande, sull’esperienza a Ormea e sul suo lavoro. Buona lettura!
1. La vincitrice del Premio Traduzione 2024 è lei Valentina. Un riconoscimento di grande valore a una professionista che negli anni ha reso fruibile ai lettori opere dell’editoria internazionale. Qual è stata la reazione alla notizia del premio? Ci racconta qualche curiosità sulla sua esperienza alla Quercia del Myr? Cosa ricorderà in particolare?
– La notizia, arrivata durante le vacanze estive, è stata una graditissima sorpresa. Conoscevo il premio, ma mai più avrei mai immaginato di essere selezionata. Quello che non conoscevo era il romanzo da cui prende il nome. L’ho letto e mi è piaciuto molto: una storia ambientata oltre un secolo fa, forse un po’ ingenua, ma avvincente e con una “morale della favola” che soddisfa sia il gusto per gli intrecci investigativi, sia il senso della giustizia (che secondo me manca in tanti thriller contemporanei).
Non conoscevo neppure il team degli efficientissimi organizzatori del Premio, che mi hanno accolto con grande cordialità e mi hanno messo subito a mio agio. La cerimonia è stata curata nei minimi dettagli, la premiazione solenne e amichevole al tempo stesso, e mi è piaciuto molto assistere alla chiamata dei tanti autori di testi editi e inediti e condividere con loro l’emozione di salire sul palco della Società Operaia di Ormea.
Anche la città è stata una gradevole sorpresa. Per me era soltanto un nome dalle sonorità familiari perché da bambina ho vissuto un paio d’anni a Imperia, ed è stato bello girare per le strade del centro storico, che la domenica mattina si è ulteriormente animato per un mercatino di prodotti locali.
A proposito di specialità locali, dal momento che il vostro blog si chiama GialloeCucina, vi segnalo le lasagne di Ormea: pasta integrale fatta a mano con una parte di farina di grano saraceno, condita con patate e formaggio raschera. Squisite!
2. Lei ha all’attivo circa 200 traduzioni e parliamo di nomi molto noti nella letteratura internazionale, mi viene da pensare a Joyce Carol Oates, Dan Brown, John Le Carré. Il traduttore è anche scrittore (pur non pubblicando)? Le capita mai di pensare che un passo della storia sulla quale sta lavorando lo avrebbe scritto diversamente? Esiste una sorta di “competizione” tra lei e l’autore che le viene affidato?
– Il traduttore (che nella stragrande maggioranza dei casi è una traduttrice) è anche scrittore, anzi autore, tant’è vero che le traduzioni letterarie sono coperte dal diritto d’autore e del tutto equiparate dal punto di vista giuridico e fiscale alle opere d’ingegno degli autori che traduciamo. Concordo però con Laura Scarmoncin, che definisce la traduzione un lavoro autoriale “semi-libero”: il nostro è un lavoro dove la creatività è messa al servizio di un testo di partenza che va il più possibile rispettato con l’obiettivo di trasmettere a chi legge in italiano le stesse informazioni, reazioni, emozioni suscitate dall’originale in chi lo ha letto nella lingua di partenza – nel mio caso, in inglese o in francese.
Non parlerei perciò di competizione con l’autore/autrice: non è questo il ruolo del traduttore e comunque io sono sempre stata per carattere più propensa a elaborare le parole altrui che a scriverne di mie: fin dalle elementari, mi è sempre piaciuto di più fare i riassunti che i temi e, non a caso, non appartengo alla folta schiera di traduttrici e traduttori che pubblicano anche opere proprie e hanno una doppia vita come autori/autrici. La mia doppia vita è sempre stata fatta di traduzione scritta da una parte e interpretariato dall’altra. E anche l’interpretariato cos’è, se non elaborazione di parole altrui?
3. La traduzione non è un mero lavoro di trasformazione delle parole da un idioma a un altro. Il contorno è fatto di usi lessicali, espressioni dialettali, forme dialogali che potrebbero trarre spunti da particolari usanze del luogo di provenienza dell’autore. Come ci si prepara ad affrontare una traduzione? Quanta ricerca e dedizione ci sono alla base del suo lavoro?
La preparazione migliore è leggere, leggere, leggere, e ascoltare il più possibile ciò che scrivono e dicono gli altri, sia nella lingua originale che in italiano. Può capitare che l’espressione azzeccata per tradurre una battuta di dialogo in un romanzo si colga per strada, sull’autobus o parlando di tutt’altro nelle situazioni più impensate. Ma nella narrativa si incontrano a volte argomenti molto tecnici e allora bisogna studiare e documentarsi sui temi più vari. Un tempo si andava in biblioteca e si consultavano esperti in carne e ossa, adesso tante cose si trovano su Internet e a volte si riesce addirittura a “vedere” dove si svolge l’azione delle storie che si traducono. La figura del traduttore solitario che usciva di casa solo per andare in biblioteca si è evoluta in maniera molto simile a quella dell’Homo sapiens che diventa Homo computer, gobbo, con le mani ad artiglio e le doppie palpebre.
4. Lei lavora da anni a quattro mani con Annamaria Biavasco, insieme avete avuto l’arduo compito di tradurre, tra le altre cose, un indiscusso capolavoro come Via col vento di Margaret Mitchell per la casa editrice Neri Pozza. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di lavorare in squadra in una traduzione dove molto spazio credo vada lasciato anche all’interpretazione del singolo?
Lavoro con Annamaria Biavasco praticamente da sempre. Stanche di traduzioni tecniche e commerciali, abbiamo cominciato a tradurre narrativa a quattro mani tanti anni fa, quando le traduzioni firmate da più persone erano piuttosto rare. Adesso, con l’accelerazione dei tempi del mercato editoriale, sono assai più comuni. Noi abbiamo il vantaggio di essere molto affiatate: scherzosamente ci definiamo un “mostro a due teste”. Siamo abituate a confrontarci e a discutere tutte le scelte, dall’impostazione della strategia traduttiva per ogni testo che affrontiamo alle scelte lessicali, e persino alle virgole e ai congiuntivi, di cui qualche volta siamo state accusate di essere “avare”. A proposito di Via col vento, che è stato uno dei lavori più impegnativi ma anche più gratificanti della nostra carriera, mi viene in mente che anche la traduzione del 1937 è a quattro mani: Enrico Piceni e Ada Salvatore, a un solo anno di distanza dall’uscita dell’originale, hanno portato a termine l’impresa senza computer e senza internet, e credo che la loro sia stata una delle prime traduzioni eseguite da più persone per motivi di tempo.
5. Lei ha iniziato con le traduzioni commerciali, tecniche e poi è passata all’editoria. Cosa l’ha spinta al cambiamento e soprattutto ha dovuto “imparare” un nuovo modo di lavoro?
Sono sempre stata una lettrice accanita e tradurre libri è un ottimo sistema per vivere fra i libri. Credo che il vero motivo per cui sono passata all’editoria sia questo. L’esperienza acquisita con le traduzioni commerciali e tecniche mi è stata utile per affrontare la saggistica, ma come dicevo anche nelle opere di narrativa, soprattutto nei gialli, spesso ci si trova a dover sviscerare passaggi tecnici, o magari fantascientifici, per i quali la familiarità con il linguaggio della scienza e della tecnologia può essere molto utile. Quanto alla modalità di lavoro, ho dovuto imparare a lavorare su tempi più lunghi, a organizzarmi per riuscire a rispettare scadenze che, soprattutto quando ho cominciato, lasciavano ancora grande respiro e possibilità di inframmezzare altre cose. E anche in questo il fatto di lavorare a quattro mani è di grande aiuto, perché ci si disciplina a vicenda dandosi scadenze intermedie e si impara a essere puntuali e nello stesso tempo flessibili e tolleranti.
6. Tra le tante storie tradotte, c’è un genere che la appassiona più degli altri? Il lavoro che le ha dato più soddisfazione? In chiusura, esiste un testo che avrebbe voluto tradurre?
Traducendo finisco per appassionarmi a qualsiasi storia, persino le più raccapriccianti, che per indole eviterei. Ci sono inevitabilmente scrittori che mi risultano più congeniali sia per lo stile che per i temi che trattano. Mi vengono in mente Joyce Carol Oates, Barbara Kingsolver e Marina Lewycka, e poi Armistead Maupin e John LeCarrè e suo figlio, Nick Harkaway. E naturalmente Margareth Mitchell e il suo Via col vento. È sicuramente il libro a cui sono più affezionata, se non altro perché abbiamo passato a stretto contatto oltre 12 mesi. Confesso: non l’avevo mai letto prima, forse per colpa del film, e mi ha sorpreso per la sua vivacità, ironia, compassione e spietatezza al tempo stesso. Il personaggio di Scarlett è fantastico, e io e Annamaria abbiamo cercato di restituirlo in tutte le sfaccettature che presenta nell’originale, al di là delle versioni che emergevano dal film e dalla traduzione del ’37.
Da amante della lettura e indefessa lavoratrice, sono sempre alla ricerca di nuove voci da ascoltare e da tradurre. Mi dispiace che non vengano più tradotti i romanzi di Richard North Patterson, che trattavano sotto forma di legal thriller temi controversi dell’America contemporanea.
Grazie mille a Valentina Guani per la gentilezza e la disponibilità