– Bip. Dove sei?
– Bip. Dove vuoi che sia… ancora in cantiere.
– Bip. Allora ti chiamo
– Bip. Per favo…
DRIIIIN
– Sono io!
– Lo so, ti stavo scrivendo, non è il momento.
– Cos’è? Non mi vuoi parlare?
– Ma no! Ecco mi sono spostato un attimo. È che sto lavorando a quel vecchio palazzo che era bellissimo di suo senza doverlo stravolgere. Purtroppo il proprietario ha tutte le sue idee di ristrutturazione, differenti dalle mie. Non riusciamo più a capirci. È lì dinnanzi a me che mi guarda torvo e batte nervosamente il piede. “SI DOTTORESSA, DOMANI PASSO DA LEI”.
– Che fai? Bluffi? Ma che palazzo è?
– È un vecchio immobile in centro, architettura del ventennio… un palazzo pubblico, rivestito in rosetta veronese e travertino, un grande Leone di San Marco come effige, palladiana ai pavimenti, grandi finestroni rettangolari e spazi vuoti, un parallelepipedo che trasuda forza e rigore . Modernità, futurismo e razionalità…
– Dai, smetti la lezione.
– Mannò! È che ho tentato di rimanere fedele alle strutture, ho ridisegnato il poco mantenendo la stessa disciplina, unica concessione alla modernità un ascensore. Ma lui vuole balconi, grès porcellanato e archi faccia a vista…
– Non ci credo!
– Invero non è proprio così ma rende. Sai , ha comprato tutta la palazzina e ora ne ricava uffici, negozi e per sé un attico e superattico… ”Sa Architetto, voglio stupire…”
Tu , piuttosto, dove sei?
– Sono in autostrada , sto tornando da Bologna, appena passata Ferrara.
– Io , lo sai, a Rovigo. Non è male, ha una bella piazza chiusa con un tronfio Vittorio Emanuele e dietro lui un capitello con un bel Leone di San Marco. Dicono che quello di Rovigo sia stato scambiato di notte con quello di Venezia perché era più maestoso.
– Ti ricordi? Dicevano lo stesso a Rovigno.
– Rovigo? Rovigno? Una enne divide due paesi sulle sponde dell’Adriatico, a quanto pare pure le storie sui Leoni… Rovigno , ti ricordi quell’estate? Quanto tempo è trascorso?
– Senti, qui ho un cartello verde, Rovigo 2,5km, esci da quel palazzo, passo a prenderti. Ti rapirò!
– Ma non posso…
– Zitto ed esci!
– Obbedisco!
DESTINAZIONE FIGAROLA
(Niente ci dà più gioia che ricordare i momenti felici nella felicità.)
Due ore e 200km dopo, la strada si scioglie svelta e il paesaggio ha ormai abbandonato la piatta pianura della Venezia Giulia.
Alla radio passa un vecchio pezzo di Tina e dei Tom Tom Club. Non c’è bisogno di commentare il ricordo, uno sguardo, una risata e balliamo, come una volta. Agitiamo le braccia, le mani non più sul volante, un’auto ci supera e i passeggeri ci guardano stupiti.
Quando Palmanova era già alle spalle, A4 direzione nord, una follia. Un cartello verde: Gorizia-Villesse
– Usciamo!
– Come?
– Esci dall’autostrada , passiamo da Edi!
– Ssssiiiii!
Edi Keber ha in vigneto antico in quelle colline che una volta erano spinate di confine tra Italia e Yugoslavia ed ora, persi i segni del passato, lo sono con la Slovenia. Oggi gli antichi segni dei confini degli anni ’50 sono sostituiti da ordinati filari di vigne; ed è così che in un pomeriggio come questo, clima mutevole ed uggioso sul Collio, può capitare di sconfinare , entrare, uscire, rientrare e perdersi su queste strade bianche cercando la cantina di Edi.
– Ma eccolo! EDI, EDI!
– Amici !!!
Edi Keber ha una vigna, una cantina, una bella famiglia, alcune camere ed una vespa gialla, tutto sul Collio a Zegla/Cormons.
È un vecchio maestro del Tocai, della Ribolla e della Malvasia Istriana, barricadiero e difensore della tradizione, sperimentatore con piedi e mani saldamente nel suo territorio, ci ha riconosciuto, abbiamo chiacchierato, parole che sfuggono, parole ritrovate, sul tavolo un bicchiere.
Ripartiti, ci seguono nel baule alcune bottiglie di Collio, un friulano assoluto, e anche quello non filtrato. Non potevamo esimerci.
Scendendo verso la statale costiera , in direzione Trieste, il solito centro commerciale, i soliti grandi magazzini, una stazione di servizio, una curva ed improvviso il mare, sembra un muro in verticale e ci abbaglia il rossore del tramonto; inusuale per noi che abitiamo la sponda occidentale dell’Adriatico, abituati piuttosto alle albe e all’azzurro limpido delle mattinate sul grigio delle nostre sabbie; è una novità. Noi il sole rosso che scende lo vediamo specchiato solo in laguna alle spalle di Pellestrina, la sera di ferragosto alla sagra di Santo Stefano a Portosecco.
Passiamo la frontiera senza parlare. La destinazione è oltre.
Attraversiamo l’Istria verso sud, prima Umago, poi Parenzo.
– Quando ero piccolo, al mio paese, abitava vicino a noi una signora, “la Stanca”.
– Nel senso che era indolente?
– Guarda che tra virgolette non c’è il “la”, Stanca era il nome..
– Che strano nome!
– Credo si chiamasse Stancova o qualcosa del genere, era stata cacciata come molti dall’Istria nel dopoguerra, una signora austera, dignitosa nella sua estrema povertà di profugo, abitava una vecchia casa usata prima di lei dai pastori in viaggio per la transumanza. Intorno la gente la aiutava e così pure quelle altre due famiglie di Istriani cacciati e ora profughi.
Non erano tempi di ricchezza per nessuno, ma chi poteva aiutava, senza clamore.
Noi avevamo un meleto e durante la raccolta regalavamo delle cassette di frutta che lei conservava. Ogni tanto si sdebitava donandoci degli Strudel che faceva da una antica ricetta slava, che ricordi…
Le strade in Istria lungo la costa sono ancora tortuose, sempre uguali, segnate dall’orografia e dal verde. E allora ripensiamo alla nostra giovinezza, quando, strette da non poter sorpassare, le percorrevamo a bordo dei nostri macinini. Piccole auto che a vederle oggi ci fanno solo sorridere. Come potevamo starci dentro? Come riuscivamo ad andare al mare in 4? Vabbè , portavamo solo il necessario: due costumi, una maglietta , un libro ,un pallone e la voglia di partire.
– Ci bastava veramente poco!
– Tu, piuttosto… ricordi quell’estate a Cherso, passavamo le notti in terrazza, quel cielo nerissimo, le stelle… Oggi siamo chiusi nel nostro silenzioso Suv Ibrido, perfettamente climatizzato, tetto in cristallo, musica diffusa. Siamo diventati così carini… pigri di testa e benvestiti.
Il navigatore ci avverte puntiglioso: Arrivo a Rovigno 10km.
Erano 20 anni fa che ci trovammo a fine agosto , una sera come questa, in prossimità di Rovigno. Due parole per la strada con un vecchio, parlava ancora un po’ d’italiano. Ci consiglia una locanda dove fermarci: “Pensione Figarola”.
Rifacciamo quella strada. Arrivati.
Affacciata sul piccolo golfo, quasi a sfioro sull’acqua, dalla sua terrazza il ristorante domina la cittadella veneziana.
Il mare nero di questa notte, come nelle sere senza Luna, riflette le luci lontane e l’arancione dei muri di pietra dei palazzi. In paese c’è aria di festa , il rumore arriva sino a noi attraversando la baia senza trovare ostacoli.
La pergola sopra ai tavoli è ancora illuminata da fili di lampadine incandescenti, tutto sembra uguale come allora. Esce la proprietaria, è ancora lei o sua figlia? Nel frattempo siamo un po’ invecchiati, la Figarola invece è rimasta identica ma noi, come allora , ancora abbiamo fame, un sacco di cose da dirci, storie da raccontarci, altri nuovi progetti in comune.
Non ci fiacca il passare del tempo, ma la quotidianità di giornate scandite dagli altri, le sveglie, il treno, i semafori, la strada per l’ufficio, la spesa, la palestra…
La signora ci offre le chiavi della nostra camera, noi le porgiamo una bottiglia di Keber, “per favore la metta in ghiaccio per la cena”.
A dopo.
Branzino al forno con pomodori e cipolla.
- In pescheria fatti dare un branzino delle dimensioni adeguate al numero dei commensali . Se possibile fattelo dare pescato e non d’allevamento. Chiedi che te lo puliscano bene ma non fartelo sfilettare, ovviamente.
- Lavalo, asciugalo, spolvera di sale e pepe esternamente.
- Spadella qualche minuto in un filo d’olio in quest’ordine : dei pomodorini spaccati in due, cipolla di tropea spaccata a quarti a cui sfogli i primi strati, olive taggiasche sott’olio e capperi con lo stelo (cucunci). Aggiusta di sale e peperoncino, al limite un pizzico d’origano. Togli il tutto dalla fiamma quando sono ancora croccanti.
- Prendi una teglia antiaderente da forno e fiamma, mettila sul fuoco leggermente unta e passa il branzino una attimo su entrambi i lati, sfuma un goccio di vino bianco.
- Forno bello caldo, copri il branzino con la spadellata di verdure, dentro! Il tempo di cottura dipende dalla dimensione del pesce, non bruciarlo.
- Servilo in filetti o tranci , coperto con le verdure e basilico fresco.
- Ovviamente in tavola già ci attende il Collio bianco di Keber bello freddo (prevalente il Tocai, poi Malvasia e Ribolla gialla, 15€ in enoteca).
Buon appetito.
A presto.
Sempre vostra,
Marilù