Intervista di Gino Campaner e Dario Brunetti
Complimenti innanzitutto per il romanzo assolutamente da leggere. Una curiosità, il libro è attraversato da una vena forse meglio dire da un fiume di ironia nei dialoghi e nei pensieri dei protagonisti è una cosa voluta per stemperare l’atmosfera o fa parte del suo stile in occasione di questo romanzo?
Grazie per il giudizio positivo sul romanzo.
L’ironia fa parte del mio corredo genetico. A volte è una maledizione, perché in certi contesti sociali e aziendali non viene apprezzata, ma non posso farci nulla. E’ più forte di me, la tentazione di usare l’ironia anche quando cozza con il politicallycorrect. C’è uno slogan del Maggio ’68 francese che dice “Una risata vi seppellirà”. Me la sono tatuata nell’anima, assieme alla battuta “Il Re è nudo!” della celebre favola di Andersen. L’ironia del resto è l’unica arma lasciata al popolo dalle dittature, e quella in cui viviamo è secondo me la dittatura del perbenismo imperante. Che poi nasconde le peggiori infamie.
Poi comunque c’è da dire che con un personaggio come Sergio Stokar, ispirato ai classici dell’hard boiled, l’ironia era una caratteristica indispensabile. Certe battute di Philip Marlowe sono più corrosive dell’acido di Alien. Stokar è un po’ il figlio, rigorosamente illegittimo, di Marlowe…
Un libro che è prevalentemente un noir ma non solo e che coinvolge anche una serie infinita di argomenti: la speculazione edilizia, la corruzione e tanto altro quanto è stato impegnativo scriverlo? Lo rivedremo ancora all’opera nel noir o nel thriller?
E’ il romanzo che ho impiegato più tempo a scrivere, e credo si senta. Ha un sacco di personaggi, e una trama complessa, non facile da controllare. Tocca anche temi che vanno al di là del noir, di critica sociale e di denuncia, per usare un termine un po’ in disuso oggi. Ma questa era la parte più facile: basta leggere i quotidiani e tenerli da parte il tempo necessario perché le informazioni si assestino ed emerga la realtà dei fatti. Tenere sotto controllo azione e personaggi su una trama così complessa è come coreografare un balletto in modo che nessuno dei protagonisti faccia male, con una mossa sbagliata, a sé o agli altri. O al lettore… Per fortuna ci sono gli editor, che andrebbero ringraziati per il semplice fatto di esistere.
Quanto allo scrivere prima o poi un altro noir, beh, è esattamente quello che sto facendo in questo momento. Anche se sarà un noir molto diverso da Nero come la notte. Molto meno cupo, e con un protagonista decisamente meno tormentato di Sergio Stokar.
Un altro aspetto che amo molto nel romanzo è che il protagonista non è il tipico investigatore con l’anima candida e il mantello da super eroe ma un ex poliziotto con tanti scheletri nell’armadio, un eroe negativo (fascista, razzista, tossico) almeno inizialmente, ci spiega come è nato?
Sergio Stokar è il figlio della mia passione per gli eroi della cause perse, fra cui alcuni che Sergio nomina esplicitamente nel romanzo: i cavalleggeri polacchi che attaccano a cavallo i tank nazisti, o, sul fronte opposto, i volontari francesi della divisione SS “Charlemagne” che si battono fino all’ultimo fra le rovine di Berlino. Quando mi è nata in testa l’idea di scrivere questo romanzo stavo leggendo un saggio sulla battaglia di Dien BienPhu, e fra le cose che conteneva c’era la storia di un ufficiale francese che pochi giorni prima che l’ultima ridotta francese in Indocina cadesse nelle mani dei vietcong lasciò l’ospedale in cui era ricoverato per una ferita e si fece paracadutare là, in un luogo senza speranza. Sergio è nato così. E’ l’eroe delle cause perse. Soprattutto, il suo non essere un buonista – anzi, tutt’altro – assicura uno sguardo lucido sul mondo dei reietti in cui è finito: non ha fette di prosciutto sugli occhi, non vede rosa; se vede qualcosa di buono, il lettore può essere certo che quel buono c’è, è reale. Poi c’è da dire che nel corso del romanzo Sergio cambia. I suoi pregiudizi iniziali cadono, e questa è anche la mia speranza per questo Paese: che prima di giudicare le cose cominciamo a vederle. Che sappiamo cogliere nelle cose delle opportunità, prima che dei problemi. L’attuale emergenza del coronavirus, ad esempio, è un’ottima occasione per imparare e migliorare. Ma scommettiamo che ce la perderemo?
Anche il finale lo apprezzo molto. Un finale giusto, coerente col resto del romanzo. Non amo per nulla i finali troppo “accomodanti” da mulino bianco più adatti ai romance dove dopo lotte infinite nessuno si fa male e tutti i protagonisti ne escono con radioso futuro ad attenderli. Mi dia solo una piccola speranza che la storia di Sergio Stokar non è definitivamente archiviata.
Grazie. Amo anch’io molto quel finale, che non è per niente consolatorio, e che in realtà è la chiave di lettura del romanzo, dato che lo stesso viene raccontato in prima persona e al passato…
In effetti lo schema dei gialli o dei noir classici prevede che l’investigatore, per quanto problematico, rappresenti il Bene e, trovando il colpevole di un delitto, ripulisca, simbolicamente, la società dal Male, rimettendola in carreggiata. Ma quando la società è malata, come ci può essere verità o redenzione, nell’atto di indagare, di scoprire un colpevole? Penso al protagonista di un bel noir di Pavel Kohout, L’assassino delle vedove, dove l’investigatore è un poliziotto nazista che deve indagare su un serial killer nella Praga dell’occupazione tedesca. Il fatto che poi lo trovi, rende migliore il mondo? E che senso ha perseguire un serial killer quando indossi la divisa di uno stato che stermina milioni di persone?
Quanto a Sergio Stokar, al momento sta riprendendo le forze, ma prima o poi – non mi sembra un grande spoiler, quindi lo faccio – al largo apparirà un enorme yacht bianco, e da quello yacht si staccherà una barchetta a remi con un inglese vestito in completo bianco di lino e panama altrettanto bianco in testa, che farà a Sergio una proposta che non si può rifiutare. Un ingaggio all’estero. Medio Oriente, con tappe a Mosca e Pechino.
Da affermato autore di romanzi di fantascienza, come si è rivelato l’approccio ad un noir a sfondo sociale?
In realtà non mi sento per niente un autore di genere. La fantascienza mi piace, ma ho scritto anche cose molto diverse. Non ho pregiudizi o timori nei confronti di nessun genere. Certo ogni tipo di racconto ha le sue regole e il suo pubblico specializzato, ma il bello è proprio lì: proporsi a un pubblico nuovo, e portare nel giallo i tuoi lettori affezionati che di solito leggono solo fantascienza, o viceversa: per dimostrare che in fondo non esistono libri di genere. O meglio che i generi sono solo due: libri brutti e libri belli.
Facendo un passo indietro e parlando di fantascienza: un libro e un film a cui è legato particolarmente?
Uno solo? Allora Cloud Atlas di David Mitchell. Meglio il libro del film, per inciso. E’ una lettura che richiede una certa attenzione, perché l’incastro delle varie storie e piani temporali è realizzato con una tecnica estremamente complessa. Ma tutti, assolutamente tutti i libri di Mitchell meritano di essere letti. Scrittore grandioso.
Un’altra abbinata romanzo/film che merita è L’uomo che cadde sulla Terra di Walter Tevis, da cui venne tratto un bel film di Nicholas Roeg con David Bowie. Molto poetico e sorprendentemente in anticipo sulle tematiche ecologiche attuali.
Siamo su Giallo e cucina e come sempre chiediamo il piatto preferito del protagonista. Quale sarebbe quello di Sergio Stokar?
Accidenti. E’ un friulano, con cognome triestino, nato e cresciuto a Manchester… Diciamo il frico, allora, un piatto a base di formaggio fuso tipico del Friuli che ho mangiato, sorprendentemente buono, al Borough Market di Londra. Poi ho scoperto che il cuoco veniva dalle mie parti… Nel mio romanzo Furland® mi sono divertito a immaginare che nel 2030 diventi il piatto più famoso e rinomato a livello internazionale. Non che la cosa sia così assurda: diversi scrittori stranieri che hanno partecipato al festival Pordenone legge si sono entusiasmati per quel piatto da contadini che rappresenta il simbolo gastronomico per eccellenza di noi friulani. Il nostro piatto nazionale.
Domanda di rito TRE libri da consigliare alle nuove generazioni
Solo tre? Okay. Allora, vediamo…
Breviario mediterraneo di PredragMatvejevic, romanzo mondo che ci fa conoscere questo mare culla della civiltà e la forza di ciò che, al di là delle divisioni della storia, unisce e rende unica l’umanità cresciuta sulle sue sponde.
La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead, un romanzo sulla schiavitù dei neri americani in bilico tra storia e fantasia, scritto divinamente bene come tutti i romanzi di questo scrittore eclettico.
Il sindacato dei poliziotti Yiddish di Michael Chabon, una storia ambientata in un mondo parallelo in cui agli ebrei dopo la Shoah viene offerta una parte dell’Alaska anziché la Palestina, per costruirvi una nuova patria.
Non ho mai letto una ricostruzione di un mondo parallelo così potente, perfetta.
Tre bei libri, assolutamente da leggere, se vi fidate di me.
Se non vi piacciono, potete protestare con Sergio Stokar.