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Oggi parliamo con… Carlo Legaluppi

Intervista a cura di Miriam Salladini

 

Buongiorno Carlo, ci racconti il tuo rapporto con la scrittura e com’è cambiato nel tempo. Cos’è rimasto, cosa ha perduto e cosa ha guadagnato? Cosa significa scrivere oggi e cosa significava agli inizi?

Scrivere mi ha sempre appassionato e ha costituito un elemento caratterizzante del mio percorso scolastico e lavorativo. Nel periodo dell’adolescenza componevo, come molti miei coetanei, poesie che sovente, dato il periodo storico (fine anni ’60 inizio anni ’70), trattavano temi politici e sociali. L’approdo alla narrativa, ed ai thriller in particolare, è stato graduale ed è andato di pari passi con un’altra mia grande passione: la lettura. Credo che il piacere di leggere conduca inevitabilmente ad un bivio: scrivere o non scrivere. O almeno per me è stato così e, dopo molti tentennamenti, alcuni anni fa ho deciso di cimentarmi in questa non facile arte. All’inizio è stata più che altro una scommessa con me stesso poi, man mano che i capitoli del primo libro (La ottava croce celtica – Nulla è come sembra) fluivano, ho acquisito la consapevolezza che non solo sarei riuscito a completare l’opera, ma che non mi sarei fermato lì. Rispetto all’inizio non è cambiato molto nel mio modo di scrivere. Sono sicuramente rimaste la passione, l’entusiasmo e la voglia di esplorare nuovi temi, non solo legati ai protagonisti del mio filone di thriller (tra l’altro, scrivo gialli per ragazzi con mia figlia maggiore Vanessa che cura le illustrazioni). Con il tempo ho sicuramente guadagnato in esperienza, anche grazie ai preziosi consigli di Silvia Beldinanzi, che ha curato l’editing dei miei primi due libri. Cosa ho perso? Sicuramente ho meno tempo per leggere e scrivere da quando ho iniziato a girare l’Italia in lungo ed in largo per effettuare presentazioni e partecipare a rassegne o concorsi letterari.

 

Perché hai cominciato a scrivere? C’è un’immagine nella tua memoria che si ricollega al momento in cui hai deciso di voler diventare scrittore?

Come accennato, ho sempre amato scrivere e più volte da ragazzo mi sono ritrovato davanti al classico foglio bianco con la voglia di dare vita ad una storia mia. Fino a che, diversi anni fa, ho buttato giù di getto i primi capitoli di un libro d’avventure e li ho fatti leggere a mia figlia Vanessa. Il suo giudizio entusiastico ha costituito la spinta che mi mancava e ha rappresentato il momento in cui ho deciso di diventare uno scrittore. Quelle pagine da cui tutto si è originato non figurano però in nessuno dei libri che ho scritto sinora e chissà se faranno mai parte di quelli che realizzerò in futuro.

In che misura gli incontri (con altri scrittori, poeti, intellettuali) hanno influito nella tua carriera di autore?

Lo scambio di esperienze nel campo culturale costituisce, a mio avviso, una fonte importantissima di crescita e di miglioramento. Proprio per questo sono sempre alla ricerca di contatti stimolanti con scrittori, poeti, attori teatrali e artisti nel campo musicale, assieme ai quali ho già dato vita più volte e sto programmando eventi in cui generi letterari ed artistici diversi si fondono e trovano la loro sintesi in manifestazioni innovative ed apprezzate dal pubblico. Tra queste iniziative mi piace citare quella di Grosseto del 13 Gennaio 2018, alla quale prenderanno parte, oltre a me, altri sei autori di libri con connotazioni diverse (dal thriller al noir, dal fantasy all’intimistico sentimentale, dalla commedia al romanzo di formazione) ed un attore/regista teatrale.

 

Quanto conta la conoscenza diretta della vita quando si racconta? Quanto invece l’immaginazione?

La conoscenza di tematiche sociali, politiche e storiche, nonché lo studio approfondito di taluni eventi e situazioni, mi ha senza dubbio aiutato ad individuare i contesti nei quali far muovere i miei personaggi ed a trovare gli agganci ai fatti reali ai quali generalmente collego le storie che creo. Nella realizzazione delle mie opere ha però un ruolo determinante la mia fervida immaginazione che, nella maggior parte dei casi, mi porta a ricercare ambientazioni in luoghi che non ho mai visitato. Senza voler fare paragoni azzardati, il mio modo di scrivere è per certi versi simile a quello di Salgari che, senza muoversi dalla propria scrivania, ha descritto in maniera mirabile nazioni esotiche e lontanissime, stimolando la fantasia e l’immaginazione di tante generazioni di ragazzi, tra cui la mia.

 

Quanto possono influire i social nella promozione di un libro?

Abbastanza, ma non quanto si possa pensare. Le notizie oggi corrono sulla rete e si consumano con una velocità impressionante e gli effetti della promozione sui social tendono ad esaurirsi in breve tempo. Inoltre, molto spesso, al di là delle migliaia di follower e like, l’interesse effettivamente suscitato intorno ad un libro rimane circoscritto ad un pubblico ristretto. Non a caso in Italia si legge poco e si compra un numero non elevato di libri. Direi che più che i social, per le opere letterarie continuino a funzioni: una capillare distribuzione (magari accompagnata dalla presenza dello scrittore sul territorio); la notorietà dell’autore, in particolare se si tratta di un personaggio pubblico o di spettacolo; la trasposizione televisiva o cinematografica di un’opera, che quasi sempre si riverbera tangibilmente sulle vendite del libro.

 

Come scegli i protagonisti dei tuoi libri? In particolare il personaggio di Alex Martini com’è nato?

Sir Alexander Martini-Miller (Alex) è la diretta conseguenza dell’ambientazione che ho scelto per miei primi thriller: l’Irlanda. Quando stavo cominciando a delineare il mio libro d’esordio ho assistito alla proiezione del bellissimo film di Ken Loach “Il vento che accarezza l’erba”, che tratta il tema della guerra d’indipendenza irlandese (protrattasi dal 1919 al 1921) e della successiva guerra civile conclusasi due anni dopo. Guardando quelle immagini durissime e nella convinzione che, quasi cento anni dopo, la questione nordirlandese fosse ancora d’attualità, ho deciso che il mio protagonista sarebbe stato un ex ufficiale del SAS inglese, di stanza a Belfast negli anni ’90 durante il periodo dei troubles. Un uomo che, all’apice della carriera (appena promosso capitano e nominato Sir) sceglie, non senza un travaglio interiore, di lasciare il servizio attivo per dedicarsi a rilanciare un’azienda d’informatica milanese. Gli altri personaggi che agiscono intorno al protagonista – e che spesso perdono la vita tragicamente – sono nati man mano che le storie si evolvevano e si arricchivano di nuove situazioni. Ci tengo a dire che nei miei thriller, oltre ai classici temi della suspense e dell’azione tambureggiante, un elemento caratterizzante è rappresentato dai sentimenti, nella loro più ampia connotazione ed accezione.

 

Ci spieghi il titolo del tuo noir “La morte viene dal passato”?

Il titolo del mio thriller a tinte noir nasce proprio dalle caratteristiche del protagonista. Il passato di Alex è a Belfast (tra l’altro è figlio di un italiano e di un’irlandese) ed è lì che, in particolare nel secondo libro, fatti accaduti quasi vent’anni prima scatenano un’ordalia di sangue contro Alex ed i membri del suo ex plotone del SAS. A questo si ricollega anche il sotto titolo del libro “Nubi scarlatte”, dalle quali grondano su Belfast gocce di pioggia che sembrano lacrime di sangue.

 

Parlaci del tuo libro “La morte viene dal passato”. Quando hai avuto le prime idee? Quando hai cominciato a lavorarci? Quanto tempo ha richiesto la sua scrittura?

 

L’idea è nata circa cinque anni fa mentre terminavo la stesura del mio primo libro e mi sono reso conto dell’esigenza di sviluppare le avventure di Alex in una trilogia, incentrata sul tema del passato e nella quale l’Irlanda avrebbe dovuto fare da fondo, anche quando le azioni si sarebbero svolte lontano da essa. È poi nata l’idea di una quarta opera focalizzata sulla vita attuale del protagonista e ho in corso di stesura una quinta storia nuovamente ambientata in Irlanda, nonché  un racconto che si ricollega a due dei libri precedenti. Per quanto riguarda, in particolare, “La morte viene dal passato – Nubi scarlatte” ho iniziato la scrittura circa quattro anni fa ed ho completato la prima bozza in tre/quattro mesi. Il successivo lavoro di approfondimento e revisione, al quale hanno preso parte le quattro persone che costituiscono il mio “comitato di lettura” (moglie, figlia maggiore ed una coppia di carissimi amici), ha poi richiesto più di un anno. Questi tempi sono tipici del mio modo di scrivere, piuttosto veloce nella fase d’impostazione della storia, molto più riflessivo in quella di revisione e rifinitura.

 

Stai sfruttando le enormi potenzialità del web per diffondere il tuo nome e importi all’attenzione del pubblico? Hai un sito web personale, una pagina Facebook o altri account social dove i lettori possono seguirti?

 

In particolare nella fase di lancio del primo libro Facebook mi è stato molto utile ed ha costituito un canale importante per farmi conoscere e per pubblicizzare gli eventi. Al mio profilo personale ed alla pagina “Carlo Legaluppi scrittore” ho poi affiancato un profilo Instagram (La ottava croce celtica), nonché un canale Youtube che, per il momento, sto però sfruttando in maniera marginale. Ho deciso di soprassedere dal creare un sito web, mentre utilizzo ogni qualvolta se ne presenta l’occasione le potenzialità delle radio, dei blog, delle TV e delle testate locali. Tutto questo anche al fine di richiamare l’attenzione del pubblico dei lettori su “La Farfalla – Associazione Cure Palliative Loretta Borzi” di Grosseto, la Onlus alla quale devolvo la metà dei miei diritti relativi ai due libri che ho pubblicato.

 

Consiglieresti ai nostri lettori un libro uscito nell’ultimo anno che ti è particolarmente piaciuto?

Anche nel 2017 ho letto molti libri, tra cui gli ultimi usciti di alcuni dei miei autori preferiti: Lee Child, Daniel Silva, Ken Follett, Antonio Manzini e Carlo Lucarelli. Ma dovendo scegliere un solo libro mi sento di suggerire “Oltre i cento passi” (Piemme Editore) di Giovanni Impastato, arricchito dalle illustrazioni di Vauro. Un libro che ripercorre momenti della vita di Peppino Impastato – trucidato dalla mafia nel ’78 – e che racconta quello che il fratello Giovanni, la madre Felicia, nonché i loro familiari ed amici hanno fatto per ristabilire la verità sulla sua morte e per portare avanti un messaggio di legalità e di lotta alla mafia, non solo nell’ambito del territorio siciliano. Un libro che ho avuto l’onore di presentare, nell’ottobre scorso, a Grosseto ed a Siena assieme a due bravissime amiche scrittrici e giornaliste.

 

Prima di lasciarci ti chiedo una citazione e la ricetta preferita. Noi del blog “Gialloecucina” ci teniamo molto.

Per la citazione scelgo una frase di Luigi Pirandello (un autore che amo particolarmente), tratta da “Uno, nessuno e centomila” e che ho utilizzato quale epigrafe del mio primo libro: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”.

Più difficile per un amante della buona cucina come me è indicare una sola ricetta. Tra l’altro, i piatti tipici dei luoghi in cui si muovono i miei personaggi sono spesso protagonisti delle storie che scrivo ed apprezzo moltissimo il personaggio dell’investigatore gourmet Pepe Carvalho, creato dalla penna dell’indimenticabile Manuel Vàzquez Montalbàn. Devo quindi fare un’eccezione e proporne almeno due. Un piatto tipico di Manciano (il paese in provincia di Grosseto dove sono nato) denominato “Ciaffagnone” (una sottilissima “frittatina”, a base di farina, uova e acqua, cotta in una padella di ferro bollente unta con il lardo, da mangiare dopo averla abbondantemente spolverata di pecorino stagionato) e la Setteveli, uno dei meravigliosi dolci palermitano, nelle due versioni al cioccolato o al pistacchio.

E con questa gustosa divagazione, saluto i lettori del blog e ringrazio “Gialloecucina” e Miriam Salladini per lo spazio riservatomi e per la bella chiacchierata sulle mie passioni.

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