Regia di Giuseppe Tornatore
Film del 1986 con Ben Gazzara, Laura Del Sol, Leo Gullotta, Nicola Di Pinto, Lino Troisi
Genere: Drammatico
Condannato per omicidio, un uomo senza nome profitta del tempo a disposizione in carcere per leggere e istruirsi. Diventa così “o’ Professore” e acquista rapidamente il rispetto degli altri detenuti, a cui fa da scrivano e da avvocato. Ma, oltre al diritto, il carcere ha insegnato al Professore le leggi spietate della sopraffazione e della gerarchia criminale, e trent’anni di galera sono davvero tanti. Refrattario all’ossequio verso il boss camorrista che comanda Poggio Reale, il Professore decide così di sfidarlo con l’intento di sostituirlo. Diverrà, così, il boss della Nuova Camorra Riformata, giungendo, nella sua vorticosa quanto effimera ascesa, a divenire uno dei maggiori referenti degli uomini più potenti dello Stato.
Tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Marrazzo, a sua volta ispirato alla parabola criminale del boss Raffaele Cutolo, Il camorrista segna l’esordio alla regia del grande regista Giuseppe Tornatore.
Il film è uno spietato affresco “controstorico”, che, attraverso la vicenda criminale del Professore, archetipo del criminale divenuto tale perché relegato nel “non-stato”, racconta le dinamiche del potere con cui esso si relaziona allo stato ufficiale.
Ed è proprio l’assenza dello stato, drammatica in alcuni territori italiani, dove le logiche feudali e signorili non sono mai scomparse del tutto e sono riuscite a perpetrarsi tramite le organizzazioni mafiose e i loro referenti politici, che il film pone l’accento in maniera esplicita, quasi didascalica, e fin dall’inizio, con una premessa scritta che scorre sullo schermo: il film vuole essere “un affresco contro la violenza e la sopraffazione, con la speranza che dalla visione del film lo spettatore tragga ulteriori motivi per credere nell’insostituibilità della legge dello Stato, unico e vero presidio del vivere civile”.
Il Professore è il sunto vivente di tale, desolante connotato storico del nostro paese, una figura-archetipo, senza nome, perché prodotto di un sistema fallato nelle sue strutture basilari, come ce ne sono stati, ce ne sono e ce ne saranno tanti: edotto, ancora bambino, sulla lontananza dello stato e la persistenza del regime feudale nelle campagne del sud, dove solo l’intervento del fattore-camorrista locale ha impedito che il signorotto di turno cacciasse lui e tutta la sua famiglia dal podere su cui vivevano, nonché sul truce do ut des che ne consegue – il piccolo Professore viene usato come “nascondiglio” per l’arma che il suo “protettore” userà per uccidere un rivale -, il “non-stato” torna ad angariarlo in galera: ma stavolta non resterà a guardare, anche se il prezzo da pagare è divenire una figura cardine di quello stesso sistema che gli ha rovinato l’esistenza.
Ben Gazzara non ha nulla del gangster “romantico” di tanta filmografia sui criminali. Cinico e calcolatore, spietato e crudele, è “la ragione sostenuta dall’omicidio” (cit.), carismatico e affabulatore, un personaggio colto, ma la cui cultura, lungi dal consentirgli di “seguir virtute”, gli serve per perpetrare il male e consolidare il proprio potere. Gazzara, seppur doppiato, è in grado d rendere tutto ciò con la sola mimica facciale: il suo ghigno malefico e il suo sguardo carico di odio e di sadico compiacimento bastano da soli a imprimere il suo personaggio nella nostra testa. Non si tratta, però, neanche del mafia-movie in stile Scorsese, in cui lo spettatore osserva il modus vivendi amorale e violento dei personaggi come farebbe con una tribù di primitivi, con distacco e spinto da una sorta di curiosità “antropologica”. Al centro del film di Tornatore v’è la tragedia di un uomo qualunque, che per non restare vittima diviene carnefice ma scopre, alla fine, di essersi soltanto illuso di poter avere la sua rivalsa.
Il film è impostato su un’estetica cruda e degradante, senza filtri eufemistici. La giungla del carcere è mostrata nel suo reale squallore, con i detenuti ridotti a poco più che bestie, senza farsi problemi a compiere atti di sodomia nelle docce davanti a tutti, capaci di gesti di inaudita brutalità. Così come sono sbattuti in faccia allo spettatore la miseria delle campagne napoletane del dopoguerra e la desolazione dei bassifondi napoletani. Ma l’apice di tale scelta estetica sono senza dubbio le scene di violenza, davvero truculente e disturbanti: mani mozzate, donne sciolte nell’acido ancora vive, atti di cannibalismo. Quella del film è, insomma, una dimensione senza speranza, tutta imbibita di sentimenti e suggestioni negative, di un pessimismo senza via d’uscita, e lo spettatore lo percepisce sempre, grazie ad una fotografia “smorta”, dal viraggio grigiastro. Il “colpo di grazia” è dato dalle musiche di Nicola Piovani, grevi e cupe, senza nessuno spiraglio di “luce”.
Un pessimismo “storico”, si potrebbe dire, perché il film ripropone, con il libro, letture storiche che ancora oggi non si osa fare, e che invocano a gran voce una rilettura radicale della storia contemporanea italiana: una storia monca, perché privata dei suoi collegamenti strutturali con le forze centrifughe rappresentate dalle mafie e dalle tante “zone grigie” che si frappongono fra questi due estremi. Magistrale, a tal proposito, è la sequenza in cui il Professore, di solito sicuro di sé e “tuttologo”, chiede a un esponente del partito cui appartiene l’assessore Mesillo, rapito dai terroristi rossi, il perché lui e i suoi colleghi si siano dati tanto da fare per salvare un semplice amministratore regionale quando invece hanno lasciato assassinare il presidente del loro partito (il riferimento alla DC e ad Aldo Moro è lapalissiano). Cupamente imbarazzato, il politicante risponde: «Lei è un uomo di potere, Professore; e queste cose può capirle da sé». In uno stato “neofeudale”, insomma, i vassalli contano molto più del re…
Del film era stata girata anche una versione in formato mini-serie, composta da cinque puntate ma che, date le forti polemiche sollevate dal film all’epoca della sua uscita nelle sale, non andò mai in onda. Pare che sarà proposta a breve sui palinsesti televisivi.