Rubrica a cura di Roberto Gassi.
Biglietto da visita

Daniela Mastropasqua, classe 1985, maturità classica, laurea in lingue, specializzazione in traduzione letteraria, una serie infinita di corsi per l’editoria. Comincio a lavorare dai tempi dell’università, i lavori più disparati, dalla receptionist all’addetta alle vendite, dalla cameriera al call center con una passione costante: quella per i libri. Bookblogger, cannibalibri, inizialmente comincio a lavorare alle traduzioni nei ritagli di tempo fino a che quello della traduzione diventa il mio lavoro primario. Nel 2020 fondo la Vintage Editore perché, diventata mamma, voglio dare a mia figlia l‘esempio di una mamma felice, che ha creduto in un sogno e ha provato a realizzarlo. Scopriremo tra qualche anno se ci sarò riuscita.
Daniela,
grazie di avere accettato il nostro invito e di averci concesso l’intervista che segue. L’intento di questa rubrica è scoraggiare chi ha un romanzo nel cassetto a tirarlo fuori per pubblicarlo, anzi, non solo consigliamo di tenerlo lì dov’è ma di chiudere a chiave il cassetto. Perché? Perché prima di pubblicare un proprio testo è importante conoscere cosa c’è dietro, i rischi nei quali si può incorrere, ma soprattutto perché quasi mai la scrittura viene associata alla parola lavoro. Ebbene sì, scrivere è un lavoro come tanti che comporta impegno, disciplina, sudore, concentrazione, passione e che coinvolge diverse figure professionali: case editrici, agenti letterari, editor, grafici, uffici stampa, blogger. Per questo ottavo articolo abbiamo deciso di informare i possibili scrittori-avventori della bottega editoria sul lavoro degli editori.
Riporto dal sito della CE: «La Vintage Editore è una casa editrice barese nata nel 2020 dal sogno di una mente che non ha paura di costruire castelli in aria, fatti di carta e non di carte». Perché hai deciso di aprire una casa editrice? Qual è la tua visione?
Ho fondato la Vintage per due motivi: il primo è un motivo del tutto personale e riguarda il fatto che quando mia figlia sarà cresciuta vorrei che vedesse in me l’esempio di una persona che ha inseguito i propri sogni e le proprie passioni, facendone il proprio lavoro. Il secondo motivo, invece, riguarda la decadenza del libro oggi. Non lo si cura più, né per quanto riguarda l’oggetto in sé, né per quanto riguarda il contenuto: non lo si impagina più, ho visto libri stampati come se fossero dei documenti word, non lo si corregge più, non lo si valorizza più e, inevitabilmente, non lo si legge più. Ho voluto fondare la Vintage perché volevo occuparmi di libri e volevo farlo per bene: impaginazioni ben fatte, carta di qualità, illustrazioni fatte da dei disegnatori di talento e poi naturalmente i romanzi di per sé: ben scritti e ben tradotti.
Variazioni, New Vintage, Old Vintage, queste alcune delle collane della tua casa editrice. Mi ha colpito una in particolare: Vintage Women. Ce ne parli?
Ogni collana è dedicata a una delle mie passioni: sono appassionata di Variazioni e quindi ho deciso di portare questo vasto mondo in Italia, che ancora non le conosce granché, sono appassionata di Regency ed ecco nata la collana Regency… con la collana Vintage Women voglio dare spazio a quelle voci femminili fuori dal coro, ma che in un modo o nell’altro hanno fatto la differenza. La prima opera, per esempio, è dedicata a Maria Branwell, ovvero la madre delle sorelle Bronte. Un personaggio assolutamente secondario della storia, che però ha dato i natali a tre delle scrittrici emblema di un’epoca. Credo che sia stato un buon modo per inaugurare questa collana, no?
Come si presenta un testo a una casa editrice? Cosa non deve mancare?
La cura. E con questo non intendo dire che deve essere perfetto, per carità, altrimenti metà del nostro lavoro non avrebbe senso, ma rimango turbata quando vedo dei manoscritti che non sono evidentemente stati mai riletti. È come presentarsi a un colloquio di lavoro in mutande: non credo che nessuno se lo possa permettere, neanche un genio.
La bocciatura di un inedito: quali sono le criticità che incontri abitualmente in un romanzo che ti fanno decidere di non pubblicarlo?
Generalmente boccio le opere in quanto non inerenti con la nostra casa editrice. Pubblichiamo generi ben specifici, quindi se mi viene inviato un manoscritto che non c’entra nulla con questi, vuol dire che è frutto di un invio massivo. Vuol dire, quindi, non aver neanche impiegato un minimo del proprio tempo per vedere quello che pubblichiamo e cosa facciamo.
«La Vintage Editore si fonda sulla passione per la lettura e per la traduzione, essa sarà anche una fucina per traduttori». Quali sono le regole da seguire nella traduzione di un testo? Quanto costa?
In primis sono una traduttrice. Lavoro come traduttrice per molte case editrici e quando posso traduco anche per la Vintage. Per me il lavoro del traduttore è il lavoro più bello del mondo perché non solo sei chiamata a leggere un romanzo (cosa che, naturalmente, adoro), ma devi anche riproporlo nella tua lingua affinché venga letto da altri. Il traduttore scrive l’opera senza far vedere che l’ha scritta lui. È un lavoro di equilibrio, ricerca, attenzione. È un lavoro solitario. I costi delle traduzioni al giorno d’oggi variano e sono quasi sempre commisurati all’esperienza del traduttore. Ho iniziato traducendo praticamente gratis, ma è stata un’ottima palestra.
Molti autori decidono di fare tradurre privatamente il proprio romanzo in inglese per venderlo autonomamente su piattaforme online, ritenendo il mercato estero più attento e proficuo rispetto a quello italiano. Questo trend ha un fondamento?
Generalmente condanno i fenomeni dell’auto pubblicazione e ancora di più della pubblicazione a pagamento perché hanno contribuito enormemente alla rovina del libro. Sono favorevole a un ritorno alle origini dove c’è un editore che lo sceglie, una redazione che lo cura e dei lettori che lo leggono, entusiasti del risultato di un lavoro così bello. Per quanto riguarda il mercato estero, credo che da autore non sia così facile farsi conoscere in un mercato tanto diverso da quello di casa propria per giunta.
L’ISTAT ci informa che nel 2019 (anno consolidato), sono stati pubblicati a stampa 86.475 titoli con una rilevante quota di invenduto. Secondo te qual è il genere “gallina dalle uova d’oro”?
Purtroppo, noi italiani leggiamo poco, leggiamo male e per di più seguiamo spesso le mode. C’è il momento dell’erotico spinto dalle 50 sfumature, c’è il momento del fantasy… chissà che arriveremo a leggere i libri perché semplicemente belli.
Qual è la tua regola d’oro da non dimenticare quando si scrive?
Non scrivere se non leggi. Se non sei un lettore non puoi essere uno scrittore. Lo stesso vale per il traduttore. Se non sei un buon lettore, prima di tutto, non potrai mai essere un bravo traduttore.
Un grande classico da rileggere: che ci consigli?
Ahaha, io NON posso consigliare nulla di diverso da ORGOGLIO e PREGIUDIZIO.
Un romanzo di uno scrittore esordiente che ti ha particolarmente colpita?
Jane Austen Society di Natalie Jenner. Un romanzo di esordio che è diventato un best seller internazionale già al momento dell’uscita. Incredibile! E in Italia l’ho pubblicato io!
Quando qualcuno mi comunica che ha deciso di pubblicare il proprio romanzo e mi chiede un parere, consiglio il Maalox. Hai consigli migliori?
Se vale, qualcuno se ne accorgerà… ma se non vale, non insistere.
Il colpo di grazia
Utilizza un’unica frase per scoraggiare definitivamente chi ha deciso di pubblicare. Un montante che metta Knockout chi ha deciso di tirar fuori il romanzo nel cassetto.
«Una volta che un libro viene pubblicato, diventa dei lettori che ne fanno letteralmente quello che vogliono. Vuoi davvero che il tuo libro finisca sotto la zampa di un tavolo… o peggio?»
Quindi, se avete proprio deciso di tirar fuori il romanzo nel cassetto, ascoltate il consiglio di Daniela: «Non scrivere se non leggi. Se non sei un lettore non puoi essere uno scrittore».
Ringrazio Daniela Mastropasqua per la disponibilità, la professionalità, per avere giocato con noi.
Grazie a chi leggerà…
Come contattare Daniela

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