Intervista a cura di Miriam Salladini
- Spiegaci in poche parole chi sei, cosa ami fare e qual è il ruolo della scrittura nella tua vita.
Sono nato a L’Aquila nel 1975 e sono laureato in Giurisprudenza e in Lettere Moderne. Amo camminare in montagna e giocare a calcio. E naturalmente amo leggere e scrivere. La scrittura, sempre più negli ultimi anni, sta diventando per me un lavoro – ho aggiunto all’attività puramente narrativa un’attività di critica e di promozione culturale, e vivo il tutto come qualcosa di inscindibile. Una sorta di poetica, o di visione globale della mia esistenza e del mio fare.
- Qual è stato il percorso che ti ha permesso di pubblicare il tuo libro?
Prima di Lettera d’amore allo yeti avevo già pubblicato con Mondadori un altro romanzo, Breve storia del talento. Ho dunque spedito il dattiloscritto a Mondadori che, per fortuna, lo ha ritenuto degno di pubblicazione.
- Quali sono state le difficoltà più grandi che hai incontrato nella stesura del tuo libro?
Armonizzare la parte realistica della storia – suppergiù la prima metà – con la parte horror o soprannaturale. Non so quale delle due parti sia la tazza e quale il manico, ma so che tazza e manico devono restare attaccati. Se non accade, il romanzo non è venuto bene.
- Com’è nata l’idea di scrivere “Lettera d’amore allo yeti”?
E’ nata dall’unione di due immagini: un bimbo che parla con un omone, i due divisi solo da una rete; e un chiosco che in realtà non è un chiosco, bensì una sorta di valvola fra il nostro e un altro mondo. E poi, anche, la fascinazione per le persone che scompaiono, molto più numerose di quanto crediamo.
- Il tuo romanzo è frutto della fantasia o c’è anche qualcosa di vero?
E’ frutto della fantasia con un elemento suppergiù reale: il rapporto padre/figlio.
- Quanto tempo hai impiegato per scriverlo?
Scrissi la prima stesura fra l’estate e l’autunno/inverno del 2013. Poi l’ho rivisto per alcuni mesi nel 2014 e per altri mesi nel 2016. L’editing finale con la casa editrice è durato un mese, un mese intenso.
- Hai una pagina Facebook in cui i lettori possono restare aggiornati sulle tue pubblicazioni?
No, ho solo un profilo facebook, dove però parlo quasi solo di letteratura. Ciò che faccio, ciò che leggo, ciò che organizzo.
- Quali sono secondo te gli ingredienti che servono in una storia?
Immaginazione, ritmo, tocco di realtà.
- Hai mai avuto il blocco dello scrittore?
Sì, fra il 2014 e il 2016. In quel periodo ho prodotto alcuni racconti, un romanzo breve (e fallito) e moltissimi brevi saggi sulle opere che andavo leggendo. E’ importante, anche nei momenti di difficoltà, tenere oliati i meccanismi e non perdere l’abitudine alla scrittura.
- In futuro ti piacerebbe scrivere un libro appartenente a un genere specifico?
Diciamo che l’ho già scritto: è Lettera d’amore allo yeti, che per me rappresenta uno sconfinamento deciso nel fantastico. Mi risulta difficile rimanere nell’ambito di un genere, perché tendo a mescolare le carte. E poi a mio avviso i generi, se uno prova a scrivere con una certa serietà, sono porosi, scivolano uno nell’altro.
- Adesso come tradizione, vorremmo sapere la tua citazione preferita e una ricetta.
La mia citazione preferita si trova nell’esergo di IT: il romanzesco è la verità dentro la bugia. Riassume con mirabile sintesi cosa significa scrivere opere di narrativa. Quanto alla ricetta, be’, mi trovi abbastanza impreparato. Diciamo spaghetti con aglio, olio, peperoncino e pan grattato, ripassati in padella. Può andare?