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A cura di Emanuele Marchetto
A History of Violence (2005) di David Cronenberg.
Regia di David Cronenberg. Con Viggo Mortensen, Maria Bello, Ed Harris, William Hurt, Heidi Hayes
Il film è tratto dall’omonimo romanzo grafico scritto da John Wagner, illustrato da Vince Locke e pubblicato dalla Vertigo (etichetta della DC Comics) nel 1997, ma il regista ridusse al limite i collegamenti con l’opera cartacea.
Il lungometraggio è stato presentato in concorso al 58º Festival di Cannes.
Tom Stall è il proprietario di una tavola calda e vive con sua moglie Edie, avvocato, suo figlio Jack e sua figlia minore Sarah in una piccola città dell’Indiana, Millbrook. Un giorno due malviventi tentano di rapinarlo e lui reagisce prontamente, uccidendoli entrambi con una naturalezza che non si addice all’uomo mite che tutti conoscono. Nonostante questo, viene acclamato dalla cittadina come eroe locale, ma all’interno della sua famiglia inizia a serpeggiare il dubbio sulla vera identità di Tom, soprattutto quando Carl Fogarty, un boss della malavita, arriva in città dicendo di essere il fratello dell’uomo.
Uno dei migliori film di Cronenberg, è una riflessione glaciale sull’America contemporanea. I miti dell’American Way Of Life e del Self-made Man vengono qui smascherati e messi alla berlina.
Uccidere in determinate situazioni può essere giustificabile, anzi può renderti un eroe (i soldati in guerra sono un esempio). Tom viene infatti considerato tale dopo aver sparato in faccia a due persone: non è difficile cogliere la grande ipocrisia che c’è dietro questo ragionamento. Il regista sottolinea come l’America abbia da sempre uno strano rapporto con la violenza che, se da un lato è severamente punita, in altri casi è propagandata ed esaltata come necessaria per proteggere il territorio o “esportare la democrazia”. Tutto nel film di Cronenberg ha due facce. Primo tra tutti il protagonista, mite all’apparenza, ma con un passato da assassino. Tom non cerca di redimersi, ma di lasciarsi il passato alle spalle, pensando di avere diritto a una “seconda possibilità”, un tema caro alla cultura amercana: “tutti hanno diritto ad una seconda possibilità”. Non secondo il regista, convinto che un passato violento non si possa cancellare: “(in) A History of Violence il passato non torna per spiegare, ma infesta il presente senza mostrare il suo volto”.
La morte del “sogno americano” si completa nell’agghiacciante scena finale, dove Cronenberg smitizza un altro cliché, ovvero il “lieto fine” e il ritorno alla “normalità”: Tom ritorna a casa e la situazione ritorna simile a quella di inizio film; la figlia apparecchia per il padre, il quale riprende il suo posto a tavola per la cena, ma nulla sarà più come prima. La famiglia sta tacitamente accettando, non di perdonare Tom, ma di fingere che nulla sia mai successo, scegliendo in modo ipocrita di continuare a vivere nella menzogna.