…allora la situazione è davvero complicata, verrebbe da pensare. Già, perché il ranger creato da Giovanni Luigi Bonelli e realizzato graficamente dal grande disegnatore Aurelio Galleppini (in arte Galep) non è tagliato per le indagini che seguano i canoni delle polizie più evolute della sua epoca, ma applica un metodo molto più concreto e spiccio: pugni, Colt 45 fumanti, poche parole ma abbastanza incisive da spingere anche il più incallito furfante a collaborare, spiattellando senza tergiversare tutto quello che sa. Questo dipende anche dal fatto che il nostro eroe ha quasi sempre a che fare con loschi contrabbandieri, assassini di mezza tacca al soldo di padroni apparentemente rispettabili e in realtà assai più corrotti, che usano il denaro per prezzolare chi si sporcherà le mani al loro posto. Quasi sempre, abbiamo detto, perché l’universo narrativo creato dalla fantasia di Bonelli, padre di Sergio, a sua volta abile sceneggiatore nonché già titolare della casa editrice che porta il loro cognome, è talmente vasto che vi trovano posto personaggi e situazioni decisamente trasversali rispetto alla tradizione più convenzionale del western. Chissà se si deve proprio alla fama di lettore e spettatore onnivoro di opere di qualsiasi genere, purché contaminate dal virus benefico dell’avventura, l’incentivo che rese Giovanni Luigi Bonelli artefice di una numerosa serie di saghe che rappresentano un filone non certo secondario nella storia di Tex Willer, un fumetto tuttora amatissimo dal pubblico italiano, a oltre settant’anni dalla sua nascita. Un fenomeno di costume che si tramanda da una generazione all’altra e anche in periodi di feroce contestazione ha rappresentato uno dei pochi elementi in grado di accomunare padri e figli, giovani e meno giovani, intellettuali e semplici lavoratori, senza distinzioni sociali, in virtù di un messaggio elementare senza essere banale: quello della giustizia che non tiene conto né dei pregiudizi né del colore della pelle ma viene fatta rispettare a ogni costo, anche infrangendo delle leggi senza per questo sollevare polveroni nell’opinione pubblica più garantista.
Ma non divaghiamo, altrimenti rischieremmo di costringere Tex a usare le maniere forti per farci arrivare al dunque. Dicevamo che Bonelli senior ha sempre curato l’inserimento (a dosi rigidamente calibrate) di avventure a sfondo decisamente atipico, rispetto al western tradizionale: dalla fantascienza (da un misterioso alieno che demolisce le rocce usando una pistola simile a un potentissimo laser e s’invola, nel senso letterale del termine, prima che il ranger riesca a mettergli le mani addosso, fino a uno scienziato vilipeso per le sue stravaganti teorie che finisce per scovare davvero, sepolto in una terra remota e ghiacciata, niente meno che un astronave che in un’era non precisata scaricò sulla Terra lucertoloni antropomorfi) all’horror (con la saga ininterrotta di Mefisto, illusionista dapprima e maestro della magia nera in seguito, indistruttibile e popolarissimo antagonista del nostro ranger, che costringe i successori di Bonelli a capriole e contorsioni narrative per farlo semi-risuscitare e tornare a insidiare Tex e i suoi pards), fino alle ghost stories (famosissima quella della Dama di picche, la sfortunata madame de Thebe, indovina di mezza età che vagabonda per le praterie su un carro scalcinato. La donna, che gira per i villaggi del West maneggiando i tarocchi con la stessa abilità e disinvoltura con cui i pistoleros fanno cantare le loro Colt, si materializza attorno a un bivacco in una fredda nottata e racconta a Tex e allo stordito Kit Carson come sia stata rapinata e uccisa da due manigoldi) o alle incursioni nel passato più o meno remoto (come la discesa nelle Terre dell’Abisso, dove dimora una tribù di semi trogloditi inclini ai sacrifici umani e acque e terre sono popolate di animali che sembrano usciti pari pari da un libro sulla preistoria, o l’incontro ravvicinato con una comunità di vichinghi che vivono in un’isola sulle coste più remote del Canada settentrionale, ignari dei cambiamenti che si sono succeduti nei secoli).
Per finire con il giallo. Già, proprio quello come lo intendiamo noi, con un delitto, o anche più, un’indagine, tanti (o pochi) sospettati e la conclusione all’insegna del più classico whodunit, quando viene smascherato proprio il più insospettabile. Non va dimenticato che lo stesso Bonelli è stato l’ideatore e il creatore della miniserie poliziesca Rip Master, pubblicata nel 1968, e il cui primo episodio venne realizzato graficamente da Guglielmo Letteri, per il quale il termine disegnatore suona un po’ riduttivo essendo egli, al pari degli altri suoi colleghi coinvolti nell’epopea di Tex, un vero artista, capace di rendere al meglio le atmosfere, le psicologie e i dettagli escogitati da quell’autentico genio del fumetto che è stato Bonelli senior.

Giallo classico nella struttura e nelle caratteristiche dei personaggi è quello dal titolo La tragedia della Shangai Lady, che si snoda nei numeri 309 e 310, pubblicati nei mesi di luglio e agosto 1986. Notevole il montaggio delle tavole che seguono una sceneggiatura decisamente cinematografica e dimostra una solidacompetenza nello strutturare una storia di mistero con risvolti thrilling. La vicenda prende l’avvio di notte, con una situazione quasi horror: una nave alla deriva nella baia di San Francisco viene raggiunta da una coppia di pescatori. Li attende uno spettacolo irreale e orribile: la barca è deserta a eccezione di un cadavere abbracciato al timone. Il corpo è quello di un uomo dai lineamenti mostruosamente gonfi, come se avesse subito una violenta infezione ghiandolare. Fermo immagine e subito dopo intermezzo quasi comico con Tex e Kit Carson alle prese con le raffinate atmosfere di un rilassante bagno turco, dove pure riusciranno a menare le mani, sia pure per un banale equivoco. Altro stacco, con panoramica di un ricevimento sontuoso organizzato nella casa di un magnate di San Francisco. Qualcuno ha inviato una lettera minatoria, profetizzando una morte dolorosa e inesorabile per due ospiti. Le vittime alla fine saranno tre, ma basteranno per dimostrare che dietro ai delitti non c’è un millantatore ma un assassino astuto e in possesso di un arma dal potere sconosciuto. No, niente colt o cannoni, qui si muore per un misterioso morbo.
Domanda: come unire i tre piani narrativi descritti fin qui. Risposta: attraverso la figura di Tex Willer, coinvolto dall’amico capo della polizia Tom Devlin nella complessa ricerca dell’uomo che si fa chiamare il Maestro, megalomane e inafferrabile quanto basta, nascosto dietro l’identità insospettabile di chi può mettere in atto a suo piacimento una terribile minaccia. Di conseguenza, un ricattatore che cerca di estorcere alla comunità una cifra astronomica per non mettere in atto un vero e proprio genocidio. Anche stavolta la vicenda si sviluppa attraverso una serie di colpi di scena, ambientati in location particolarmente adatte, quasi da romanzo d’appendice d’antan, come i sotterranei e le fogne cittadine che vengono percorse dai misteriosi sicari del Maestro con disarmante naturalezza, o gli scorci notturni di Chinatown, per finire sulle colline attorno alla città, dove si trova la vasca di raccolta delle acque che alimentano le utenze urbane. Scampati più volte agli attentati degli avversari, dopo aver rischiato di annegare nelle acque turbinose della baia di Frisco o di finire infilzati come puntaspilli da pugnali intrisi di veleno, i due pards riusciranno a evitare che il contagio si diffonda in città e metteranno in condizione di non nuocere il Maestro, a sua volta colpito dallo stesso morbo che voleva usare come arma per ricattare la città. Una sorta di contrappasso beffardo di chiaro sapore dantesco.

Nella storia La locanda dei fantasmi, pubblicata nei numeri 301 e 302 della serie mensile, del novembre-dicembre 1985, si sente chiarissima l’influenza del cinema di genere del decennio precedente, non privo di influenze argentiane, evocate da immagini degne in tutto e per tutte delle prime pellicole del regista romano. Ambientata in unità di tempo e di luogo, la vicenda si svolge in un paio di giorni di fine ottobre in una remota località del New Mexico. Costretti dal maltempo e dalla notte a pernottare in una locanda assieme ai passeggeri di una diligenza in panne, Tex e Carson sono costretti loro malgrado a indagare per scoprire chi abbia accoltellato nel sonno un cliente che l’alcol ha reso un po’ troppo intraprendente nei confronti della bella figliola del padrone. E qui ci si comincia a calare in fretta nelle atmosfere thrilling degne di un film d’autore: passaggi segreti che conducono a cantine polverose che sembrano ma non sono abbandonate da tempo; il fantasma del precedente proprietario della locanda che molti dicono aver visto comparire con il favore delle tenebre; un trauma infantile che aggredisce l’incolpevole testimone oculare di un brutale assassinio perpetrato da un uomo alticcio durante una notte di tempesta; l’impulso omicida che tanti anni dopo spinge prepotente qualcuno a uccidere, quando le circostanze ricreano perversamente le condizioni in cui maturò il trauma. E poi indizi da interpretare alla luce di una logica investigativa degna di un detective di Scotland Yard: un orologio sottratto a un cadavere, una raccolta di articoli di giornale su alcuni delitti rimasti insoluti compiuti a Boston anni prima, veleno aggiunto come ingrediente fondamentale a bistecche destinate al tavolo dei due pards, coltelli e doppiette. L’insospettabile assassino ha una luce di follia negli occhi perché, lo abbiamo capito, è chi subì tanti anni prima quel trauma ingiusto che ne ha segnato l’esistenza e la lucidità mentale. Non finirà né dietro le sbarre di un carcere né fra le bianche pareti di un manicomio perché qualcuno arriverà prima dei due rangers a interrompere per sempre la scia di sanguinosi omicidi.
Una struttura che per certi versi anticipa e prepara la bellissima storia Orrore!, pubblicata negli albi 410 e 411, pubblicati originariamente a dicembre 1994 e gennaio dell’anno seguente. Anche questa, come le precedenti, disegnata dal grande Guglielmo Letteri, forse il più amato, dopo il mito Galleppini, fra coloro che hanno realizzato graficamente il ranger di Bonelli. Al quale invece subentra come soggettista e sceneggiatore un solido autore come Michele Medda, a suo agio nel western “contaminato” come nella fantascienza. Il montaggio delle tavole ha un’importanza analoga a quella delle sequenze cinematografiche. Una ragazza che le pulsioni romantiche dell’età hanno reso piuttosto disinibita (questo perlomeno s’intuisce) si allontana di soppiatto dal ranch dei genitori per recarsi all’appuntamento con un coetaneo, ma trova una mano guantata che brandisce un pugnale. La mano di qualcuno che lei conosce bene, che non teme e a cui si rivolge amichevolmente, accorgendosi troppo tardi di aver riposto male la propria fiducia.
Dopo questo prologo entriamo nel vivo della storia. Un mese dopo Tex giunge nel villaggio di Glenwood, in Colorado, dove conclude una lunga caccia incastrando il superstite di una banda di razziatori di bestiame. Caso vuole che i maggiorenti del luogo gli offrano la stella di sceriffo, vacante dopo che l’ultimo uomo di legge è rimasto ucciso in un agguato, per affrontare un’emergenza a dir poco impossibile: difendere Glenwood dall’inevitabile attacco di un boss locale, infuriato per l’arresto di uno dei suoi uomini, assassino in flagranza di reato di un pacifico indiano. Dapprima riluttante, il ranger finisce per accettare, quando le “ragazze” della casa di tolleranza cittadina chiedono il suo aiuto per scoprire chi sia il misterioso maniaco pluriomicida che le sta decimando.
Un serial killer che massacra prostitute: un nemico sfuggente e insidioso, un avversario inconsueto per Tex Willer, che nei ritagli di tempo deve affrontare con pizza e fichi, cioè con i volontari che gli passa il convento (un vecchio semi alcolizzato, una ragazza decisamente mascolina e un giornalista d’assalto calato fin lì alla ricerca dello scoop), la feccia scatenata all’assalto del paese per liberare il compagno detenuto in attesa di processo. Ovviamente il buon Willer, dopo aver decimato gli avversari, li costringe alla resa e quindi può tornare sulle tracce dello psicopatico omicida. Che fra le sue vittime conta anche la ragazza del prologo, che non è una prostituta ma esageratamente sbarazzina, in senso lato, e il precedente sceriffo, che evidentemente si stava avvicinando troppo alla verità. Aiutato da sorprendenti alleate, le inquiline della casa di tolleranza (con un meccanismo che ricorda il film del 1987 Caramelle da uno sconosciuto di Franco Ferrini), in mezzo alle quali non nasconde un certo disagio da incorruttibile e un po’ misogino eroe del west, Tex sembra girare a vuoto, finché trova l’indizio giusto. Ancora articoli di giornale su un misterioso e impunito assassino seriale, sfuggito alle indagini della polizia di Edimburgo, che pare essersi trasferito dalla Scozia fino a questo sperduto angolo di Colorado, foglietti scritti con calligrafie diverse, testimonianze reticenti o confuse e contraddittorie da interpretare nel verso giusto. Su tutta la storia dominano due figure femminili, a loro modo opposte e complementari: Sally, frontier women orgogliosa, bella d’aspetto ma rude di modi come un cow-boy, una specie di femminista ante litteram che combatte la mercificazione del corpo femminile sotto qualsiasi forma, e Rita, prostituta ancora piacente, dai lineamenti irregolari ma molto intensi, con quel naso aquilino e gli occhi scuri, profondi e pieni di asciutta consapevolezza del proprio destino. Una donna davanti alla quale non resterà insensibile nemmeno Tex, sia pure a modo suo.
Una soluzione con doppio colpo di scena finale, come in un thrilling di Dario Argento, dove l’assassino sfugge per sempre al castigo della legge per rispondere delle proprie azioni pagandole a prezzo della vita. Ma è una conclusione che lascia l’amaro in bocca e si conclude, ancora una volta con un’immagine quasi cinematografica, un’ultima tavola con vignette mute e didascalie che accompagnano Tex mentre si allontana a cavallo seguito dagli sguardi della popolazione del villaggio che ha ap