Peter Pan

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Regia di P.J. Hogan

 

Film del 2003 con Jeremy Sumpter, Rachel Hurd-Wood, Jason Isaacs

 

Genere Fantastico/Avventura

 

È il dicembre del 2001. In tutto il mondo arrivano Harry Potter e la pietra filosofale e Il signore degli anelli – La compagnia dell’anello. Grazie a questi due kolossal, in cui viene impiegata una mole straordinaria di mezzi e risorse, viene codificata una nuova era di cinema fantastico. Il signore degli anelli porta la credibilità di azione e scrittura dei personaggi ai confini del realismo, raggiungendo un senso di epica senza precedenti; Harry Potter sfrutta completamente il suo mondo per raccontare le dinamiche plausibili di un gruppo di preadolescenti alle prese con la crescita e la scoperta del mondo (chiave di lettura che più avanti confluirà nel fenomeno young adult di cui Twilight sarà portabandiera). Questo imponente risultato sarà così stravolgente grazie all’amalgama sempre più perfetto di effetti speciali, scenografie e trucchi dal vero con le possibilità di effetti visivi, fondali digitali e vere e proprie creature interamente animate, non più cartoni o pupazzi, ma personaggi che esistono e interagiscono con la stessa resa degli attori presenti in scena.

Due anni dopo è il 2003: Il ritorno del re chiude le trilogia dell’Anello nell’acclamazione universale, mentre procede la post-produzione del terzo capitolo di Harry Potter, neanche a metà della sua avventura decennale. Le major di Hollywood capiscono tre cose: il fantasy è un affare della serie A, i giovinastri adorano il fantasy e col fantasy si fanno bei soldoni.

Parte la corsa ad accaparrarsi il prossimo franchise di successo, anni in cui si susseguono tentativi riusciti (Le cronache di Narnia), fallimentari (Eragon) e controversi (La bussola d’oro). Con la sola eccezione di Pirati dei Caraibi (eccezione reale anche perché non ha alle spalle una saga letteraria) nessuno riesce a dare vita a una serie di film redditizia che mantenga anche un alto valore narrativo e artistico. Ma torniamo al 2003.

In questo contesto, vent’anni fa, P.J. Hogan firma la sua versione di Peter Pan. Cinquant’anni dopo quella Disney, dodici anni dopo Hook. Ne seguiranno molte altre, ma questa, forse proprio arrivando in un periodo di scommesse ed esperimenti, ha un fascino unico e una verve sorprendente.

È innanzitutto un adattamento estremamente fedele, che offre nelle poche libertà la vera chiave di volta: rivolgersi a un pubblico di ragazzini, preadolescenti, che si affacciano sulla pubertà e hanno a che fare con i primi sentimenti complessi. Peter è meno demoniaco, meno folletto, e più dichiaratamente un arrogante, strafottente, cocciuto, edonista pischello che gode nell’avere un intero universo che ruota intorno a lui. Wendy, da sempre il cuore del racconto e vera protagonista, è invece pronta ad assumersi responsabilità, ma senza rinunciare alla fanciullezza e al gioco, che vive non come un voto ma come una scelta quotidiana. Il lungo prologo a Londra è in tal senso perfettamente scritto, laddove viene circondata da adulti che le mettono pressione perché “sta diventando una donna” e non vedono l’ora di spiegarle cosa questo significhi. Wendy sta maturando nella sua dimensione e col suo tempo, ed è naturalmente portata a pensare che tutto questo possa convivere con la fantasia, fantasia che non le impedisce di tenere i piedi ancorati alla realtà. Come in ogni versione questo è l’apice dello scontro con Peter, così spavaldo quando deve menare fendenti o convincere gli altri a fare quello che vuole, terrorizzato quando si confronta con quello che ha dentro. Quella porta è sigillata e non si deve aprire.

Questo conflitto si completa grazie al carisma di Capitan Uncino, un personaggio agli antipodi di Peter Pan, ma che gioca secondo le stesse regole nello stesso mondo. Non è sfacciato, non si diverte, non ha interesse nell’essere idolatrato: è rassegnato alla sua esistenza, patetico senza diventare mai macchietta (al contrario di Dustin Hoffman in Hook), ma anche subdolo e machiavellico. Affascinante e cavalleresco, sanguinario e letale. È una minaccia reale, che però attira con la sua eleganza e i modi cortesi e seducenti.

Il cast è felicemente azzeccato. Jason Isaacs è un pirata perfetto che, come da tradizione, si trasforma in un ometto agitato per interpretare il signor Darling. Rachel Hurd-Wood, qui all’esordio, è Wendy in tutto, racconta divinamente le sfumature di un personaggio complesso e dolcissimo. Jeremy Sumpter è probabilmente nato per essere Peter Pan, ha una faccia che riempiresti di schiaffi e veicola con efficacia l’euforia e il terrore infantili. Bisogna a tutti i costi menzionare anche Ludivine Saigner che è una Campanellino adorabile e buffissima.

P.J. Hogan, australiano, regista di commedie sentimentali (Il matrimonio del mio migliore amico e successivamente I Love Shopping), anima questo film grazie all’abile gestione di queste due componenti. Il romanticismo permea l’intreccio con naturalezza e spontaneità, e Hurd-Wood e Sumpter riescono a controllare una genuina e innocente tensione sessuale. L’umorismo è delizioso, non caricaturale, sapientemente integrato e messo in scena con gusto. Ciò che invece stupisce è lo spettacolo, il senso di avventura e di epica. È chiaro che Peter Pan debba essere un’avventura, e questa è una grande avventura. Il momento in cui i Darling volano per la prima volta è il preludio perfetto: grazie alla polvere di fata ci libriamo nella camera, fuori dalla finestra, sfrecciamo tra i tetti di Londra, sempre più in alto. I bambini hanno gli occhi spalancati, ridono e urlano di gioia, mentre la colonna sonora accompagna questo momento magico e non fa che aumentare l’eccitazione per quello che stiamo per vedere. Quando finalmente arriviamo all’Isola che non c’è appare evidente che non siamo più sulla Terra. Ogni angolo ha un’atmosfera unica e ti fa sognare di visitarlo.

Non era facile raccontare un luogo del genere, vista la complessità degli effetti e soprattutto la quantità, eppure il tutto è straordinario da vedere ancora oggi. C’è un utilizzo del digitale molto più grafico che fotorealistico, volto a rendere ambienti e colori caldi e avvolgenti, aiutati da una fotografia che fa un uso estremamente pittorico della luce. Oggi non sarebbe così, oggi avremmo una serie di effetti sofisticatissimi, come nell’ultimissima versione da poco confezionata dalla Disney. Eppure proprio in quel momento di cambiamento del cinema e dei suoi mezzi, in cui non si usava ancora il computer per tutto (erano passati dieci anni da Jurassic Park), l’esigenza di far convivere effetto speciale e visivo ha stimolato il team di Peter Pan a studiare delle soluzioni creative e sognanti, che esulano dal resto della produzione fantasy del periodo. La mia preferita è un personaggio la cui faccia viene colorata digitalmente di rosso per rendere l’imbarazzo. Un’idea molto semplice ma totalmente inaspettata.

Peter Pan è pieno di idee, pieno di colori, pieno di leggerezza. Ma è anche un film serio, che sa quando essere cupo e quando fare paura. Ogni duello tra Peter e Uncino è all’ultimo sangue, il pubblico sa che sta assistendo allo scontro immortale di due figure mitiche. Eppure il dramma non soffoca mai la risata, e viceversa, così come l’avventura e il mélo convivono allegramente. È un film caldo, fatto di suggestioni ed emozioni che cercano un dialogo intimo con lo spettatore. Il Peter Pan perfetto per i ragazzi che ha tanto da raccontare, o ricordare, anche agli adulti. Chi avrà per un momento il desiderio di tornare bambino potrà immergersi in un mondo ancora in grado di meravigliare.

Anche se, a parere di chi scrive, la rilettura cinematografica più sbalorditiva del bambino che non voleva crescere non è neanche questa. Quella arriverà nel 2020 e magari avremo modo di parlarne in futuro.

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