L’ospite di oggi, curatore del blog Varese Noir (http://varesenoir.wordpress.com/) è Paolo Franchini. Ha recentemente pubblicato il romanzo Soprattutto la notte. Andiamo a conoscerlo meglio nell’intervista curata da Alessandro Noseda.
Intervista a Paolo Franchini a cura di Alessandro Noseda
Varese, sabato, ora di pranzo. Siamo a tavola con Paolo Franchini, scrittore, paroliere e che altro?
Sono una persona che si diverte a raccontare storie. Inventate, reali o verosimili che siano. Il mezzo, il più delle volte, è solo un dettaglio. Vanno bene le pagine di un romanzo, quelle di un fumetto, le rime e le assonanze del testo di una canzone, le immagini che scorrono sullo schermo di una TV o di una sala cinematografica. Molto spesso, soprattutto negli ultimi tempi, utilizzo quello che mi viene messo a disposizione, insomma.
Come hai scelto il locale? Cosa ordiniamo? E da bere?
Il locale è il migliore sulla piazza: casa mia. Non sono uno a cui piace granché uscire a pranzo o a cena, lo ammetto. Sono un pigro inguaribile, per dirla tutta. Anche perché, a casa, non serve nemmeno fare la fatica di scorrere il menu per ordinare: in tavola arriva proprio quello che uno desidera mangiare. Perché gli tocca cucinarselo, è vero, ma questo è un altro discorso. Oggi, ad esempio, servirò una bella pizza con le cipolle. E da bere, Coca-Cola. Se vuoi, comunque, in frigo c’è anche la birra. Basta alzarsi e servirsi.
Iniziamo con le presentazioni. Raccontaci di te: chi sei e perché leggi e scrivi. E quando lo fai, visto che penso non sia il lavoro che ti dà da vivere…
In pratica, posso dire di essermi già presentato con la prima risposta. Leggo e scrivo perché mi diverto. Sono attività che mi fanno sentire bene ed è il tempo, il più delle volte, a trovarmi. È piuttosto raro che accada il contrario, purtroppo. Ci sono cose che si fanno per mangiare e altre per vivere. Scrivere e raccontare, e lo stesso leggere e pensare, non riescono a riempire il piatto, come hai già detto, ma nutrono ugualmente. E, cosa importante, senza neppure farti ingrassare.
Quando e come è nata la passione per la lettura?
I libri mi sono sempre piaciuti, posso dire. Quelli che ero costretto a leggere a scuola non molto, ma penso sia una condizione che accomuni parecchie persone.
E l’esigenza di scrivere?
Di pari passo con la lettura, ecco lo scrivere. Credo sia normale così. Nei temi andavo piuttosto bene, soprattutto quando le tracce fissavano pochi paletti.
Raccontaci di “Soprattutto la notte”: com’è nata l’idea?
Non ho dovuto fare altro che guardarmi intorno. Ho fatto, cioè, quello che dovrebbe sempre fare chi vuole narrare. La storia si svolge a Varese, la città in cui vivo e scrivo, durante i giorni del mondiale di ciclismo. Per un motivo – per me – pressoché incomprensibile, tutti sembravano essere andati fuori di testa per questa settimana fatta di biciclette e telecamere sparse in giro per la città. Io, invece, non ci trovavo nulla di particolarmente curioso, così ho impiegato poco a domandarmi: “E se, in questi giorni già caotici, capitasse qualcosa di davvero elettrizzante?”. Immaginare il rapimento della campionessa italiana ad un giorno dal via è stata questione di attimi.
Rubi alla realtà o i tuoi personaggi sono totalmente frutto di fantasia?
La realtà mi offre gli ingredienti, sia per le storie sia per i personaggi. La fantasia, con i suoi tempi, crea poi le ricette.
Dove e come ambienti i racconti?
Il più delle volte, sono le storie a dirmi dove devono accadere i fatti. In ogni caso, penso che si debba scrivere di luoghi che si conoscono bene. La narrazione deve viaggiare in modo che tutto sia sempre molto verosimile – per non dire reale – e la differenza, ne sono convinto, la fanno i dettagli. Gli odori di un vicolo, ad esempio, non li puoi descrivere come si deve se per quella stradetta non hai mai camminato.
Quali sono state le maggiori difficoltà nella stesura della prima bozza? E nel seguito?
Non lavoro con la “scaletta”, quindi ho più difficoltà per certi versi e meno difficoltà per altri. Ho in mente la storia dall’inizio alla fine, questo sì, ma non seguo in maniera rigida i miei appunti. Le righe e le pagine vanno e vengono dall’inizio alla fine della stesura. Anche per questo motivo, faccio sempre fatica a dire: “Adesso ho finito”. Ad ogni modo, è proprio questa una delle cose che mi diverte di più dello scrivere.
Cosa ci puoi raccontare della tua esperienza editoriale?
Ce ne sono senz’altro di peggiori. Ma anche di migliori.
Sei fermo alla carta o ami anche gli eBook?
Il libro tradizionale, quello di carta e inchiostro, mi piace parecchio, molto più di quello elettronico. Del libro di pixel non apprezzo granché, ma credo si tratti solo di un mio limite. Tra l’altro, non credo che il libro elettronico possa servire ad avvicinare più persone al piacere della lettura. Chi non sente il bisogno di leggere, non legge in ogni caso. Un’altra cosa che non sopporto, poi, è la ridicola differenza di prezzo fra il libro di carta e l’eBook. Molti editori stanno solo approfittando della situazione, per come la vedo io. Non ci sono costi di stampa e distribuzione fisica, ma il prezzo di copertina non lo mostra.
Un buon consiglio a chi ha la sua storia nel cassetto e non ha ancora trovato chi gliela pubblichi?
Rileggerla – e riscriverla anche dall’inizio, se serve – una volta ancora. E poi cercare con attenzione un editore che, nelle proprie collane, dia spazio a storie come quella che abbiamo scritto. Sparare a caso nel mucchio non serve. Come non serve perdere tempo con quegli editori che chiedono un contributo per pubblicare, che la somma sia piccola o grande. Pagare per vedersi pubblicati è solo onanismo letterario, lo dico spesso. E fate attenzione anche perché, a furia di auto-pubblicarsi, si diventa ciechi.
Cosa pensi delle fiere letterarie?
Ritengo che le fiere e le rassegne letterarie siano sempre utili e interessanti anche se, come le presentazioni, spesso vengono viste solo come “chiamate a raccolta” da chi ha nel cassetto il famoso manoscritto da piazzare ad ogni costo.
Ti piace incontrare il tuo pubblico?
Il contatto con il pubblico mi piace parecchio, non lo nascondo. Mi diverte parlare con le persone e starle a sentire.
Ci sono domande che ti mettono in difficoltà e altre che nessuno ti ha mai posto?
In questi anni, mi hanno chiesto un po’ di tutto. Domande di ogni genere alle quali ho sempre provato a rispondere nel modo migliore. E con sincerità, ovviamente.
Che tipo di lettore sei?
Leggo molto e anche libri diversi fra loro. Non solo noir o gialli, per capirci. Da qualche tempo, poi, ho deciso di darmi una regola: ogni tre romanzi “moderni”, un bel classico. Ad esempio, in questi giorni ho sfilato dalla libreria “I promessi sposi”. Sono sincero: ai tempi della scuola, l’avevo sottovalutato. E un po’ odiato, anche.
Ci sono autori ai quali ti ispiri e che rappresentano per te un benchmark?
Ho parecchi punti di riferimento, penso sia indispensabile averne molti per chi vuole raccontare e scrivere nel modo migliore. Potrei fare decine di nomi, ma mi limito a due per non annoiare: Dostoevskij e Céline.
Hai altri progetti letterari in cantiere?
Letterari e non solo, devo dire. Sto lavorando al film “Scherzi”, un thriller per il quale ho lavorato al soggetto e alla sceneggiatura con i fratelli Damiani. L’uscita nelle sale è prevista per l’inizio del 2014 e, in queste settimane, si sta ultimando la sonorizzazione. Sto poi scrivendo i testi delle canzoni e collaborando alla chiusura del copione del musical “Testa tra le nuvole”, il cui tour inizierà il prossimo maggio, e sto concludendo, insieme alla giornalista Chiara Poli, la selezione dei racconti che daranno vita all’antologia benefica “Morto e mangiato”. Anche se saranno storie di zombie, ci sarà da divertirsi parecchio.
In cucina come te la cavi?
Più che altro, mi diletto a spignattare e trovo molto rilassante cucinare i dolci. Insieme al pasticcere Marco Maculan, anche per questo, ho scritto “Dolci da morire”, un volume che raccoglie tutte le ricette più golose comparse nei romanzi scritti da quel genio di Agatha Christie. Io mi sono occupato della parte letteraria e lui di quella culinaria.
Lasciaci con una ricetta e/o una citazione.
Non compare tra le delizie che di Poirot e Miss Marple, ma vi lascio la ricetta per la crostata. La mia è semplice e veloce. Vi ho già detto che sono piuttosto pigro, no? Undici cucchiai di farina, tre di zucchero, un uovo, settanta grammi di burro già sciolto e un pizzico di sale. Mettete tutti gli ingredienti in un tritatutto (sì, avete letto bene) e fate girare le lame per qualche secondo, finché non vedete che si è formata una bella palla di pasta. Tenetela in frigo per qualche minuto, il tempo che vi serve per sbucciare un paio di pere. Disponete la pasta in una tortiera, stendete un velo di marmellata di albicocche e piazzate per bene le fettine di pera che avrete tagliato. Informate per una mezz’oretta a 180°. Sfornate, sformate e… buon appetito.
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L’ha ribloggato su Paolo Franchini.