Intervista a cura di Dario Brunetti
Diamo un caloroso benvenuto su Giallo e Cucina a Simone Togneri, in libreria col suo ultimo romanzo Giallo hotel Firenze e partiamo subito con la prima domanda
DB A distanza di anni ritroviamo due grandi protagonisti come Franco Mezzanotte e Simòn Renoir, secondo te quanto sono cambiati questi personaggi?
ST Dario, prima di tutto permettimi di ringraziarti per l’invito. È un piacere essere di nuovo qui. Per quanto riguarda la domanda, posso risponderti che ascoltare le voci di Mezzanotte e di Renoir, dopo anni di silenzio, è stato come ritrovarsi al tavolo con due vecchi amici che hanno voglia di aprirsi, ma allo stesso tempo ti rimproverano per averli trascurati. Ci hanno messo un po’ prima di tornare a fidarsi di me. In questa nuova avventura ho scoperto un commissario più maturo e consapevole del proprio ruolo, quindi più solido e determinato nelle indagini, meno disposto a tollerare gli errori dei suoi uomini e le perdite di tempo in generale. È un commissario che rivela anche qualche lato personale, dettagli di cui fino a questo momento era stato piuttosto avaro. Renoir invece, che mi ha sempre raccontato molto di sé stesso, macera in quella fase liquida che non gli permette di mettere a fuoco la strada da percorrere; una stasi che lo porta anche a lasciarsi andare, con conseguenze che paga a caro prezzo. Quindi potrei dire che se per la figura di Mezzanotte ho percepito una certa evoluzione, per Renoir vale l’esatto contrario.
DB Firenze, capoluogo della Toscana dal fascino irresistibile ma che nasconde misteri inquietanti soprattutto legati alle storie della cronaca nera riguardante il Mostro, cosa ha rappresentato per te nel corso degli anni la città del Rinascimento?
ST Firenze per me è una grande contraddizione. È la città della luce, di Dante, Michelangelo e Lorenzo il Magnifico, rappresenta l’eccellenza dell’ingegno e della creatività dell’uomo; al tempo stesso è la città del buio, perché è legata alle vicende del Mostro, il punto più profondo dell’abisso. Credo che nessun’altra città veda il proprio nome così saldamente legato alla cronaca nera. Nel tempo per me Firenze ha assunto ruoli diversi: all’inizio mi ha spaventato, l’ho odiata, in seguito l’ho scoperta prima sui libri, poi andandoci a vivere. L’ho frequentata, respirata, ho conosciuto le persone che la animano, l’Arno e il suo respiro. E a quel punto l’ho amata, mi ha fatto piangere, ridere, amare. Firenze ha scavato a fondo nella mia anima e vi è rimasta impigliata. Ora non posso più farne a meno e anche se non ci vivo più cerco di tornare ogni volta che posso. Far muovere i miei personaggi in questa città è una scusa per viverla ancora.
DB Nel romanzo tratti una piaga sociale attuale come lo sfruttamento del lavoro nero riuscendo a mescolare il giallo tradizionale al noir di denuncia, quanto è stato fondamentale nella storia il connubio di questi due generi simili solo in apparenza?
Hotel Firenze è una storia che in un certo senso ha deciso da sola dove andare. I personaggi hanno fatto delle scelte di cui non hanno potuto ignorare le conseguenze, e sono state proprio quelle conseguenze a determinare i punti chiave. Questo però ha portato i personaggi a commettere degli errori. A volte anche molto gravi. Questo aspetto è stato fondamentale per lo sviluppo dell’intreccio narrativo, perché oltre a consentirmi di raccontare i fatti, quindi la parte investigativa più classica, (sopralluoghi, analisi di laboratorio, interrogatori), mi ha permesso di compiere un piccolo viaggio nella parte più oscura dell’animo umano. C’è una frase che secondo me riassume molto bene il concetto che sta alla base di questa storia. È un dialogo in cui un personaggio dice: “Tutto questo non è umano”. E un altro risponde: “Invece lo è, perché solo un umano fa cose come queste”.
DB In Giallo Hotel Firenze c’è l’omicidio di una giovane coppia e il pensiero va ai delitti del Mostro di Firenze commessi tra il 1968 e il 1985. Quale ricordo particolare hai di quel periodo?
Nel 1985 avevo dieci anni e alla televisione si parlava dei Mostro. A quell’epoca la mia fantasia di bambino riconduceva la parola “mostro” alle caratteristiche fisiche di una creatura infernale. Ne ero terrorizzato e mi auguravo che Firenze sorgesse dall’altra parte del mondo, il più lontano possibile da me. Ancora non avevo maturato il concetto che si può essere mostri dentro, un mostro che non si vede anche se siede accanto a noi. Questo mi spaventa molto di più. Forse il meccanismo che mi ha portato a prediligere un certo tipo di letture, e quindi poi a tentare di raccontare un certo tipo di storie, è scattato proprio in quel periodo.
DB Ho apprezzato in tutte le tue storie oltre la grande tecnica narrativa unita a una prosa elegante e raffinata, una straordinaria capacità creativa e allora ti chiedo cosa ha rappresentato nel corso degli anni la scrittura?
Be’, intanto ti ringrazio per le belle parole. La scrittura per me è un cerchio che si chiude. Un cerchio fatto di emozioni e condivisione. Le sensazioni che provo scrivendo acquistano un valore immenso se posso condividerle con chi legge. Quando accade che qualcuno senta il bisogno di restituirmi quelle emozioni, lo fa arricchendole con la propria esperienza, la personalità, il vissuto. Ed è un’onda potente che torna indietro. Ecco, in questo caso il cerchio si chiude e tutto acquista un senso.
DB Simone hai degli autori di riferimento nel panorama giallo-thriller a cui ti ispiri o che sei particolarmente legato?
Sono moltissime le letture che mi hanno influenzato, oserei dire tutte, ognuna ha lasciato una macchia su di me, anche quelle che non mi sono piaciute, o che nulla hanno a che vedere con il giallo o il noir in cui tento di cimentarmi. Tutto ciò che entra dentro di me passando per la via degli occhi (e del cuore) modifica il modo in cui uso le parole. Certamente ci sono libri che per me sono diventati punti di riferimento solidissimi. Mistyc River di Dennis Lehane, per esempio, oppure Dio di illusioni di Donna Tartt, o i romanzi di Manchette, che sono proiettili calibro noir. Poi ci sono gli autori italiani, che sono bravissimi a raccontare il torbido della provincia. Per motivi di legame con Firenze ne cito due su tutti (non me ne vogliano gli altri): Marco Vichi e il suo commissario Bordelli e Leonardo Gori con il capitano Arcieri.
DB Ritroveremo presto questi Mezzanotte e Renoir, puoi svelarci se c’è in cantiere qualche novità?
Sì, Mezzanotte e Renoir hanno terminato da poco di raccontarmi una storia in cui il tema principale è il filo rosso che lega amore e odio. L’amore che in certi casi può trasformarsi nel peso di una condanna, la rabbia che resta l’unica ragione di vivere quando si è perso tutto. È un tema che mi ha sempre affascinato e che mi ero ripromesso di affrontare.
DB Ti ringrazio Simone per essere stato ospite del blog Giallo e Cucina e concludo con una delle nostre domande di rito. Abbiamo a tavola Mezzanotte e Renoir, ci indicheresti il loro piatto preferito da accompagnare a un ottimo vino?
Grazie a te Dario. Sai, ho scoperto di recente che il commissario Mezzanotte è affetto da una sorta di nevrosi gastronomica, che a seconda dell’umore lo fa scegliere una pietanza al posto di un’altra (per esempio se è particolarmente nervoso o arrabbiato si butta su un piatto di pasta aglio, olio e peperoncino). Oggi che è rilassato direi che potrebbe orientarsi su un peposo alla fornacina. Renoir potrebbe fargli compagnia con una porzione di prosciutto al forno con patate. Il tutto annaffiato con un ottimo Sangiovese, naturalmente.