Intervista a cura di Rino Casazza
Il tuo ultimo romanzo, La fragilità degli angeli, in realtà è la terza avventura “noir”di un personaggio che a me è piaciuto molto, anche perché non è frequente che la voce narrante di un giallo sia uno che fa il suo mestiere. Vuoi parlarcene visto che farlo, sospetto, equivarrà ad una tua presentazione?
Carlo Alberto Marchi è un giornalista di cronaca giudiziaria e lavora per “Il Nuovo”, il più antico quotidiano di Firenze. Il suo lavoro consiste nel trovare le notizie nelle aule di giustizia, negli uffici giudiziari, il tribunale o la procura, dove ogni mattina va per parlare con avvocati e magistrati alla ricerca di argomenti da sviluppare sul giornale. Fa un lavoro totalizzante e questo gli crea enormi sensi di colpa nei confronti della figlia adolescente Donata che cresce da solo e vive con lui perché la mamma non c’è. E non solo: fra il giornale e la figlia, gli resta ben poco tempo per la sua vita personale e infatti faticosamente cerca di portare avanti una relazione con Olga, un’avvocatessa conosciuta proprio per lavoro. Una vita molto, molto incasinata, ma che Marchi cerca sempre di affrontare con il sorriso e il piacere di fare quel mestiere difficile che però ha sempre sognato di fare.
Se non vado errato, adesso ti sei trasferito a Empoli, mentre per lungo tempo hai lavorato a Firenze, che fa da sfondo alle tue storie. Che rapporto hai con questa città bellissima, di cui non esiti a ritrarre scorci che non sono propriamente bellezze architettoniche, come “Gotham”, la sede degli uffici giudiziari?
Sono nato a Firenze, ci ho vissuto e ci ho lavorato per vent’anni. Ora abito a Prato, la città “accanto”, ma a Firenze sono legato da sempre. È una città tanto facile da amare quanto difficile da conquistare e capire, una città di provincia dove si conosce tutto di tutti ma che si dà arie di grande metropoli. I fiorentini sono gente complicata, gelosissimi della propria città che ritengono, forse anche a ragione, la più bella del mondo. I turisti, che invadono letteralmente Firenze, portano sì guadagni, ma vengono visti come un fastidio di cui si potrebbe fare serenamente a meno. È una città che ricorda molto, come stato d’animo collettivo, l’Inghilterra: crede di essere ancora un Impero e si comporta come tale anche se il suo potere non è più quello di allora. La mentalità di Firenze e dei fiorentini è uguale: pensano di essere ai tempi dei Medici e del Magnifico e ci vorrebbero tornare di corsa. Comprensibile. Insomma, si rendono bene conto della fortuna che hanno. Anche se talvolta se ne dimenticano. O la danno per scontata.
Ogni scrittore, inevitabilmente, si rifà ad esempi precedenti, o comunque ha dei modelli cui si ispira. Sono curioso di conoscere quali sono le tue predilezione dell’ambito del giallo e della narrativa in genere.
Sono cresciuto leggendo da ragazzo tutti I classici della narrativa di genere: da Conan Doyle a Simenon, passando per tutto l’hard boiled americano, da Hammett a Chandler fino a Spillane e il suo Mike Hammer. Poi sono passato allo spionaggio, da Le Carrè a Forsythe, dal primo Follett a Ludlum fino a scoprire Tom Clancy e innamorarmi di “La grande fuga dell’Ottobre Rosso”. Sono un lettore compulsivo di gialli e se devo fare due nomi di autori che prediligo dico Michael Connelly (che non a caso è un ex cronista di nera del Los Angeles Times e infatti scrive in modo giornalistico come piace a me) e Don Winslow, I cui romanzi sul narcotraffico messicano sono a mio giudizio degli autentici capolavori della narrativa contemporanea.
Visto che sei un esperto di cronaca giudiziaria fiorentina, non posso fare a meno di chiederti qualcosa sulla vicenda di “nera”più famosa avvenuta in quella città: il caso del “Mostro”. Cosa ne pensi degli ultimi sviluppi, che non finiscono praticamente mai?
Il Mostro ha accompagnato buona parte della mia carriera giornalistica e praticamente, da fiorentino, tutta la mia vita. Per la città è una ferita rimasta aperta e anche giuridicamente rimangono dei punti interrogativi, degli spazi vuoti, in cui ogni fiorentino ha sempre infilato quel che vuole. Pochi a Firenze credono ancora oggi che il Mostro fosse davvero un contadino ignorante come Pietro Pacciani: Firenze, la nobile un po’ decaduta Firenze, non poteva e non può accettare che il Mostro, figura quasi mitologica della criminologia italiana nella cui storia rappresenta l’unico serial killer, sia “solo” uno come Pacciani. E infatti I fiorentini hanno sempre immaginato il Mostro come un medico o un nobile o comunque qualcuno di “alto”. Purtroppo è un caso che difficilmente verrà chiuso del tutto nonostante ci siano delle sentenze definitive. Se ne parlerà per chissà quanto tempo esattamente come ancora oggi si continua a parlare di Jack lo Squartatore. E ognuno avrà sempre la propria risposta. Giusta o sbagliata. Ma soprattutto impossibile da dimostrare.
Progetti futuri? A proposito: vedo che è uscito un prequel de La fragilità degli angeli, La legge dei grandi numeri, che senz’altro leggerò…
La legge dei grandi numeri è un breve racconto uscito solo in formato ebook e gratuitamente come regalo per i lettori. È una specie di introduzione a quanto accade ne La fragilità degli angeli e, chissà, forse anche oltre. Progetti futuri? Dopo un tris di libri in tre anni, se Giunti vorrà, non credo che Marchi voglia rinunciare a fare poker. Vedremo. La gioia per il successo dei miei libri e i tanti lettori che mi scrivono per ringraziarmi da ogni parte d’Italia è un qualcosa che davvero mi emoziona e mi commuove.
Grazie per la bella chiacchierata. Ora, come tradizione di Giallo e Cucina ti chiediamo di salutarci con una citazione e una ricetta che ami!
La citazione è di Tiziano Terzani, che credo sia il più grande giornalista italiano di tutti i tempi, e raccoglie il senso di come vedo la vita e il mio lavoro: “Ho fatto questo mio mestiere proprio come una missione religiosa, se vuoi, non cedendo a trappole facili. La più facile, te ne volevo parlare da tempo, è il Potere. Perché il potere corrompe, il potere ti fagocita, il potere ti tira dentro di sé! Capisci? Se ti metti accanto a un candidato alla presidenza in una campagna elettorale, se vai a cena con lui e parli con lui diventi un suo scagnozzo, no? Un suo operatore. Non mi è mai piaciuto. Il mio istinto è sempre stato di starne lontano. Proprio starne lontano, mentre oggi vedo tanti giovani che godono, che fioriscono all’idea di essere vicini al Potere, di dare del “tu” al Potere, di andarci a letto col Potere, di andarci a cena col Potere, per trarne lustro, gloria, informazioni magari. Io questo non lo ho mai fatto. Lo puoi chiamare anche una forma di moralità. Ho sempre avuto questo senso di orgoglio che io al potere gli stavo di faccia, lo guardavo, e lo mandavo a fanculo. Aprivo la porta, ci mettevo il piede, entravo dentro, ma quando ero nella sua stanza, invece di compiacerlo controllavo che cosa non andava, facevo le domande. Questo è il giornalismo”.
La ricetta è più difficile perché mi piace molto cucinare. Vi racconto una ricetta di famiglia che mi ha insegnato a fare mio padre.
Sono le polpette di vitella alle spezie.
Servono 600 gr di vitella macinata, mezza cipolla, un mazzetto di prezzemolo, 1 pomodoro grosso, 1 uovo, 4 cl di panna liquida, 2 cl di senape, 40 gr di pan grattato, un pizzico di noce moscata, 2 pizzichi di cumino in polvere, 40 gr di burro, 1 cl d’olio, 10 cl di brodo di pollo, sale e pepe.
E questa è la procedura. Togliere la pelle al pomodoro, buttar via i semi, farlo a pezzettini e saltarlo 3 minuti nell’olio con la cipolla tritata, aggiungere il prezzemolo tritato e far raffreddare. Mescolare la carne con il pan grattato, l’uovo, il cumino, la noce moscata, 1 cl di senape, metà della panna liquida ed il pomodoro con la cipolla. Salare, pepare e modellare 8 polpette.
Preparare la salsa che sarà utilizzata con le polpette calde: far bollire il brodo con il resto della panna, incorporare, sbattendo con la frusta, il resto della senape, salare, pepare e mantenere al caldo. Far sciogliere il burro in padella e cuocervi le polpette 5 minuti per parte. Favolose, fidatevi.