Kenneth Fearing

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Nato a Oak Park, nell’Illinois, il 28 luglio 1902, da genitori che divorziarono quando aveva soltanto un anno (il padre, Harry Lester Fearing, era un avvocato di successo di Chicago), Kenneth Fearing fu cresciuto principalmente da una zia, andò a scuola a Oak Park e alla River Forest High School, del cui giornale studentesco fu anche editore, proprio come il suo predecessore, Ernest Hemingway. Dopo aver studiato all’università dell’Illinois a Urbana, Fearing si laureò nel 1924 all’università del Wisconsin, per trovare poi lavoro a Chicago come reporter e in altre attività minori. In seguito si trasferì a New York City insieme alla compagna, la scrittrice e attivista Margery Latimer, dove operò attivamente nella politica di sinistra, aiutando a fondare la rivista Partisan Review, e in ambito giornalistico (scrisse per qualche tempo anche sul Time), occupandosi di critica letteraria e scrivendo poesie per varie riviste, tra cui The New Yorker. L’opera in versi di Fearing comprende cinque raccolte, fra le quali la notevole Dead Reckoning (1938), in cui lo sfondo ambientale delle liriche è quello della città nei suoi aspetti particolari, i risvolti stilistici sono ora solenni ora picareschi, e la vena è non meno amara che polemica.

 

Nel complesso Fearing ebbe un’esistenza travagliata. Visse in prima persona il dramma della Grande Depressione degli anni Trenta (il critico letterario Macha Rosenthal lo definì “il principale poeta della depressione americana”), e anche i suoi ultimi anni furono segnati da povertà e problemi di salute, a causa dell’alcolismo e del tabagismo. Morì il 26 giugno 1961 all’ospedale di New York, dove era stato ricoverato per la metastasi di un melanoma alla schiena.

 

La produzione narrativa di Fearing comprende alcuni romanzi d’ambiente – di carattere sociologico, ma con tonalità e struttura da thriller – dove la vena poliziesca emerge solo a  tratti e in forma chiusa, un po’ come avviene spesso nei libri di Graham Greene (si pensi a Una pistola in vendita), un autore cui Fearing è stato spesso accostato. Citiamo qui, in anni diversi,  The Hospital (1939), Clark Gifford’s Body (1942) e The Crozart Story (1960), mai tradotti in italiano.

 

Fa eccezione, in questo primo gruppo di romanzi, The Generous Heart del 1954, edito l’anno dopo da Garzanti e poi nel Giallo Mondadori nel 2019 (n. 1418) col medesimo titolo Cosmetici e veleni. In questo plot  un ingenuo passante viene travolto e ucciso da un’auto e i testimoni oculari dell’omicidio, membri dell’organizzazione di raccolta fondi Campaign Consultant vengono a loro volta travolti da un angoscioso dilemma: denunciare o no gli assassini, che hanno riconosciuto essere membri di  un’altra società no profit (la Generous Heart del titolo), poiché la loro denuncia proietterebbe un’ombra anche sulla loro organizzazione. Segue, nella trama, un’escalation di ricatti, omicidi e ancor più aberranti rivelazioni su ciò che si nasconde dietro il “cuore generoso” delle associazioni a scopo umanitario, fino a un’imprevedibile e spiazzante conclusione.

 

Va detto che nel 1954, quando uscì, il romanzo destò un certo scandalo, anche per la verosimiglianza della trama, in quanto Fearing conosceva bene la realtà delle società no profit, avendo lui stesso lavorato per tre anni nel reparto pubblicitario  della Muscolar Dystrophy Association of America. Comunque sia, lo scalpore rinverdì la fama dello scrittore, che già aveva pubblicato tre romanzi polizieschi in senso più stretto: Dagger of the Mind (1941), The Big Clock (1946) e Loneliest Girl in the World (1951), quest’ultimo tuttora inedito in  Italia nonostante l’estrema attualità della trama, quasi un intrigante presagio di Internet. C’è infatti una protagonista, Ellen Vaughan, erede di un’enorme biblioteca di registrazione, parte di un progetto che il suo defunto padre immaginava come “una rete continentale per dare informazioni istantanee a chiunque, su qualsiasi argomento…” La biblioteca però contiene un segreto, che qualcuno vuole scoprire prima di lei…

 

Dagger of the Mind (Il pugnale del destino, Garzanti 1953; Classici del Giallo Mondadori n. 1227, 2009) fu elogiato addirittura da Raymond Chandler nel suo celebre saggio La semplice arte del delitto, e in effetti, di questo romanzo, appaiono notevoli l’originale struttura e l’impianto formale. Abbiamo otto personaggi cui Fearing concede la parola in prima persona, e le cui narrazioni si intrecciano sotto forma di capitoli per dare una configurazione polimorfa al racconto: la narrazione, da un punto di vista cronologico, non viene mai sospesa, poiché i vari interventi non sono allineati ma si succedono come anelli di una catena, e quindi l’azione temporale non conosce interruzioni, ma viene semmai spostata da un potenziale centro e lasciata libera di fluire. Si tratta di una tecnica compositiva che conferisce alla storia un taglio molto cinematografico e che – com’è stato notato da alcuni critici – Wilkie Collins aveva adottato molto prima in The Moonstone (1868) e The Woman in White, seguito in questo da altri giallisti del ‘900 come Agatha Christie e Percival Wilde (su cui rinviamo al nostro profilo ne I Maestri del Giallo, 06/08/2022), ma in Fearing l’applicazione della tecnica è più radicale, perché in questo tipo di romanzo polifonico “diretto” ogni descrittivismo e oggettivismo risultano intenzionalmente banditi.

 

Ne Il pugnale del destino i motivi dominanti sono quelli del mystery: c’è un omicidio commesso ai danni di uno degli ospiti di una lussuosa residenza riservata agli artisti e alle personalità più prestigiose della città, e i successivi avvenimenti sono seguiti attraverso i pensieri dei vari indiziati, compreso l’assassino. Il tutto con un’atmosfera asciutta, angolare, che non ritroviamo appieno nel romanzo successivo, del 1946, che pur diede a Fearing una fama clamorosa e immediata grazie anche al cinema.

 

The Big Clock, infatti (L’enorme ingranaggio, Feltrinelli 1966; Classici del Giallo Mondadori n. 426, 1983; poi Il grande orologio, Einaudi Stile Libero 2001), aderisce più del precedente alle basi dell’ispirazione di Fearing: romanzo della città e di contrasti anche psicologici – tali da avere sicuramente fornito un punto di riferimento preciso a qualche opera di Fredric Brown – L’enorme ingranaggio scende dal mystery al terreno del thriller, per manifestare nel modo più scoperto una certa volontà corrosiva e un certo fatalismo così cari al suo autore. Qui, come giustamente ha scritto Lacassin, il descrittivismo oggettivo è rifiutato, “la psicologia  è reintrodotta nell’azione”, e Fearing perviene a darci il primo autentico “psicothriller”, in quanto la qualità stessa dell’atmosfera è cangiante e definita dall’atteggiamento psicologico che ha il provvisorio narratore.

 

Anche qui c’è un omicidio e ne conosciamo indirettamente tutti i retroscena. George Stroud ha una relazione segreta con Pauline, la bellissima fidanzata del suo capo, Earl Janoth, titolare di una grande casa editrice di riviste a larga diffusione. Al culmine di una lite, Janoth uccide Pauline. Terrorizzato, cerca allora di far ricadere la responsabilità su un uomo che ha visto vicino all’abitazione della donna, poco prima che maturasse il delitto. Così Janoth ordina a Stroud, il suo redattore di fiducia, di sguinzagliare tutti i dipendenti della casa editrice alla ricerca di quella persona. Ma l’uomo che si trovava nei pressi della casa di Pauline è proprio Stroud…

 

Qui tuttavia – a differenza del Pugnale del destino – la costruzione del romanzo, nonostante la struttura di base, risulta sostanzialmente monocentrica, in quanto individua nel personaggio di Stroud la figura-guida. In compenso, però, in questo giallo “trova alimento una ricca problematica che, prendendo ad allegoria il titolo stesso del romanzo (traducibile in termini sociali come ingranaggio implacabile, e in termini esistenziali come destino cieco e arbitrario), percorre in rapida ma efficace carrellata temi come la fondamentale insicurezza del vivere, l’imponderabilità delle sorti umane e il fatalismo come sola arma di difesa” (Di Vanni-Fossati), in una chiave, peraltro, meno agghiacciante di quella offerta in anni più recenti da un maestro come Friedrich Dürrenmatt.

 

Quanto al cinema, da The Big Clock del ’46 (in italiano, s’è detto, L’enorme ingranaggio e Il grande orologio) fu tratto nel 1948 un vigoroso thriller con un altro titolo ancora, Il tempo si è fermato, diretto da John Farrow e interpretato da Ray Milland e Charles Laughton (“uno dei thriller più vicini alla perfezione che io conosca”: Joe Dante). Fu poi rifatto radicalmente nel 1987 da Roger Donaldson con Senza via di scampo, con Kevin Costner e Gene Hackman, con una nuova ambientazione delle stanze del Pentagono, dove l’assassino è un segretario della Difesa, il capro espiatorio una fantomatica spia sovietica infiltrata, e le indagini affidate a un ufficiale che tale spia potrebbe anche essere.

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