WILLIAM  P. McGIVERN

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Nato a Chicago, nell’Illinois, il 6 dicembre 1918 da una famiglia statunitense di origine irlandese, e morto il 18 novembre 1982 a Palm Desert, in California, McGivern si accostò alla narrativa molto presto, iniziando a scrivere racconti polizieschi a diciotto anni. Dopo aver partecipato al secondo conflitto mondiale come sergente di artiglieria, guadagnandosi la Soldier’s Medal, e aver studiato all’università di Brighton in Inghilterra, tornò negli Stati Uniti, lavorando per un biennio come reporter di polizia per il “Philadelphia Bulletin” e poi come autore di racconti per “The Evening Bulletin”.

Gli anni ’40 e ’50  furono cruciali per il giovane scrittore, che tentò fra l’altro anche la strada della fantascienza, pubblicando più di cento storie di SF. Nel 1947, infatti, sposò Maureen Daly, anche lei giornalista e autrice del bestseller La diciassettesima estate (1942) – destinata a condividere con lui l’anno della morte – da cui ebbe due figli, Megan (1948-1983) e Patrick (1952-2012). Va  ricordato anche che i coniugi scrissero insieme, nel 1958, Mention My Name in Mombasa: the Unscheduled Adventures of an American Family Abroad, narrazione delle loro avventure all’estero tra Irlanda, Kenya e Torremolinos, in Spagna.

Nel 1948, finalmente, McGivern esordì nel segno del Giallo con But Death Runs Faster (o The Whispering Corpse), avviando una produzione che arriverà a contare più di venti romanzi e decine di racconti, alcuni sotto vari pseudonimi quali Duncan Farnsworth, John York Cabot, PF Costello, Bill Peters e Gerald Vance. E gli anni ’50 furono, narrativamente parlando, i più significativi e fertili per il nostro autore, con opere prontamente recepite anche da noi, in traduzioni pregevoli  (soprattutto per Longanesi) tra cui segnaliamo:

L’assassino è tra noi!, Casini, I Gialli del Secolo n. 50, 1953 (Shield for Murder, 1951);

Le bionde muoiono giovani, Longanesi 1953, poi Per le bionde: domani troppo tardi, Elleti 1956 (Bill Peters, Blondes Die Young, 1952);

La città che scotta, Longanesi 1954, poi Il grande caldo, I Classici del Giallo Mondadori n. 327, 1979, e Anabasi 1995; infine ancora La città che scotta, Feltrinelli 2008 (The Big Heat, 1953);

Il poliziotto è marcio, Longanesi 1955, poi Interno Giallo 1991 e I Classici del Giallo Mondadori n. 1342, 2014 (Rogue Cop, 1954);

Le ore sono nere, Longanesi 1957 (The Darkest Hour, 1955);

La donna rubata, Longanesi 1957 (The Seven File, 1956):

Scacco alla bionda, Longanesi 1958 (Night Extra, 1957);

Le corna del diavolo, Longanesi 1960;

Non ragiono più, Longanesi 1961 (Savage Streets, 1959);

La luna rossa, Longanesi 1961 (Seven Lies South, 1960).

Da ricordare ancora che tre gialli di McGivern  – La città che scotta, Il poliziotto è marcio e La luna rossa – furono editi in Italia in un unico volume dal Club degli Editori nel1973.

Più che al mystery classico o al poliziesco, s’è detto che i gialli di McGivern appartengono all’area della suspense drammatica: storie in cui non interessa tanto chi è stato a commettere un delitto, quanto l’analisi della società che produce l’assassino. Nel suo romanzo più famoso, Il grande caldo (1953), il sergente Bannion è un poliziotto d’onore, costretto a vivere in una città in cui l’onore è scomparso, sostituito dall’Onorata Società. E quando Deery, un suo collega, si suicida, Bannion sospetta che quel gesto lui l’abbia compiuto per disperazione, perché coinvolto in qualcosa di losco, nonostante la moglie testimoni che Deery era gravemente malato. Bannion, comunque, è deciso ad andare fino in fondo per scoprire la verità, ma qualcuno prima tenta di impedirgli di continuare le indagini, facendolo richiamare dai superiori, poi passa all’azione per ridurlo al silenzio per sempre. Così, in un attentato, da cui Bannion scampa, gli viene uccisa la moglie. E allora la ricerca della giustizia lascia il posto alla sete di vendetta, che sarà implacabile.

Personaggio complesso, Bannion legge testi di filosofia: “San Giovanni della Croce, Kant, Spinoza, Santayana, filosofi d’animo gentile per i quali il bene era la sostanza del mondo, e il male l’accidente, il caso, l’eccezione.” Ma il bene è scomparso dalla sua città e la vendetta diventa la sua stessa vita, finché, alla fine del romanzo, l’odio è sostituito da una grande tristezza, che sopraggiunge dopo che “il grande caldo” –  cioè la resa dei conti con i criminali – si è sbollito e si è spento. “Si tratta di una storia vigorosa” ha scritto il critico americano Anthony Boucher, “raccontata in modo potente e con una profondità psicologica raramente riscontrabile nei melodrammi di gangster e di corruzione.”

Il tema della corruzione nella polizia ritornerà subito in altri gialli di McGivern, a partire da Il poliziotto è marcio dell’anno dopo, in cui due fratelli poliziotti seguono strade differenti: uno è onesto, l’altro è sul libro-paga di una banda di malviventi. Quando il primo non cede a un ricatto e viene ucciso dai criminali, l’altro si redime. Argomento, questo, non nuovissimo, reperibile anche in altri autori, ma mentre molti di questi tendono a una divisione manichea del loro cast in buoni e cattivi irriducibili, il poliziotto “marcio” di McGivern, come ha ben scritto Alberto Tedeschi, “conserva ancora un barlume di umanità, un inconsapevole desiderio di redenzione, un’inespressa nostalgia dei tempi in cui poteva rispettare se stesso. Sì, è marcio questo poliziotto, ma in fondo cova dell’odio per quelli che hanno fatto di lui un traditore, e quando, persuaso di essere spinto soltanto dal desiderio di vendicare il fratello che gli hanno ucciso, si scatena contro di loro, lo fa con la violenza di quell’odio represso e con uno sprezzo del pericolo che rasenta il desiderio di autodistruzione.”

Già in L’assassino è tra noi! (1951), di poco precedente, l’attenzione narrativa s’era rivolta al tema del poliziotto corrotto: qui un agente infatti, stanco del lavoro e del magro stipendio, vuol far fuori un boss della mala e impossessarsi del malloppo di una rapina per assicurarsi una vecchiaia agiata. Mentre ne Le ore sono nere (1955) si ripresenta il tema della vendetta, nella figura di un ex poliziotto che, rilasciato dal carcere di San Quintino dopo cinque anni, è dominato dall’unico pensiero di far pagare la sua detenzione al gangster italo-americano che ne è responsabile. E ancora in Odds Against Tomorrow (1957, mai tradotto in italiano) un poliziotto sospeso dal servizio, un cantante nero col vizio del gioco e un reduce disadattato si mettono insieme, illudendosi, con un colpo ai danni di una banca di provincia, di risolvere così le loro vite.

Negli anni ’60 McGivern si trasferì a Los Angeles, a scrivere soggetti televisivi (per le serie, tra l’altro, Banyon, Kojak, Ben Casey, Adam-12) e cinematografici (sue le sceneggiature, ad es., dei gialli Gli occhi degli altri di William Castle, 1965; Missione compiuta Stop bacioni Matt Helm, 1968; Ispettore Brannigan, la morte segue la tua ombra, 1975). Ma negli anni ’50 e ’60 gli stessi romanzi di McGivern erano già diventati film di rilievo. Ricordiamoli:

– 1953, Il grande caldo (da The Big Heat del medesimo anno) per la regia di Fritz Lang, con Glenn Ford, Gloria Grahame, Lee Marvin, Jocelyn Brando, Carolyn Jones, Jeanette Nolan e Linda Bennet: uno dei migliori risultati del Lang americano e uno dei suoi film più “politici” in forma di amara riflessione sulla corruzione, la vendetta e i limiti della legalità, all’altezza dei capolavori del cinema “giallo” e “nero” di quegli anni, firmati da Hawks, Ford, Wellman, LeRoy o Curtiz;

– 1954, Senza scampo (da Rogue Cop dello stesso anno) diretto da Roy Rowland, con Robert Taylor, Janet Leigh, George Raft, Steve Forrest e Anne Francis: “un poliziesco M-G-M che si distacca dalla produzione di serie per la cura delle psicologie, un ritmo spiccio, un’ambientazione realistica attendibile esaltata dalla fotografia di John Seitz”  (M. Morandini);

– 1954, Il colpevole è tra noi (da Shield for Murder, 1951), codiretto da Edmond O’Brien e Howard W. Koch, con  John Agar, Marla English, Carolyn Jones e lo stesso Edmond O’Brien: “ha l’apparenza di un film di serie B con ambizioni di serie A; potabile” (Morandini);

– 1955, La baia dell’inferno (Hell on Frisco Bay, dal romanzo The Darkest Hour, 1955), per la regia di Frank Tuttle, con Alan Ladd e Edward G. Robinson;

– 1959, Strategia di una rapina (da Odds Against Tomorrow, 1957), diretto da Robert Wise e sceneggiato da Abraham Polonsky, non accreditato perché perseguitato politico del maccartismo, con Harry Belafonte, Robert Ryan, Shelley Winters, Gloria Grahame, Ed Begley e Will Kuluva: “film nero apprezzabile per acutezza di annotazioni e sapore d’ambientazione, in cui Wise ha saputo compensare lo schematismo della storia e il finale simbolico e oratorio con pagine descrittive di una forza struggente” (Morandini).

Molto più modesti, invece, gli esiti filmici degli anni seguenti, tra cui ricordiamo Il carnevale dei ladri, 1967 (The Caper of the Golden Bulls, ma noto anche come Carnival of Thieves), diretto da Russell Rouse e interpretato da Stephen Boyd e Giovanna Ralli, appena sufficiente, e Fort Bronx del 1980 (dall’ultimo romanzo di McGivern, Night of the Juggler, 1975), un modesto film di rapina con James Brolin per la regia di  Robert Butler (quello, per intenderci, di Hill Street giorno e notte).

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