Oggi Parliamo Con...

Oggi parliamo con… Riccardo Landini

Intervista a cura di  Gino Campaner

 

Oggi nello spazio interviste abbiamo il piacere di ospitare l’autore Riccardo Landini. Grazie per averci dedicato un po’ del tuo tempo.

Se non ricordo male avevi già concesso una intervista a giallo e cucina. Poco male anzi, chi volesse andarla a recuperare conoscerà in maniera specifica notizie molto interessanti su di te e sulle tue abitudini “scrittorie”, allora noi oggi, in questo nuovo incontro, parleremo più specificatamente dei tuoi romanzi e del tuo percorso nel mondo della scrittura e dell’editoria. In quella intervista parlasti del primo romanzo della trilogia dell’inganno che uscì l’anno prima (2016) ovvero Primo inganno al quale sono seguiti poi Non si ingannano i morti e Ingannando si impara. Parlaci un po’ se vuoi dell’idea di creare quella trilogia perché, come e quando….riprenderai un giorno il personaggio di Brenno Sandrelli?

Ciao Gino e grazie dell’opportunità. In effetti ti ricordi bene! Però è passato un po’ di tempo da quell’intervista e Brenno Sandrelli è andato avanti con la sua vita. La trilogia quest’anno diventerà quadrilogia, in quanto uscirà “Senza trucco, senza inganno” sempre per Cento Autori. Il personaggio originariamente era nato per un romanzo solo, ma poi ha tanto insistito a raccontarmi ciò che gli succedeva che non potevo esimermi dal proseguire la sua serie. In particolare, nel nuovo episodio, si dovrà occupare della fuga da casa di un ragazzo problematico che la madre vuole rintracciare a tutti i costi. E quando si tratta di soldi, come sai, Brenno è particolarmente sensibile. Purtroppo la sua ricerca lo porterà a incrociare la strada di un assassino che diventerà (in futuro) la sua nemesi. Se vuoi uno scoop – modesto – ti posso anticipare che, nel quinto episodio, dal titolo “Il fascino ingannevole del passato” che dovrebbe uscire nel 2021, Brenno rincontrerà dopo tanti anni suo fratello. E saranno scintille…

Scusa la piccola digressione, ma un paio di curiosità però me le voglio togliere. Siccome io leggo in prevalenza ebook vorrei sapere da te come ti rapporti con le nuove metodologie di pubblicazione del libro sia per quel che riguarda la sua versione elettronica (ebook) che per quanto riguarda gli audio book.

Dal punto di vista di scrittore non posso che apprezzare tutto ciò che può contribuire a diffondere la lettura, compresi quindi ebook e audio book. Il Giallo di via San Giorgio in ebook ha venduto davvero un mare di copie e adesso uscirà pure con Audible in versione sonora. Quindi vanno benissimo! Se invece vuoi il mio parere di lettore, per me non esiste altro che il libro di carta. Non ho mai cercato altri sistemi; devo sentire l’odore delle pagine, il loro fruscio, devo toccare la copertina, voglio che nella mia libreria ci siano e si vedano tutti i colori della letteratura. Non nego che strumenti come il kindle siano utili per chi viaggia, per chi non ha spazio in casa, anche per chi vuole risparmiare, tuttavia almeno per quanto mi riguarda non c’è gara. riccardo landini

Da dove nascono le tue storie. Elabori notizie che leggi o sono esclusivamente di fantasia?

Io sono solito dire sempre che sono i personaggi delle mie storie a venire a trovarmi per raccontare le loro avventure o, meglio, disavventure. Quindi, seguendo questa tesi un po’ pirandelliana, io mi limito ad ascoltare, talora a elaborare, e infine a riportare su carta i loro racconti. A conferma di ciò aggiungo che, durante la scrittura, non tengo appunti, non faccio schemi o scalette; sono Brenno, Astore e gli altri che mi guidano, io non aggiungo nulla. Voglio credere che sia davvero così in quanto i miei personaggi li sento proprio come fossero vivi, come fossero miei usuali compagni di viaggio. Difficilmente mi capita di ispirarmi a notizie di cronaca, anche se non potrei negarlo a priori. Siamo costantemente bombardati da news di ogni tipo, qualcosa potrebbe pure suggestionarmi.

 

Quando scrivi deve esserci assoluto silenzio o ti concentri meglio con una buona base musicale? Scrivi quando riesci o preferisci un momento particolare della giornata?

Quando sono a casa a scrivere tengo sempre un sottofondo musicale. Di solito musica elettronica oppure cool jazz. Se poi devo concentrarmi al massimo gioco la carta Mozart e metto su il Requiem a tutto volume. Devo aggiungere che mi capita comunque di scrivere in qualsiasi occasione, ad esempio in treno o nel casino più totale; mi bastano il mio taccuino e una buona biro. Per quanto riguarda gli orari difficilmente scrivo di notte, di solito utilizzo la mattina e il pomeriggio sino alle 18.30.

Riportiamo il discorso sui tuoi libri. Mi incuriosisce un aspetto che salta all’occhio dei tuoi romanzi: a partire da E verrà la morte seconda fino alla trilogia dell’inganno passando per Di morte di insonnia e di altre canzoni hai sempre fatto pubblicare i tuoi libri da piccole case editrici. È stata una scelta voluta o non hai potuto fare altrimenti? La presenza di una casa editrice la ritieni essenziale? Hai mai pensato all’auto pubblicazione?

C’è un motto che mi citava sempre mia madre: fai di necessità virtù. Regola che ho sempre seguito, adattandomi a scrivere e pubblicare per chi era in grado di garantirmi una collaborazione seria, anche se non si trattava di editori di primo piano. Però ho lavorato con gente che credeva nel proprio lavoro, che ce la metteva tutta, che si impegnava e sudava e sgomitava nel mare sconfinato e tempestoso dell’editoria. Non è facile emergere, ma anche farsi appena notare non è semplice. Quindi credo che le piccole e le medie case editrici (quelle serie, s’intende), siano più interessate a un rapporto stretto e intenso con gli autori, il che in fondo significa crescere insieme. Io poi ho avuto la fortuna di avere alle spalle, quasi sin dagli esordi, un’agente in gamba che mi ha guidato in tutte le scelte compiute. L’auto pubblicazione non l’ho mai presa in considerazione, né lo farei quand’anche restassi senza contratti. Naturalmente si tratta di una mia personale opinione. Rispetto chi la pensa differentemente e agisce di conseguenza.

Poi finalmente anche una grande casa editrice come la Newton Compton si è accorta del tuo talento ed ha deciso di farti entrare nella sua squadra. Per uno scrittore dev’essere una grande emozione, un sogno che si realizza. Come per un calciatore di una squadra di provincia che per le sue grandi doti viene contattato da una grande squadra. Raccontaci un po’ come è stato l’approdo in questa realtà. Differenze rispetto alle piccole c.e., aspettative.

Sai, hai usato la stessa immagine che utilizzo sempre io, quella del giocatore di serie B che approda finalmente in serie A. Aumentano le difficoltà, l’asticella si innalza e di parecchio, da uomo squadra diventi uno dei tanti giocatori della rosa… Ho fatto un po’ fatica in questo ruolo perché ero abituato a rapporti più diretti, più coinvolgenti, in cui dire la mia spesso significava mettere la parola fine alle discussioni. Però Newton Compton è una potenza tale che i vantaggi che ne derivano sono impressionanti. Ci ho messo qualche tempo a entrare nell’ottica, lo ammetto. Qualcuno mi ha definito lo scrittore più bizzoso della scuderia… Però ho un contratto a lungo termine con Newton Compton per cui spero di poter continuare a lavorare proficuamente con loro e di far uscire non soltanto i romanzi di Astore, ma anche altre cose che ho nel mio cassetto, ormai strapieno.

Hai deciso, per il tuo debutto con la Newton, di far nascere un nuovo personaggio, Astore Rossi. Passiamo da un perito assicurativo sui generis, Brenno Sandrelli, a un restauratore di mobili. Astore è un uomo piuttosto ingenuo, ma sincero e leale. Buono d’animo. Un po’ sfortunato nella vita e con le donne… Come nasce questo personaggio?

Brenno è un tipo cupo, scafato, senza troppi scrupoli, che spesso baratta l’etica con l’interesse personale anche se ha un suo codice personale cui si attiene, almeno quando può. Astore, come giustamente hai notato tu, è un ingenuo, fin troppo, un uomo sincero con una mente acuta e con un cuore assetato di affetto. Finire in carcere a vent’anni da innocente, tradito da due amici fraterni, allontanato da suo padre, trattato come una merce di scambio, gli ha fatto chiudere il cuore, l’ha reso impenetrabile e apparentemente indifferente a ciò che lo circonda. Ma, in realtà, quegli anni persi gli pesano e pian piano sarà costretto dagli eventi a recuperare quell’esistenza che è più vicina al suo modo di sentire. Brenno e Astore sono nati più o meno nello stesso periodo, i loro romanzi d’esordio li ho scritti parecchio tempo fa quando ancora non sapevo neppure se sarei riuscito a pubblicarli. Per quanto riguarda la nascita di Astore un giorno stavo tornando in studio dopo essere andato da un cliente (facevo ancora l’avvocato) e mi sono infilato in una viuzza stretta e dall’aspetto abbandonato dove l’unica attività commerciale era rimasta quella di un anziano corniciaio che occupava una stanzetta colma di attrezzi e listelli di legno. Mi ha colpito, ho anche sorriso nel vederlo, ma sono passato via in fretta. Il giorno dopo però, quando mi sono svegliato, avevo in testa il Giallo di via San Giorgio dall’A alla Z.

Astore è il protagonista sia de Il giallo di via San Giorgio che del tuo ultimo libro (che ho letto in due giorni, molto divertente) Il giallo della villa abbandonata. Avrai a che fare ancora con lui?

La serie prevede dieci episodi di cui sei sono già scritti. Non ti anticipo i titoli perché a differenza di Cento Autori, Newton ha l’abitudine di modificarli. Ti confermo che ne succederanno davvero delle belle al buon Astore, anche per ciò che concerne la sua vita personale. E cambieranno diverse cose rispetto ai suoi standard attuali.

Senza spoilerare ovviamente, ci puoi raccontare la trama, i personaggi principali, l’ambientazione del tuo ultimo romanzo, Il giallo della villa abbandonata? Soprattutto mi incuriosisce sapere quanto c’è di vero nella storia narrata e quanto di fantasia. Bocklin è un pittore davvero esistito, assodato. Ma Joseph Balkan? 

Come capita spesso nei miei romanzi, l’inizio sembra storia di tutti i giorni, con il protagonista alle prese con il suo lavoro, le preoccupazioni e gli ordinari impegni quotidiani. In questo romanzo Astore viene contattato da una donna che ha ereditato una villa fatiscente da una zia e, saputo che sarà difficile poterla vendere in tempi brevi, pensa di ricavare qualcosa almeno dai mobili che ne costituiscono l’arredamento. Il nostro si reca all’appuntamento, non senza ripensare con un brivido a un’altra villa, quella delle sorelle Spada del primo episodio. Trova mobili in cattivo stato e di scarso valore, ma viene colpito da un quadro, una crocifissione dove Cristo è in una posa insolita e circondato da strani figuri incappucciati. Chiede alla cliente di mostrare il quadro a un esperto di pittura e ottenutone il consenso si rivolge a un conoscente, tale professor Zeni. Questi resta sbalordito riconoscendo nell’opera la mano di Joseph Balkan, un misconosciuto allievo di Bocklin (quello dell’isola dei Morti) che aveva fama di negromante. Si diceva infatti che nelle sue tele si nascondesse il segreto per evocare i morti. Per Astore la storia finirebbe lì, ma purtroppo per lui il quadro viene rubato, il professore ucciso e chi credi che venga sospettato? Mi è piaciuto incrociare realtà e finzione, inventarmi la figura di Balkan, rendendola compatibile con la vita di Bocklin, così come intrecciare la vita di Papa Sisto V con la misteriosa setta dei Fedeli di Erebo. È il bello della fantasia: non c’è limite a quello che puoi creare. La cosa divertente è che una lettrice mi ha detto d’aver cercato su Google Joseph Balkan per saperne di più della sua vita. E Google le ha segnalato Il Giallo della Villa Abbandonata.

Una cosa che ti contraddistingue è il fatto che nei tuoi romanzi più celebri non ci sono commissari protagonisti. Come mai questa scelta? Eppure all’inizio c’era stato Ezio Marvelli, o forse lui e venuto dopo… Colgo l’occasione anche per chiederti di dirci la tua bibliografia, rimettiamo un po’ di ordine cronologico perché tra ristampe e riedizioni faccio un po’ confusione.

Prescindendo da tutti i racconti pubblicati in mille disparate antologie, la mia bibliografia si compone di:  “E verrà la morte seconda” – SBC; “Il Giallo poliziesco italiano” (scritto a sei mani) – Sarapar; “Il primo inganno”, “Non si ingannano i morti”, “Ingannando si impara” – Cento Autori; “Di morte, d’insonnia e d’altre canzoni” – Clown Bianco; e i due con Newton Compton. Quanto al fatto che i miei protagonisti non rivestano ruoli istituzionali lo vedo sinceramente come una nota di merito. Non amo la congerie di marescialli, ispettori e commissari che hanno invaso da qualche anno le nostre librerie e trovo che adottare una scelta di questo tipo sia in fondo più semplice. Più difficile è mettere al centro della storia gente comune che si trova senza volerlo coinvolta in intrighi e delitti, che deve agire solo con i propri mezzi, spesso anche in contrapposizione alle Forze dell’Ordine. Il caso di Marvelli è diverso e chi ha letto “Di morte, d’insonnia e d’altre canzoni” lo capisce bene. In ogni caso si è trattato di un romanzo corale in cui i poliziotti protagonisti erano più d’uno e l’unico che parlava in prima persona era il serial killer. È stato una sorta di esperimento, anche se ti confesso che ne sto scrivendo il seguito, con altri attori e ambientazioni.

Il giallo della villa abbandonata è rivolto ad un particolare tipo di lettore o può interessare chiunque? Io posso dire che non è un thriller truce ma racconta una bella storia, coinvolgente e itinerante… con personaggi originali e interessanti. Con un altro finale… spiazzante.

A differenza dei romanzi dove protagonista è Sandrelli, quelli con Astore sono più cinematografici, più scenografici, più dinamici e, credo, vivono della luce che il protagonista irradia con le sue qualità e la sua storia personale. Quando ne parlo con chi frequenta i miei firma copie o le presentazioni, sono solito dire che ognuno può leggere il giallo di via San Giorgio o quello della Villa Abbandonata come avventure a sfondo thriller oppure li può leggere seguendo il personaggio di Astore e la sua lenta riscoperta della vita, le sue vicissitudini personali, esistenziali. Quindi, a differenza dei precedenti, credo che possano appassionare anche il lettore che solitamente sceglie altri generi. E poi mi diverte differenziare tra un romanzo e l’altro (o meglio tra una serie e l’altra) il modo di scrivere, di approcciarmi alla storia, di far entrare chi legge nelle pagine. Il colpo di teatro nel finale è ovviamente la ciliegina sulla torta.

Non so se lo posso anticipare e non so neppure se la notizia è fondata ma credo che Il giallo della villa abbandonata non sia l’unica novità di Riccardo Landini per questo 2020. Sbaglio o a luglio uscirà qualcos’altro che ti riguarda? Ancora con una piccola casa editrice.

Come ti dicevo nel 2020 dovrebbe uscire il quarto di Sandrelli a cavallo dell’autunno, se non sorgeranno problemi legati alla difficile situazione sanitaria. In più sarebbe dovuto uscire un volume contenente sette racconti con protagonista il commissario Presti (che bello smentirsi da soli, eh?) con un editore di Mantova che mi ha cercato, mi ha conquistato per il suo ardore libresco e che ha voluto proprio quei racconti, anche se in Italia si sa che è un genere che solitamente non funziona. Purtroppo il virus ha messo in discussione non tanto l’uscita del libro, quanto i tempi dell’uscita che probabilmente slitteranno al 2021. Sarà un’edizione che ritengo deliziosa sia sotto il profilo della forma come, spero, della sostanza. Sono racconti scritti tanto tempo fa e, dopo questi, basta davvero con i commissari…

Un’ultima considerazione più che altro una ulteriore occasione per ringraziare giallo e cucina che mi ha fatto conoscere tanti autori per me nuovi e soprattutto alla perspicacia di Dario Brunetti che conoscendo i miei gusti “libreschi” mi consigliò di leggere Primo inganno. Per me fu una scoperta incredibile un libro che ho amato e che amo tantissimo con un finale da far accapponare la pelle, bellissimo. Così mi sono appassionato ai libri di Riccardo Landini li ho letti tutti, (mi manca il primo che ha scritto provvederò presto a coprire la lacuna). Consiglio cosi, in modo disinteressato, a tutti di leggere i suoi libri. Ne vale veramente la pena. Anche tu hai scoperto dopo il successo di Primo inganno di essere “diventato” uno scrittore? O in cuor tuo lo eri già prima? Raccontaci un po’ i tuoi esordi…

Si potrebbe dire che ho letto tanto e ho scritto tanto. Se i libri sono stati i miei compagni di viaggio sin da quando ero bimbo, dai tempi del giornale del liceo sino ad oggi non ho mai smesso di scrivere un po’ di tutto. Parlando di romanzi, il mio primo resta (per ora) inedito e risale ai tempi dell’università. Non era un giallo peraltro. Il primo pubblicato, quello che ancora non hai letto, era inizialmente la sceneggiatura di un film. Sfumata questa opportunità e trovando la storia intrigante ho deciso di trasformarla in romanzo. Il risultato è stato “E verrà la morte seconda”, la storia di uno scrittore alla ricerca disperata di un’idea per il nuovo libro che viene spinto dal suo agente letterario a indagare su una storia di ragazze scomparse per poi ricavarne un testo pubblicabile. Ho cercato di fare una riflessione sul talento e sul successo quando chi crede di possedere entrambi scopre di averli persi. Il personaggio di Claudio Rizzati e la sua lenta perdita di moralità, i compromessi sempre maggiori a cui perviene credo sia interessante e la lettura piacevole. Aggiungo che, sentendomi scrittore fino al midollo, spero ardentemente di non finire come lui…

Come consuetudine al termine dell’intervista noi di giallo e cucina chiediamo di dirci una citazione ed il tuo piatto preferito, ma lo hai già fatto (a meno che non siano cambiati i tuoi gusti) allora per l’occasione ti chiedo di nominarci un paio di libri anche tre di cui vuoi consigliarci la lettura e perché.

Ti dirò che ultimamente vado pazzo per i cappelletti al ragù, alla romagnola, accompagnati da un buon Sangiovese… Per quel che riguarda i libri, poiché non mi hai posto limitazioni di sorta, ti voglio citare “La stanza del vescovo” scritto da Piero Chiara, un autore che adoro. Ho nominato quello perché la storia assume sfumature di giallo e quindi rientra nella categoria da noi apprezzata, ma avrei potuto scegliere uno qualsiasi degli altri romanzi di Chiara. La sua scrittura leggera, capace di affrontare argomenti anche impegnativi con una levità e un’ironia eccezionali rendono la lettura un piacere sopraffino. I suoi personaggi sono delle pennellate di colore su una tela bianca in cui spiccano indelebili. E le storie sono davvero molto coinvolgenti e divertenti. Poi ti indico “Il nome della Rosa” di Umberto Eco, perché la scrittura è di livello molto alto, l’ambientazione, i personaggi, i riferimenti storici: tutto funziona alla perfezione. Senza dimenticare l’enorme lavoro di documentazione che ci sta dietro. L’avrò letto quattro volte e l’ho sempre trovato appassionante, anche come giallo. In più ha aperto un filone che, nel bene o nel male (direi più nel male), ha permesso a una platea di scrittori di trovare argomenti per i loro romanzi, ma al contempo ha attratto tanti nuovi lettori. Visto che mi hai dato l’opzione per un terzo, non posso fare a meno di citare “Gente di Dublino” di James Joyce e, in particolare, il racconto finale “I Morti” che ritengo la più alta forma di letteratura e di riflessione sull’esistenza umana che sia mai stata scritta, un capolavoro ineguagliato che io amo alla follia.

 

Di nuovo grazie. Complimenti ed a presto

Grazie mille dell’intervista, Gino, è sempre un piacere discorrere con te e con gli amici di Giallo & Cucina.

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