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Oggi parliamo con Remo Bassini

Remo Bassini, già autore del precedente volume intitolato La Suora, pubblicato con la casa editrice Golem, torna in libreria con un altro avvincente libro intitolato Bastardo posto, pubblicato dalla stessa casa editrice suddetta. Ma chi è Remo Bassini? Vuole, gentilmente, raccontarci qualcosa di sé come autore e come persona?

Se mi volto a guardare il mio passato rivedo alcune pagine: quelle di un infanzia molto povera, oppure quelle esaltanti – anni dopo – del lavoro di notte in un albergo, lavoro che mi permetteva di preparare gli esami alla facoltà di lettere, oppure rivedo la “tegola” che mi arrivò in testa a vent’anni, quando iniziai ad avere (durerà solo tre anni, per fortuna) crisi epilettiche… e poi rivedo i miei vent’anni e più di giornalismo e di direzione di un giornale. Ho amato il giornalismo, ma a tutti dicevo che da piccolo avevo due sogni: insegnare, e invece sono approdato al giornalismo per caso, e scrivere. Ecco all’età di trentanove anni, dopo tentativi andati a vuoto, riuscii a scrivere il mio primo libro. Andò così. È sera. Ho mal di denti, non ho voglia né di uscire, né di guardare la tv, né di leggere. Prendo un bloc notes e dico a me stesso: ora provo a scrivere un racconto o un romanzo ma tanto so già come finirà. Finirà che quando rileggo non mi piacerà quello che ho scritto e distruggerò tutto. Arriva però una seconda voce. Che mi dice: Raccontami una storia. Insomma, dovevo stupirmi scrivendo qualcosa che non mi era noto, qualcosa che arrivasse dalla mia mano e non dalla mia mente. Scrissi “Sa di antico il mio piccolo bar…” e andai avanti, per due ore. Giorni dopo rilessi, pensando che avrei gettato via tutto, come sempre. E invece avevo come la sensazione che quelle prime pagine fossero state scritte da qualcun altro… Fu così che scrissi Il bar delle voci rubate. Da allora ho scritto e pubblicato in media un libro ogni due anni. Sono pagine belle quella che mi riportano alla scrittura, la cui bellezza non sta nel pubblicare o nei riconoscimenti e nelle vendite (tra l’altro: io ho sempre venduto poco). Insomma, se rivedo il mio passato da scrittore, mi vedo che sono, magari mentre fumo o bevo caffè per stare sveglio, davanti a un pc con il gatto che ogni tanto mi sale in braccio, mentre io son lì ma… non sono lì. Sono lontano, dentro quelle pagine.

Come nasce il libro Bastardo posto?

Avevo già pubblicato alcuni libri, un paio dei quali (Lo scommettitore, che fu libro del mese della trasmissione di Radio Rai Tre Fahrenheit, e La donna che parlava con i morti, edito da Newton Compton) erano andati abbastanza bene. Mi misi a scrivere Bastardo posto con la speranza di poter abbandonare il giornalismo e vivere di scrittura. Pensavo di avere in mente una storia “potente”. A differenza del passato, c’era una novità mentre scrivevo Bastardo posto: provavo come un senso di dolore alle viscere. Provo a spiegarmi meglio. Noi siamo abituati a vivere nella fiducia: fiducia con le persone che ci vogliono bene, fiducia nelle istituzioni, nella scienza e nel futuro. I protagonisti di Bastardo posto, invece, sono persone vinte, calpestate, sfiduciate. E quel loro dolore io le percepivo. Purtroppo è cosa che succede: il potere, nella sua versione più marcia (collegato alla mafia, per esempio) può distruggere o con le pallottole oppure con la macchina del fango. Bastardo posto ha un antefatto: in una città anni addietro sono scomparsi dei bimbi. Una donna (si chiama Marina) sa. E accusa. Cosa fa il potere-marcio? La distrugge isolandola. Facendola passare per matta e per puttana.

Il libro ha un protagonista maschile: Limara Paolo, un giornalista di cronaca nera, che lavora al giornale locale, chiamato La Civetta. Vuole raccontarci qualcosa di lui?

Paolo Limara è una bella persona, un giornalista distrutto. Il primo capitolo inizia con lui che cammina sotto la pioggia, di notte. Marina, la sua amante, la grande accusatrice dei poteri forti, è morta in un incidente, e lui non ha avuto abbastanza coraggio per combattere al suo fianco. Ha perso tutto… ha perso tutto perché non crede più nella giustizia, ha perso l’affetto di suo figlio, ha perso la credibilità che aveva al giornale e poi quando un uomo, camminando, si interroga sul suo passato e vorrebbe distruggere anche i ricordi quell’uomo è peggio di un uomo morto. Limara un po’ rappresenta la natura umana: a volte abbiamo coraggio, a volte quel po’ di coraggio che abbiamo non basta, e soffochiamo. Succede per esempio a coloro che per il quieto vivere (magari giustificato: amano la propria famiglia, i propri figli) preferiscono non andare contro il potere, pur sapendolo marcio. Ma Limara soprattutto rappresenta il giornalismo “impotente”. Il giornalismo dovrebbe dare voce ai deboli contro i forti. Non sempre è così.

Le protagoniste femminili, in questo romanzo, mi hanno colpito per la loro intensità psicologica che viene a caratterizzarle. In particolare Marina e Viola Rodesi. Cosa ci può raccontare di queste due donne?

Marina e Viola hanno qualcosa in comune: hanno perso tutto. Marina è stata sfortunata, ha perso un figlio, il marito l’ha lasciata; Viola invece si è rovinata giocando, e così il marito e il figlio la vedono come una madre da poco. Viola e Marina sono belle, ma diverse. Marina è defilata, timida, in disparte, Viola invece è esuberante. Hanno un connotato, preciso, però, entrambe: il coraggio. Sto parlando di loro, ma sto parlando come lettore non come autore. La loro bellezza – belle ma perdenti – è stato un processo inconscio, un po’ come avvenne quando scrissi il primo libro dicendomi “raccontami una storia”. Qui mi son detto: parlami di Marina, parlami di Viola…

Bastardo posto narra la realtà nera di una provincia, dove l’omertà vige incontrastata. Nessuno parla e nessuno è veramente chi dice di essere. Come commenta? E da dove ha tratto l’ispirazione per raccontare questa realtà?

Bastardo posto è una città del mondo. Può essere una città di provincia come un quartiere di una grande città. Il potere marcio che inghiotte tutto esiste dovunque. Il mio è un omaggio alle vittime, colpevoli solo di aver avuto il coraggio che è una virtù di pochi.

Bastardo posto è un noir cupo, la cui trama si svolge in cinque notti. A chi lo consiglierebbe?

Di sicuro non a chi vuole una lettura rilassante. Oddio, è anche vero che dei miei quindici libri pubblicati – e qui mi contraddico – a volte, proprio per rilassarmi, lo rileggo. Forse perché oltre al noir ci sono degli amori potenti, e anche dei giorni di sole.

C’è per esempio una pagina che mi commuove, nel rileggerla. Allora, Paolo Limara fuma incessantemente, mentre cammina ripensando a Marina. Eppure aveva smesso. Da 40 sigarette a 0 pensando che se fosse morto suo figlio, così timido, così gracile, così simile a lui, ne avrebbe sofferto troppo. Ora però se n’è dimenticato. E fuma… Ma un mattino dalla finestra vede sua moglie e suo figlio che si abbracciano. Sono tristi. Hanno perso il marito e il padre. È un fantasma che vive con loro e che di notte cammina per la città. A Paolo Limara, vendendo suo figlio, tra le braccia della madre, si stringe il cuore. E la sera troverà il coraggio per entrare nella sua stanza, così da parlare con lui come un tempo…

Il suo prossimo lavoro? Può fornirci qualche anticipazione?

In passato amavo dire una frase, questa: Per me scrivere è come respirare. Il momento della scrittura di un libro ti regala tanto, come diceva Salgari ti fa viaggiare senza bagagli. Qualcosa, però, da qualche anno si è inceppato. Adesso vivo leggendo a facendo editing, vivo per seguire allenamenti e partite di mio figlio, che gioca a basket, vivo sognando di vivere davanti al mare (cosa che faceva anche Paolo Limara). C’è un perché. Da qualche anno sono amareggiato. Vedo, soprattutto sui social, gente che non sa più dialogare. Chi non la pensa come te  è uno stronzo, punto. Non va bene, non mi sta bene. Ho sempre pensato che il rispetto, e quindi l’ascolto, vengano prima di tutto. In passato io scrivevo per comunisti o fascisti non importa, per credenti o atei, per gente che comunque si infila(va) le dita dita negli occhi ma poi rispetta(va) chi la pensa(va) in modo diverso. Ora mi sento spaesato. Ma spero con tutto il cuore che mi torni la voglia di scrivere. Oddio, adesso c’è l’intelligenza artificiale, no? Serve ancora scrivere?, mi chiedo. Spero di sì.

Ringraziamo Remo Bassini per averci fornito le risposte a questa intervista, e il blog Giallo e Cucina per la sua pubblicazione.

Cordiali saluti.

Ornella Donna

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