Regia: Silvio Soldini
Interpreti: Elisa Schlott, Max Riemelt, Alma Hasun, Emma Falck, Olga von Luckwald, Thea Rasche, Berit Vander, Kriemhild Hamann, Boris Aljinovic, Nicolò Pasetti, Esther Gemsch.
Lingua originale: Tedesco
Anno: 2025
Paese di produzione: Italia, Belgio, Svizzera
Genere: Drammatico, storico
Casa di Produzione: Lumière e Co., Anteo, Tarantula, Telfilm, Vision Distribution, Ministero della Cultura, Regione Lazio, IDM Sudtirol – Alto Adige Film Fund, Sky Cinema
Distribuzione italiana: Vision Distribution
Durata: 123 minuti
Tratto dal romanzo di Rosella Postorino uscito per Feltrinelli editore nel 2018 e vincitore del Premio Campiello
Nella storia della letteratura il cibo ha sempre avuto uno ruolo significativo: dagli eccessi di Pantagruel alle mele avvelenate di streghe invidiose, dalle felici soste degli avventurieri di Salgari, fino agli orrendi pasti di Polifemo, di Tieste e del conte Ugolino in Dante.
Ne “Le assaggiatrici”, il cibo si fa presenza costante, ambigua, che esercita allo stesso tempo fascino e terrore, come un sadico gioco in cui una semplice cucchiaiata di più può fare la differenza tra la vita e la morte.
Trama
Rosa Sauer è una giovane donna tedesca di ventisei anni. Durante l’autunno del 1943 compie un viaggio, stremante, che la porta a trasferirsi da Berlino a Gross-Partsch, un piccolo villaggio situato nei pressi della Tana del lupo, il nascondiglio di Hitler; inizia così un nuovo capitolo della sua vita in casa dei genitori del marito, Gregor, partito in Russia a causa della guerra.
In un giorno qualunque, le SS irrompono in casa e prelevano Rosa senza spiegazioni, portandola assieme ad altre donne nella vicina caserma.
Qui vengono loro sottoposti dei piatti:
«Mangiate», dicono le SS.
Le giovani donne, affamate e impaurite, si lasciano confortare dalle prelibatezze servite, e mangiano, incredule e con soddisfazione.
Ma una volta terminato il pasto, le ragazze vengono trattenute per un’ora in stato di osservazione: hanno appena mangiato il pasto riservato al Führer, e ciò che hanno fatto è stato assicurare che non fosse avvelenato.
Sono ormai diventate le assaggiatrici di Hitler.
Stipendiate per rischiare la vita ogni giorno, a pranzo e a cena, le ragazze a poco a poco credono che le probabilità che il cibo sia avvelenato siano scarse, e iniziano a stringere rapporti con lo scorrere dei mesi: segreti passano di sussurro in sussurro, sorrisi benevoli dimenticati nel tempo si accomodano di nuovo sulle vite di queste donne sfregiate dalla guerra.
Tuttavia, l’arrivo del nuovo comandante della caserma, Albert Ziegler, sconvolgerà le dinamiche interne, e la vita e il cuore di Rosa subiranno presto un rovesciamento inaspettato.
Recensione a cura di Diego Colaiori
È una storia di cui non si poteva immaginare la crudezza e la spietata originalità, fin quando un’anziana signora di Berlino, Margot Wölk, nel 2012, poco prima di morire, non ha rivelato di essere stata una delle assaggiatrici di Adolf Hitler.
Il racconto si è andato così sviluppando nel romanzo di Rossella Pastorino, pubblicato da Feltrinelli editore nel 2018 e vincitore del prestigioso Premio Campiello.
E così, nelle sale da Marzo, il film che ne è stato tratto, per la regia di Silvio Soldini.
La confessione dell’anziana signora, in didascalia alla fine del film, è forse ciò che di più interessante troviamo nella pellicola, perché centra perfettamente l’idea, orribile, ma che più attrae nella storia: alcune donne selezionate per provare del cibo potenzialmente avvelenato.
È la trama, è il nucleo della storia.
E se è vero che una trama, per essere buona, deve poter veicolare temi, psicologie, messaggi e sotto trame, è altrettanto vero che quando essa ne resta schiacciata allora è il segno che, almeno in questo caso, si poteva fare, forse, qualcosa di più.
La tensione e il ritmo che il film prometteva nella prima parte, quando la protagonista casca in questa prigione in modo del tutto inaspettato, si perde via via per non riemergere più in seguito, se non in modo flebile.
Il ritmo è morbido, scandito da una serie di rivelazioni che si dipanano nel tempo del racconto, della durata di più anni, che si caricano ma sfociano presto in una stanca marea. Danno sì, profondità e spessore, ma allo stesso tempo mancano la possibilità di colpire lo spettatore (non certo con effetti speciali hollywoodiani, ma con l’inquietudine e il sottile perturbante in più che la storia poteva offrire).
La colonna sonora, il montaggio, la fotografia e la scenografia, anche questi elementi hanno fatto il loro dovere, ma senza riuscire a emergere in maniera significativa. Tutto ha dato l’idea della freddezza, del gelo, di un disfacimento politico, sociale e umano, ma niente è riuscito a far scomodare lo spettatore dalla poltrona, riempendogli i sensi di qualcosa di compiutamente emozionante.
Una nota di merito da attribuire invece all’interpretazione, in particolare della protagonista, Elisa Schlott, e alla sceneggiatura, che realizza dialoghi efficaci.
Oltre ciò, il film riesce comunque a lasciare qualcosa su cui discutere quando le luci della sala si rianimano.
Delle donne tedesche, giovani e sane, che vengono messe in pericolo dal loro stesso garante, il Führer, è un messaggio forte e chiaro; perché un personaggio malvagio e indifferente, quando è in difficoltà, non fa distinzione tra amici e nemici, e per salvarsi la pelle passa ben volentieri sui cadaveri di chi invece aveva promesso di proteggere.
Questo Führer che non vediamo mai, (si sente appena in una scena la sua voce alla radio in cui proclama essere scampato a un attentato), e che aleggia sulla tavola delle assaggiatrici come un demone oscuro, intoccabile e onnipresente, questo dà allo spettatore un brivido di raccapriccio, un senso di terrore e repulsione concreto, come quando assaggiamo un boccone di qualcosa di estraneo andato a male e che senza dispiacere spazziamo via dal piatto, per tornare ad addolcirci la lingua con qualcosa di familiare, fatta con amore.