DUE PARERI A BRACCETTO
a cura di Alessandro Noseda
Amaro come un caffè senza zucchero, duro come un new jersey, doloroso come un pugno nello stomaco.
Il nuovo film di Muccino non fa sconti, non apre al politically correct, non racconta fiabe.
Una fotografia alla Pupi Avati. Oggettiva, nuda e cruda e sbattuta in faccia.
Bella l’idea dell’isola. Pregna di significati. Famiglie isolate, persone isolate, ognuno chiuso nel proprio guscio.
Difficoltà di comunicazione. Il mare in tempesta.
Dentro e fuori.
Il sito ideale per un delitto. Come in dieci piccoli indiani.
Si uccide l’amore. O meglio si uccide l’idea romantica dell’amore. Puro, libero, senza catene.
Si uccidono i sogni da adulti.
L’amore dei ragazzi è bello, sincero, pulito. Resterà così? O prenderà le medesime strade degli altri isolani?
Una sfida attoriale impressionante. Nessuno è da meno.
Persino Gianmarco Tognazzi, che non ho mai sopportato, mi ha sbalordito. Per non parlare di Ghini, in un ruolo estremamente difficile, della Gerini che è un’attrice coi fiocchi e di Accorsi, finalmente all’altezza della propria fama. Su tutti svetta la Impacciatore che, diciamolo chiaramente, migliora di film in film.
Bello il ritmo, ottima la fotografia, perfette le scelte musicali.
Centrata la recitazione ansiogena, a fiato corto, a tratti isterica.
Perfetti l’accavallarsi delle riprese, l’alternarsi dei protagonisti, i repentini cambi di scena.
Stupenda l’ambientazione, valorizzata dalle riprese con drone e handycam.
Da vedere!
a cura di Stefania Ghelfi Tani
Gabriele Muccino torna a girare in Italia con uno spaccato famigliare quanto mai attuale.
Grande prova attoriale, bella fotografia di Shane Hurlbut e ambientazione perfetta.
Muccino sa cogliere da ogni interprete l’autenticità e veicolarla in una recitazione senza sbavature, riuscendo a valorizzare tutto il cast: Stefania Sandrelli e Ivano Marescotti, Sabrina Impacciatore e Giampaolo Morelli, Carolina Crescentini, Pierfrancesco Favino e Valeria Solarino, Stefano Accorsi ed Elena Cucci, Sandra Milo, Massimo Ghini e Claudia Gerini, Gianmarco Tognazzi e Giulia Michelini,
Al primo posto metto Massimo Ghini che, nonostante sia un comprimario, ha saputo rubarmi una lacrima, meriterebbe un Oscar per quanto riesce ad essere vero e toccante con le parole e con la mimica. Tutti hanno comunque dato il meglio – o il peggio – di sé, ognuno rubando per un momento la scena e regalandoci emozioni dalle diverse sfumature.
A casa tutti male forse sarebbe il titolo corretto: quando la maschera pirandelliana vorrebbe imperare la riunione di troppe pedine fa crollare la recita, innescando derive distruttive verso gli altri e in se stessi.
L’Isola (mai chiamata col suo nome) dove si svolge la riunione di una famiglia allargata fatta di madri, padri, cugini, figli, ex e chi più ne ha più ne metta, diviene la prigione dorata dove tutti vengono realmente isolati da un mare in burrasca che, attimo dopo attimo, si abbatterà anche nei cuori, nei pensieri, nei rapporti in bilico, fragili e umani.
A mio avviso lo spettatore avrebbe mal tollerato la tempesta emozionale, le nevrosi, l’isteria, le urla, le ferite di tutti contro tutti se la storia fosse stata ambientata in una grigia città. L’isola, per quanto non permetta la fuga o l’allontanamento, stempera col suo sole, il suo mare, il suo vento, ma anche con la sua pioggia che confonde le lacrime, le tensioni e il dolore che affiora sempre più forte e invasivo.
L’unico che sembra – ma solo in parte – discostarsi dal gruppo è colui che ha scelto di vivere senza legami.
Ma anche chi rappresenta l’adolescenza, quella gioventù, quel primissimo bacio che torna per farci ancora sorridere e forse sperare, si salva – per ora – dalla bufera.
Molti si riconosceranno nelle sabbie mobili dei sentimenti e non usciranno indenni dalla sala, almeno fino a quando non decideranno di rindossare la maschera o magari di toglierla per sempre.
La macchina da presa sempre in movimento supporta la caratterizzazione mai piatta dei tantissimi personaggi in gioco, pedine che fanno girare senza sosta la ruota con inquietudini, collera, sguardi, abbracci. Anche il rapporto genitori figli in tutte le generazioni, le porte chiuse e le note di un pianoforte che riuniscono (nella sincerità o nella falsità) sono elementi fondanti.
Una riunione di famiglia diventa il palcoscenico dove i propri drammi interiori, l’ipocrisia, le contraddizioni, i giudizi repressi, le chiamate d’aiuto, l’assenza, le mancanze, le paure diventano protagonisti.
Perché “la famiglia è il luogo da cui fuggi e ritorni” – come introduce Stefano Accorsi, il rifugio che può però scardinare bugie, omissioni e rabbia. Poi c’è chi sceglie di ignorare e chi sceglie di combattere.
Le donne che appaiono come le più fragili, tradite e isteriche, alla fine saranno coloro che tirano i fili diventando più forti e lasciando agli uomini lo smarrimento.
La cifra stilistica di Muccino è riconoscibile, mette in piena luce i sentimenti veri, ti sbatte in faccia chi sei senza se e senza ma.
È un film sincero, non dà giudizi, si limita a esporre la verità, mostrando anche come le fasi generazionali, mutano, evolvono, involvono.
Il regista sembra riproporre alcuni dei temi dei suoi film in questa pellicola: la perenne Ricerca della felicità,
i legami finiti come in Baciami ancora, i contrasti tra Padri e figlie, i primi battiti del cuore de L’estate addosso.
Le mille sfaccettature dei rapporti umani in una commedia drammatica.
Il finale ci regala il fotogramma di una sposa che attraversa la strada… non a caso!
Vorrei dare una connotazione a questo film, prendendo a prestito i cinque sensi:
Tatto: Pelle, Udito: Note di pianoforte, Olfatto: Profumo di salsedine, Vista: Mare…
Gusto Amaro