Il giallista di cui intendiamo parlare questo mese – diciamolo subito – è un’autentica novità per la stragrande maggioranza dei lettori italiani, dal momento che nessuna delle sue opere (romanzi o racconti che siano) ci risulta che sia mai stata tradotta nella nostra lingua. Memoria corta degli editori? Colpa delle mode narrative che cambiano? Un autore giudicato più importante sul piano dello sviluppo storico del Giallo che su quello della propria qualità letteraria? Tutto è possibile, ma la curiosità rimane.
Daly, nato a Yonkers (New York) il 14 settembre 1889 e morto a Los Angeles il 16 gennaio 1958, giunse alla letteratura dopo un lungo tirocinio nel campo teatrale, e iniziò la sua attività collaborando alla rivista Black Mask, la più leggendaria delle “Pulp Magazines”. Queste, com’è noto, erano pubblicazioni periodiche a basso costo diffuse negli Stati Uniti dalla fine degli anni Dieci, che raccontavano soprattutto avventure di detectives privati (privates eyes era il termine americano) e costituirono il banco di prova per un’intera generazione di scrittori, da Erle Stanley Gardner a Lester Dent, da Raoul Whitfield a Pail Cain a Frederick Nebel, per arrivare agli stessi Hammett e Chandler. Non va taciuto inoltre, tra parentesi, che le “Pulp Magazines” (a partire però dagli anni ’30) lanciarono anche una nuova voga letteraria, che si esaurì in breve ma trovò un più fertile terreno di sviluppo nel campo dei fumetti. Si allude al fenomeno dell’eroe-detective mascherato, i cui esponenti più significativi furono The Shadow, The Black Bat, The Spider, The Phantom Detective, The Masked Detective e altri ancora, ma che, tutti assieme, esulano da un discorso sulla letteratura gialla.
A Daly è stato attribuito il merito d’aver creato la prima storia hard-boiled in assoluto di tutta la narrativa americana. Si tratta di The False Burton Combs, pubblicata su Black Mask nel dicembre 1922 e seguita da vicino, sulla stessa rivista, da It’s All in the Game e PI Three Gun Terry (aprile e maggio 1923). Ma fu con Knights of the Open Palm, uscito il 1° giugno, che Day propose il personaggio di Race Williams, da considerarsi ancor oggi il primo e autentico detective privato che la tradizione della letteratura gialla americana abbia presentato (in anticipo anche su Dashiell Hammett, che esordì anch’egli su Black Mask, ma nell’ottobre del 1923).
Progenitore illegittimo dei vari Sam Spade, Mike Hammer, Lew Archer, Mike Shayne, la creatura di Daly discende a sua volta per vie traverse da quel Nick Carter che, alla fine dell’Ottocento, aveva imperversato con le sue innumerevoli avventure. “Race Williams è un prototipo sia nell’aspetto fisico, sia nei modi e nel carattere: di circa trent’anni, alto e ben piantato, tiratore infallibile, è un individuo cinico seppur non impietoso, spesso violento, doverosamente amoreggiatore, dall’ideologia vagamente anticomunista” (Di Vanni-Fossati, Guida al “Giallo”, 1980).
Sebbene l’editore di Black Mask, George Sutton, non amasse molto le storie con Race Williams, la popolarità di questo eroe presso i lettori era così ampia che lo vincolò per contratto a continuare a scriverle. E davvero durante gli anni ’20 e ’30 Daly divenne il leader della scuola “naturalistica” dei giallisti americani; il suo nome sulla copertina di una rivista pulp si calcola che ne aumentasse le vendite del 15%, e un sondaggio dell’epoca tra i lettori di Black Mask indicò Daly come lo scrittore più popolare della rivista, davanti a Hammett e Stanley Gardner. Il che spiega bene come Daly abbia potuto creare senza fatica, in quel ventennio, anche altri detective pulp – tra cui Satan Hall, “Three Gun Terry” Mack e il piccolo Vee Brown – e abbia scritto anche per altre riviste pulp, come Detective Fiction Weekly e Dime Detective.
Negli anni Quaranta, tuttavia, la fortuna di Daly conobbe un rapido declino, e lui si trasferì in California a lavorare sui fumetti e sui copioni cinematografici. Un solo aneddoto merita forse d’esser tratto dall’oblio di questi ultimi suoi anni. Quando Mickey Spillane diventò famoso col suo Mike Hammer, un personaggio simile ai detective di Daly (e quest’ultimo pare abbia detto: “Io sono al verde e questo ragazzo si arricchisce scrivendo del mio detective”), proprio Spillane girò a Daly una lettera di un fan che diceva che Race Williams era il modello per il suo Mike Hammer. Ma quando l’agente di Daly vide la lettera e tentò di intentare una causa per plagio, Spillane racconta che Daly accantonò la lettera, affermando che non riceveva una lettera di un fan da anni e di sicuro non aveva intenzione di citare in giudizio nessuno che si era preso il tempo di scriverne una.
Una singolare presa di posizione (In difesa di Carroll John Daly, “The Mystery FANcier”, maggio 1978), firmata da Stephen Mertz e ristampata il 6 settembre 2017 su “Black Mask”, ha rivalutato l’opera di Daly a confronto con quella di Hammett, un autore giudicato a torto “di gran lunga migliore e molto più influente”. Da Ron Goulart a David Madden, da William Nolan a Steinbrunner/Penzler, molti critici e studiosi hanno definito Daly come “illeggibile” per gli standard odierni, esprimendo soddisfazione che lo sviluppo della forma sia stato lasciato a mani più competenti come quelle di Hammett e Chandler. Al contrario, Mertz sostiene che “l’influenza stilistica di Hammett sia stata severamente limitata a un decennio e a un gruppo limitato di discepoli” (Raoul Whitfield, Frederic Nebel, Paul Cain, Rogery Torrey), mentre oggi “l’influenza di Daly è ancora diffusa in ogni scaffale tascabile del Paese.”
Non solo, ma quando all’inizio degli anni Quaranta emerse Raymond Chandler e creò il suo Philip Marlowe come un cavaliere moderno solitario, onesto, poetico, stanco del mondo, questa visione pare più in debito col Race Williams di Daly che con l’Op di Hammett, “ed è questo concetto che è con noi oggi nel lavoro di persone come Ross McDonald, Robert B. Parker e Bill Pronzini.”
Quanto al rapporto con Spillane, la sua seconda avventura con Mike Hammer, My Gun is Quick, risulta strettamente modellata sul romanzo di Daly con Race Williams del 1929, The Hidden Hand, mentre la controparte moderna di Daly potrebbe essere Don Pendleton, il cui eroe, Mack Bolan, sembra quasi il figlio di Mike Hammer e il nipote di Race Williams.
Daly pubblicò in vita sedici romanzi gialli, nessuno dei quali (s’è detto) mai tradotto in italiano, e precisamente: The White Circle (1926), The Snarl of the Beast (1927), Man in the Shadows (1928), The Hidden Hand (1929), The Tag Murders (1930), Tainted Power (1931), The Third Murderer (1931), The Amateur Murderer (1933), Murder Won’t Wait (1933), Murder from the East (1935), Mr. Strang (1936), The Mystery of the Smoking Gun (1936), The Emperor of Evil (1937), Better Corpses (1940), Murder at Our House (1950) e Ready to Burn (1951).
Di recente, negli U.S.A., The Altus Press – Steeger Books ha ripubblicato tutti i racconti usciti su Black Mask in un cofanetto in quattro volumi. E pare ci sia un piano per pubblicare tutte le altre novelle: informazioni su www.steegerbooks.com
Sebbene oggi ignorata (e non solo in Italia), l’opera di Daly rimane una delle più interessanti della scuola dell’hard-boiled. Molti dei motivi chiave che daranno forza al recupero realistico degli Hammett e dei Chandler appaiono in lui solo in embrione, ma Daly è sufficientemente eloquente e incisivo per riuscire ad apparire di gran lunga più credibile di molti scrittori degli anni ’40 e ’50. Ovviamente i suoi testi soffrono di un inevitabile schematismo e di un’inverosimiglianza ancora un po’ insistita, e anche di un’analisi psicologica non sempre radicata, ma di lui ci resta ancora il ritmo incalzante, il piglio delle sequenze più dinamiche e violente, e quella capacità di “averti messo proprio lì nell’azione come solo un artista di suspense veramente magistrale può fare” (Mertz).