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Mad Max: Fury Road – Recensione di Emanuele Marchetto.

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Film del 2015 diretto, co-sceneggiato e co-prodotto da George Miller. Produzione australiana-statunitense, è il quarto capitolo della serie di Mad Max, ed è interpretato da Tom Hardy, Charlize Theron, Nicholas Hoult, Hugh Keays-Byrne, Rosie Huntington-Whiteley, Riley Keough, Zoë Kravitz, Abbey Lee e Courtney Eaton.

Il regista George Miller torna alla sua creatura originale, realizzando forse il suo capolavoro. Un film totale, dove l’azione la fa da padrone, un’azione vecchio stile, con pochi interventi digitali. La fotografia è fatta di colori caldi e terrosi che sembrano colare dallo schermo, anche se originariamente il regista aveva pensato di utilizzare il bianco e nero. Il montaggio è frenetico, ma puntuale, e non nasconde nulla alla visione.
Quello che molti hanno criticato è la sceneggiatura, dicendo che la trama è troppo stiracchiata. In realtà il film è scritto perfettamente, in quanto il mondo che ci si presenta davanti viene raccontato per immagini, dettagli e pochissimi dialoghi messi nel punto giusto: siamo in un futuro post apocalittico dove la società si è riorganizzata in città isolate, ognuna delle quali monopolizza un elemento fondamentale per la sopravvivenza. Le tre città fondamentali sono: Cittadella, comandata da Immortan Joe (Hugh Keays-Byrne), “veterano delle guerre per il petrolio ed eroe della guerra per l’acqua”, ha fondato il suo regno sul monopolio dell’acqua e fondato una religione che vede lui come dio, e i suoi guerrieri sottoposti, nati da incesti, quindi tutti malati, sono convinti di poter raggiungere il Valhalla sacrificando la loro vita al sovrano; Gas Town, dove comanda Il Mangiauomini (John Howard), comandante di un’armata formata da “Piromani” (esperti nell’uso di esplosivi) e “Koala” (abili acrobati che si muovono su lunghe aste di metallo). Questa città si basa sul monopolio del carburante, importante quasi come l’acqua in questo futuro, dato che i mezzi di trasporto rappresentano potere e controllo; Bullet Farm, comandata da Il Fattore, controlla il monopolio delle armi, fondamentali per la sopravvivenza in questo mondo ostile. Una volta all’anno queste tre comunità entrano in contatto per degli scambi commerciali. L’Imperatrice Furiosa, serva di Immortan Joe, viene incaricata di portare il carico d’acqua a Gas Town, ma devia per il Luogo Verde, di cui non è sicura neanche l’esistenza.
Non vi dico altro, sta di fatto che la narrazione si sviluppa all’interno di infinite scene d’azione. Questo aspetto può indispettire una parte del pubblico che non ama i film di questo genere. Io mi sento di consigliarlo a chiunque, in quanto siamo davanti ad una vera opera d’arte. I tettagli sono molto importanti per comprendere la mole di lavoro che c’è dietro.
Il film non è un Remake ne un Reboot. È un sequel, anche dal punto di vista concettuale: dopo il futuro distopico del primo capitolo e l’atmosfera post apocalittica del secondo, nel terzo trovavamo un accenno di rinascita della civiltà. In Mad Max: Fury Road troviamo un mondo riorganizzato, dove i più forti schiacciano i più deboli e dove il potere è conquistato subdolamente affamando il popolo. In tutto questo, nel finale viene anche inserito un messaggio ecologista, che non fa mai male.
Per una volta gli Oscar sono stati equi, premiando il film con sei statuette su 10 nomination: tutti tecnici, ma ci possiamo accontentare.
Nota: nel film c’è un’inquadratura che cita (più o meno esplicitamente) un quadro di Dalì. Vediamo se indovinate qual è.

Emanuele Marchetto

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