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Sound Crime

SOUND CRIME – ROBERT JOHNSON
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Rubrica a cura di Gianluca Morozzi

<strong>SOUND CRIME - ROBERT JOHNSON</strong>

Early this morning.

“Stamattina presto.”

Molte cose succedono di mattina, nel blues. Quante canzoni iniziano così?

Early this morning.

O piccole varianti (I woke up this morning, un classico).

Dopo, in genere, succede quel che capita nel più classico blues: un repertorio di treni presi o perduti, di donne che se ne sono andate, di soldi che finiscono.

Ma nella celebre Me and the Devil Blues, Robert Johnson racconta altro: al mattino presto qualcuno bussa alla porta, il protagonista della canzone va ad aprire, si trova di fronte il Diavolo. E lo saluta, rassegnato, dicendo “Buongiorno Satana, credo che sia ora di andare”. 

Sono state scritte tesi di laurea e infiniti saggi, su Robert Johnson, il suo patto col diavolo, l’incontro al crocevia, la sua misteriosa morte.

Perché se la tua vita è breve, almeno fai dei tuoi pochi anni e della tua dipartita un’immortale leggenda.

Lo conoscete il club dei 27, no? I musicisti morti a ventisette anni. Brian Jones, Kurt Cobain, Amy Winehouse, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison…

Ebbene, il primo è stato Robert Johnson, nel 1938.

E come li ha vissuti, quei suoi ventisette anni?

Cos’è successo a quel crocevia?

Robert Johnson, si dice, non era particolarmente abile nel suonare la chitarra. L’armonica, piuttosto, quella sembrava padroneggiarla un po’ meglio. Ma dopo la moglie della giovanissima moglie Virginia, Robert sparisce per un anno.

Quando ritorna, è un fenomeno della sei corde: domina lo strumento divinamente.

Famoso è l’aneddoto di Brian Jones che fa ascoltare un disco di Robert Johnson a Keith Richards, e Keith che domanda “sì, ma chi è altro che suona con lui?”. Robert è diventato talmente bravo che sembra siano in due a suonare la chitarra.

E poi scrive canzoni straordinarie, seminali. Farà in tempo a inciderne soltanto ventinove, tra il 1936 e il 1937, che diventeranno gioielli in mani e ugole altrui: Sweet Home Chicago, Love in Vain, Cross Roads Blues, I Believe I’ll Dust my Broom, troveranno fortuna grazie ai Blues Brothers, ai Rolling Stones, ai Cream e a mille altri.

Anche il giovane Bob Dylan (e dopo incontreremo una sorprendente coincidenza) nel 1962 prende Kindhearted Woman Blues e dal vivo la rimescola, la reinterpreta, la integra con altri versi. 

Ma cos’era successo in quell’anno? Da chi aveva ricevuto quella sorprendente abilità, Robert Johnson?

Collegandosi alla celebre Cross Roads Blues, col protagonista che cade in ginocchio a un crocicchio e prega Dio, come se fosse assediato dalla tenebra che sta per arrivare ora che il sole è al tramonto, la leggenda dice: a quell’incrocio, Robert ha incontrato il Diavolo. E Satana gli ha regalato il blues nelle dita e nella voce, gli ha donato ventinove canzoni in cambio di una vita breve e dell’anima, e pochi anni dopo ha bussato alla porta per veder onorato il patto.

Molto più facile che l’incontro fatale sia stato con un altro bluesman dalla fama sinistra, uno famoso per avere l’abitudine di mettersi a suonare nei cimiteri, tra le tombe: un uomo di nome Ike Zinneman o Zimmerman (l’assonanza con il cognome di nascita di Bob Dylan ci fa preferire questa seconda versione). E che da Ike Robert Johnson abbia imparato i segreti della musica.

E come è morto, in realtà, Robert Johnson?

Greil Marcus scrisse: “Morì nel mistero: qualcuno ricorda che fu pugnalato, altri che fu avvelenato; che morì in ginocchio, sulle sue mani, abbaiando come un cane; che la sua morte aveva qualcosa a che fare con la magia nera.”

La soluzione potrebbe essere molto più terrena, rispetto alla magia nera.

Robert aveva ottenuto un ingaggio in un locale chiamato Three Forks, dalle parti di Greenwood. Sonny Boy Williamson II e David Honeyboy Edwards suonarono con lui il 13 agosto, e quella sera, assicura Sonny Boy, divenne evidente che Robert avesse una storia con la moglie del proprietario. L’alcool aveva fatto dimenticare la prudenza ai due amanti, che avevano iniziato a rendere palese quella relazione. Sonny Boy provò ad avvisarlo, “non si beve da una bottiglia aperta!”, ma Roberto non lo ascoltò.

Non a caso, a un certo punto arrivò a Robert una bottiglia di whisky senza tappo. E dopo aver bevuto da quella bottiglia, il nostro entrò in stato confusionale, mostrando i segni di un avvelenamento. Due giorni dopo, morì.

Quindi è questa la soluzione del caso? Avvelenato da un marito geloso?

E perché ci sono tre pietre tombali col suo nome sopra, intorno a Greenwood?

Dov’è sepolto davvero, Robert Johnson?

«Devo continuare a correre” canta Robert in Hellhound on my Trail, “il blues cade come la grandine. E il giorno continua a tormentarmi… c’è un segugio infernale sulle mie tracce.»

Sono versi come questi che fanno nascere leggende.

E che ti rendono immortale.

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