Rubrica a cura di Gianluca Morozzi
Questa è una storia grande che conoscono tutti, che si intreccia a una storia piccola che conoscono in pochi.
Se non conoscete la storia grande, avete vissuto su qualche pianeta sconosciuto: stiamo parlando della morte di John Lennon. Del giorno in cui un totale sconosciuto di nome Mark Chapman diventa l’uomo più universalmente odiato della storia della musica.
Le due storie, quella grande e quella piccola, ruotano intorno all’8 dicembre del 1980. Lunedì. Il cielo è terso su New York, l’aria è frizzante.
John e Yoko quella mattina escono dal Dakota Building, la loro attuale residenza, e fanno colazione al Café La Fortuna. Poi John va al salone Viz-à-Viz per farsi un nuovo taglio di capelli in stile retrò.
Dopodiché, c’è da accogliere nel loro appartamento la famosissima fotografa Annie Leibovitz per concludere uno shooting fotografico. Il produttore David Geffen ha fatto in modo che John e Yoko ottengano la prossima copertina di Rolling Stone, anche se l’editore sta cercando di realizzare una cover dedicata esclusivamente a John. Annie Leibovitz ricorda: “John venne ad aprirmi indossando una giacca di pelle nera. Aveva i capelli pettinati all’indietro. Rimasi molto colpita perché aveva il suo vecchio look alla Beatles”.
La foto che realizzerà e che diventerà la copertina di Rolling Stone è famosissima: quella in cui John, nudo e in posizione fetale, abbraccia e bacia Yoko, vestita di nero. La fotografa era rimasta molto colpita dalla cover dell’album Double Fantasy dove i due coniugi erano stati ritratti mentre si scambiavano un bacio, e per questo desiderava fotografarli insieme. “Negli anni ’80 sembrava che il romanticismo fosse morto. Ma ricordai quanto fosse semplice e bellissimo quel loro bacio e mi lasciai ispirare. Inoltre, non era difficile immaginare John e Yoko senza vestiti perché stavano sempre così”.
John ne rimane entusiasta: “È proprio così, è esattamente questa la nostra relazione!”
Una volta terminato il servizio fotografico, John scende al piano di sotto dove, nell’ufficio di Yoko, lo attende il team di RKO Radio per un’intervista. A Dave Sholin, John descrive la sua tipica giornata: “Mi alzo all’incirca alle sei, vado in cucina, bevo un caffè, tossisco un po’ e poi mi fumo una sigaretta, mentre guardo il programma Sesame Street con mio figlio Sean. Mi assicuro che guardi la PBS e non i cartoni con la pubblicità. Non mi interessano i cartoni animati, ma non voglio che lui guardi gli spot pubblicitari”.
Dave Sholin rimane affascinato da John e Yoko: “Il contatto visivo tra di loro era incredibile. Non c’era bisogno di parlare. Loro si guardavano entrando intensamente in connessione”. Durante l’intervista, John parla anche del suo quarantesimo compleanno, festeggiato da poco: “Spero di morire prima di Yoko, perché se lei morisse io non saprei come sopravvivere. Non riuscirei ad andare avanti”. A Sholin parla poi della sua musica. “Ho sempre considerato il mio lavoro come un’opera unica, sia con i Beatles, con David Bowie, con Elton John o con Yoko Ono. E penso anche che il mio lavoro non sarà finito fino a quando non sarò morto e sepolto, cosa che spero accada tra molto, molto tempo”. E poi, dopo queste sinistre parole – col senno di poi- dice: “Ci sono stati solo due artisti con i quali ho lavorato per più di una serata. Sto parlando di Paul McCartney e Yoko Ono. Penso sia davvero un’ottima scelta. Come talent scout, penso di aver fatto davvero un ottimo lavoro”.
Lo stesso Dave Sholin nel pomeriggio, verso le 16.30, offre un passaggio a John e a Yoko che devono recarsi al Record Plant per lavorare sul brano di Yoko Walking On Thin Ice. La strada sotto casa è stranamente deserta: “Dove sono i miei fan?”, scherza John.
Davanti al Dakota Building c’è Paul Goresh, un fotografo del New Jersey che deve mostrare alcuni scatti a John. All’uscita della coppia scatta una foto in apparenza insignificante e consuetudinaria, in realtà storica.
C’è John che sta autografando Double Fantasy a un fan con gli occhiali e il cappotto stropicciato. Però quel fan è Mark Chapman.
Goresh era stato appena importunato da Chapman: «Venne da me e mi disse: “Mi faresti una foto?”. Teneva Double Fantasy nel braccio sinistro e sorrideva. “Perché dovrei fare una foto a te?” risposi, “Io sono qui per John». Alla fine Paul scatta la foto. Lennon sta firmando la copertina dell’album e sullo sfondo, leggermente sfocato, c’è Chapman. «Stavo ritraendo John e cercavo di buttar fuori quel tizio dall’inquadratura», continua Goresh, «Era stato così molesto quel giorno, che feci davvero di tutto per eliminarlo dalla foto. Non ci riuscii e fu la mia fortuna».
«Nessuno di noi si era reso conto che Chapman fosse pericoloso», ripeterà spesso negli anni a venire «aveva l’aria del ragazzino che viene preso in giro dai compagni nel cortile della scuola. Avrei potuto mandarlo a terra in un attimo, metterlo ko con un pugno sulla mascella, così non avrebbe fatto alcun danno».
Cosa accade nelle ore seguenti?
John lavora a Walking On Thin Ice, sia suonando l’assolo di chitarra che partecipando alla produzione. Alla fine del lavoro, è entusiasta: “D’ora in avanti faremo solo cose come questa, è grandioso! Questa è la direzione che dobbiamo prendere! È meglio di qualsiasi pezzo di Double Fantasy, pubblichiamolo prima di Natale!”.
Si danno appuntamento con il produttore Jack Douglas al mattino seguente per gli ultimi ritocchi alla canzone, e intanto, a quanto pare, Mark Chapman molesta un altro musicista: è James Taylor, che viene afferrato dalle mani sudaticce del delirante Chapman e si divincola infastidito.
Chapman rimane appostato sotto il Dakota Building per svariate ore, aspettando il rientro della coppia. Parla anche brevemente con Sean, il figlio di cinque anni di John e Yoko, che sta rientrando insieme alla tata.
John e Yoko, esausti, decidono di prendere qualcosa da mangiare sulla via del ritorno; poiché è tardi, però, alla fine decidono di tornare subito a casa per augurare la buonanotte a Sean e di cenare dopo.
Salgono nella limousine che li riporta a casa, nella Settantaduesima Strada.
Alle 22 e 50 Yoko scende per prima e si avvia verso il portone, John la segue portando con sé delle cassette, tra le quali anche l’ultima registrazione di Walking On Thin Ice. Intravede Mark Chapman, sembra riconoscere quel fan incontrato cinque ore prima. Tira dritto per entrare al Dakota Building.
Pochi passi interrotti da una voce: “Ehi, mister Lennon!”.
I due si girano.
Chapman ha una pistola calibro 38, e si è messo in posizione di tiro.
Spara cinque colpi.
Due colpiscono Lennon alla schiena, altri due gli perforano una spalla. Uno gli trapassa l’aorta.
John riesce solo a dire “mi hanno sparato, mi hanno sparato”, mentre sale i gradini che portano alla guardiola di sicurezza. Poi si accascia.
Il concierge del Dakota Building gli apre il giubbotto di pelle, copre il petto di John con la giacca della sua divisa, gli toglie gli occhiali insanguinati e chiama la polizia. Chapman non scappa, ma rimane ad assistere alla scena. Si toglie il cappotto mostrando una maglietta di Todd Rundgren, un’altra delle sue ossessioni. Aspetta la polizia seduto sul marciapiede leggendo Il giovane Holden. Quando lo arrestano, non oppone resistenza.
John viene portato da una pattuglia al Roosevelt Hospital, dove lo dichiarano morto alle 23.15. La radio dell’ospedale, in quel momento, sta mandando All my loving dei Beatles.le
Alan Weiss è un giornalista che si trova causalmente nello stesso ospedale, è lì per un piccolo incidente in moto. Vede arrivare la barella con sopra John, ed è lui a dare la notizia della sua morte dal telefono pubblico dell’ospedale. Grazie alla sua conferma, Howard Cosell la annuncia in diretta, a trenta secondi dalla fine della partita di football Dolphins-Patriots. “C’è una cosa da dire. Ricordate, questa è solo una partita di football, non importa chi vince o chi perde. È successa una tragedia incredibile, confermataci dalla ABC News di New York: John Lennon, forse il più famoso di tutti i Beatles, è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco fuori dal condominio dove abitava, nel West Side di New York. Portato immediatamente al Roosevelt Hospital, è stato dichiarato morto. È difficile tornare al gioco dopo una notizia del genere, che per spirito di servizio abbiamo dovuto dare”.
A cosa stava pensando John Lennon, in quei pochi secondi intercorsi tra la sua discesa dalla limousine e il richiamo di Mark Chapman? A come terminare il lavoro sulla canzone? A nuove melodie? A cosa ordinare per cena?
E cosa sarebbe successo se Chapman avesse sbagliato mira e avesse ucciso Yoko? O se le confuse ossessioni che infiammavano la sua mente avessero prodotto un folle pensiero diverso, ovvero: colpire John uccidendo l’amore della sua vita? Quale album avrebbe prodotto un Lennon vedovo e distrutto dal dolore, quale carriera avrebbe avuto, invecchiando come Paul McCartney, come Bob Dylan, come Keith Richards? Avrebbe mai riunito i Beatles?
Sono le domande che ci si fanno quando un artista muore nel momento in cui ha ancora tanto da dire e da dare, quando ci lascia Kurt Cobain, o Jeff Buckley, o Buddy Holly.
Ma parlavo di una storia grande che si intreccia a una storia piccola. Ricordate?
La storia piccola forse lo è per il pubblico mainstream, non certo per l’ambiente del punk americano e per i fan dei Germs, il cui frontman si fa chiamare Darby Crash. Con un solo album del 1979 diventano una piccola leggenda, anche per la fama inaffidabile e distruttiva che li circonda: Darby vomita sul pubblico, si ferisce sul palco, aggredisce i fan. Nei Germs suona la chitarra Pat Smear, che diventerà un pezzo importante della breve ma gigantesca storia dei Nirvana, e che ancora oggi calca i palchi con i Foo Fighters. Dietro la batteria fa una fugace apparizione Dottie Danger, alias Belinda Carlisle, che poi farà una carriera decisamente diversa.
Darby Crash fa di tutto per autoboicottarsi: scioglie la band, ne fonda una nuova, che si sfascia in breve tempo. Tutto è velocissimo, nel punk di allora.
Darby allora sviluppa un piano segreto e clamoroso: il 3 dicembre 1980, allo Starwood di West Hollywood, va in scena la reunion dei Germs. Con i soldi dell’incasso di quel concerto, Darby compra abbastanza eroina per uccidersi. Il suo piano è altruista e grandioso: si parlerà della sua morte così tanto che i Germs diventeranno finalmente famosi come meritavano, diventeranno leggenda grazie al suo sacrificio. Ma la dose fatale se la inietta, ahimè, la notte del 7 dicembre 1980.
L’8 dicembre, quando a Los Angeles sono le 20, la notizia della morte di Darby inizia a diffondersi nell’ambiente. Ma in quel momento, a New York, Mark Chapman spara i cinque colpi che cambiano la storia della musica.
L’overdose che uccide una figura gigantesca del punk americano diventa un trafiletto di cronaca. E Darby Crash è, a questo punto, l’altra vittima della mente malata di Mark Chapman.
L’uomo più odiato del mondo della musica.