Recensione de The Danish Girl di Tom Hooper a cura di Stefania Ghelfi Tani
Tratto dal romanzo omonimo di David Ebershoff , The Danish girl è la storia di una transizione, di un cambiamento voluto e sofferto, di una trasformazione riconosciuta, perseguita e attuata anche grazie ad un grande amore e ad un’amicizia che accettano e comprendono.
Un plauso all’impeccabile e convincente interpretazione di Eddie Redmayne nei panni del pittore Einar Wegenat, un altro plauso alla bravissima e magistrale Alicia Vikander che interpreta sua moglie, la ritrattista Gerda Wegener.
Einar diviene Lili attraversando un forte dramma personale, due vite in una. Redmayne ci racconta col volto, con gli occhi, col sorriso, con le mani, con grande grazia i suoi mutamenti interiori ed esteriori.
Gerda “c’è” sempre e comunque; la Vikander ci presenta un personaggio forte, volitivo che lascia un forte messaggio, quello di un amore incondizionato con i suoi inevitabili conflitti intrinseci.
La regia perfetta di Tom Hooper, la favolosa, avvolgente e toccante fotografia di Danny Cohen, la descrittiva e bellissima scenografia di Ewe Stewart che scandisce i diversi momenti della storia, gli affascinanti costumi di Paco Delgado sono cornice e contenuto insieme.
Questa sinergia artistica trasforma la pellicola in un insieme di eleganti fotogrammi pittorici spesso permeati da una forte sensualità, donando armonia e coinvolgendo l’estetica dello spettatore.
Quella di Einer/Lili è una storia estremamente dolorosa, incorniciata in modo estremamente lieve e garbato. Forse troppo, perché in questo modo si è limitata la trasmissione e l’espressione della vera sofferenza di un cambiamento, del coraggio di un uomo che in un’epoca lontana – siamo tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30, tra Copenaghen e Parigi – ha comunque voluto affrontare tutte le difficoltà necessarie (psicologiche e fisiche) per poter essere se stesso.
Un film raffinato, quasi etereo nella descrizione di un corpo “sbagliato” che l’anima non accetta.
Non ci sono pregiudizi, giudizi, trasgressioni. Hooper non osa, si limita a raccontare un argomento delicato quanto mai attuale.
Un film che è un dipinto dell’anima, della carne, dei sentimenti profondi, dell’affermazione del proprio io.
Consigliatissimo!