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I maestri del giallo

MARGARET MILLAR
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Nata a Kitchener, nell’Ontario canadese, il 5 febbraio 1915, e morta a Santa Barbara, in California, il 26 marzo 1994, Margaret Ellis Sturm frequentò la facoltà di Lettere dell’università di Toronto, ma interruppe gli studi nel 1938, appena prima di laurearsi, per  trasferirsi negli Stati Uniti e sposare lo scrittore coetaneo Kenneth Millar (1915-1983), dal quale prese il cognome con cui firmò in seguito i suoi romanzi (e per lo stesso motivo il marito collega optò a sua volta per uno pseudonimo totale, quel Ross Macdonald con cui si affermò nella narrativa poliziesca). Dal loro matrimonio nacque un’unica figlia, Linda,  che premorì ai genitori, a trentun anni, nel 1970.

Nel 1941, costretta a letto per una grave malattia cardiaca, la Millar si scoprì appassionata lettrice di gialli e decise di cominciare a scriverne di propri; così, contravvenendo (pare) agli ordini del medico curante, scrisse la sua prima detective novel, The Invisible Worm, pubblicata nello stesso anno e subito seguita da altri due romanzi, The Weak-Eyed Bat (1942) e The Devil Loves Me (1942), tutti inediti in Italia e con protagonista uno psichiatra alto e stravagante, Paul Prye, che la scrittrice poi abbandonerà.

Nei due gialli successivi, infatti, spicca come protagonista l’ispettore Sands del dipartimento di polizia di Toronto, un tipo solitario, umanissimo e dall’aspetto piuttosto trasandato. Il primo, Wall of Eyes, del 1943, fu tradotto da noi come Occhi nel buio (Mondadori, 1956; poi nei Classici del Giallo [CGM] n. 315, 1979), un titolo tutt’altro che raro nel mondo del Giallo, tanto da aver caratterizzato sia un romanzo di Ruth Rendell (1986), sia uno anche del sottoscritto (Milano, Hobby&Work, 2006). Il secondo invece, The Iron Gates (1945), noto anche come Taste of Fears, ebbe da noi titoli plurimi: da L’orecchio alla tomba (nella collana “Il Giallo del Mandarino”, Il Mandarino, 1963) a Un dito ha un’ombra lunga e nera – nella collana “Gialli Feltrinelli K 350” (attiva nel biennio 1966-67 con dieci titoli) n. 9, 1967, fino a Sapore di paura, Il Giallo Mondadori [GM] n. 1967,  1986, e CGM n. 1007, 2004.

Dopo il successo di quest’ultimo libro, la Millar si trasferì in una località vicino a Santa Barbara, dove il marito divenne sceneggiatore cinematografico ed entrambi si impegnarono in diverse iniziative pubbliche in difesa della natura. Tra il 1947 e il ’50, inoltre, la scrittrice pubblicò tre romanzi non polizieschi – Experiment in Springtime (1947), It’s All in the Family (1948) e The Cannibal Heart (1949) – che però la critica considerò di gran lunga inferiori alla precedente produzione. Anche per questo, forse, la Millar ritornò presto alla narrativa gialla, privilegiando, dagli anni Cinquanta alla morte, la California come felice location di quasi tutti i suoi romanzi, che riportiamo in ordine cronologico, nelle varie edizioni italiane che ci piace segnalare al gusto rabdomantico dei lettori.

Do Evil in Return, 1950 (Inganno per quattro, GM n. 151, 1951; I Capolavori dei Gialli Mondadori n. 296, 1966; CGM n. 894, 2001);

Rose’s Last Summer, 1952 (L’ultima estate di Rosa French, collana “Il Calabrone” n. 2, Cino Del Duca editore, 1955);

Vanishing in an Instant, 1952 (La morte viene da lontano, “I Gialli del Secolo” n. 71, Casini editore, 1953; Il segreto di Virginia, GM n. 2226, 1991);

Beast in View, 1955 (La porta stretta, collana “Libri che scottano” n. 43, Longanesi 1958; CGM n. 208, 1975; CGM n. 797, 1997; Quando chiama una sconosciuta, collana “I Bassotti”,Polillo editore, 2012);

An Air That Kills, 1957, noto anche come The Soft Talkers (Un’aria che uccide, I Romanzi del Corriere n. 58, 1959; Chi perde un amico…, GM n. 2135, 1989; CGM n. 1162, 2007);

The Listening Walls, 1959 (I muri ascoltano, I Romanzi del Corriere n. 68, 1960; La scatola d’argento, GM n. 2272, 1992);

A Stranger in My Grave, 1960 (Uno sconosciuto nella mia tomba, collana“Mystbooks” Mondadori 1990; GM n. 2214, 1991; CGM n. 1207, 2008);

How Like an Angel, 1962 (Una torre per il profeta, GM n. 772, 1963; CGM n. 656, 1992);

The Fiend, 1964 (Jessie è scomparsa, GM n. 2318, 1993);

Beyond This Point Are Monsters, 1970 (Mistero senza fine, GM n. 2116, 1989; in In trappola, “Gli Speciali del Giallo Mondadori” n. 23, 2000);

Banshee, 1983 (L’urlo, GM n. 2441, 1995);

Spider Webbs, 1986 (Ragnatele, GM n. 2007, 1987; CGM n. 1081, 2005).

Nella sua lunga e fortunata carriera la Millar ha ricevuto riconoscimenti prestigiosi. Con Beast in View s’è aggiudicata l’Edgar Award per il miglior giallo dell’anno (1955), e nel 1965 è stata definita dal “Los Angeles Times” la Donna dell’Anno. E’ di questo periodo anche l’unica opera non narrativa, The Birds and the Beasts Were There (1968), risultato di osservazioni sugli animali dei canyons. Nel 1983, infine, ha ricevuto il Grand Master Award, assegnato dalla Mystery Writers of America.

L’ambientazione californiana, s’è detto, dei suoi gialli estende alla Millar una valenza anche etnografica, oltre che letteraria: in A Stranger in My Grave (1960), per esempio, compare il suo primo detective privato, Steve Pinata, che segue la tradizione dei tipici investigatori californiani iniziati da Raymond Chandler; in How Like an Angel (1962) un altro detective privato, Quinn, indaga in California tra i membri di una setta religiosa per trovare un marito scomparso; Beyond This Point Are Monsters (1970) non manca di numerose osservazioni psicologiche e di costume sulla vita dei messicani della regione di San Diego.

Fin dai tempi di Occhi nel buio (1943) – già un piccolo gioiello di mystery, condotto con un’eleganza stilistica e una profondità d’introspezione al sopra della media – la Millar si dimostra giallista matura: “la sua scrittura è lucidissima e il bagaglio retorico è impiegato con intelligenza. A differenza di altri esponenti del giallo psicologico e d’ambiente, come Patrick Quentin, Vera Caspary, Stanley Ellin, la Millar esamina la vicenda dai punti di vista di più d’un personaggio, e a guadagnarne sono naturalmente l’omogeneità della narrazione e il clima di tensione e di inquietudine. Notevole è la cura negli intrecci e penetrante la caratterizzazione psicologica dei personaggi (bellissime alcune figure femminili), il tutto reso con un sapiente dosaggio e un controllo dell’enfasi che danno ai suoi romanzi un colore realistico e veritiero molto originale.” Così il competente duo Fossati-Di Vanni (in Guida al “giallo”, Milano 1980), in accordo con l’autorevole Julian Symons di Bloody Murder (London, Faber&Faber 1972), secondo cui la Millar riesce sempre a creare un’”atmosfera di disagio” di notevole intensità drammatica.

Maestra del thriller psicologico, insomma, la Millar ci appare all’origine di una linea narrativa tutta femminile che ci sembra pervenire, ai giorni nostri, alle due French – Nicci e Tana -, a Julie Parsons, a Carlene Thompson e ad altre firme contemporanee. E un cenno, d’altronde, ai due gialli più noti non può che confermare tale caratura. In Occhi nel buio, per esempio, una giovane e bella ereditiera è vittima di un misterioso incidente d’auto, da cui esce tragicamente cieca. Ma benché spenti, i suoi occhi frugano inesorabilmente le coscienze, sconvolgendo il piccolo mondo famigliare che l’assedia sempre più da vicino, finché un coltello non viene a troncare la sua oscura vita ossessionata da drammatici dubbi. Ne La porta stretta, invece (titolo che rammenta André Gide), un’altra donna molto ricca, ma turbata da un’inspiegabile inquietudine, abbandona la famiglia nascondendosi in un albergo di Hollywood. Un giorno, però, viene raggiunta da una telefonata minacciosa di una donna che dichiara di conoscerla bene. E il lettore, coinvolto emotivamente nella medesima angoscia, non può non domandarsi da quale strana, sconvolgente storia di follia e di morte stia fuggendo la protagonista…

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