VERA CASPARYI

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Nata a Chicago il 13 novembre 1899 e morta a New York il 13 giugno 1987, quarta figlia (e molto più giovane) dopo tre fratelli, Vera Louise Caspary ebbe un’infanzia dorata, ma poi lasciò la scuola a soli diciotto anni, senza frequentare l’università, in cerca di un’occupazione che le consentisse non solo di mantenersi, ma anche di scrivere. “Quando sono nata” dichiarò lei stessa a distanza di anni in un’intervista, “i miei genitori avevano superato entrambi la quarantina e passavano il tempo libero a giocare a bridge. La loro vita era così noiosa e triste che già all’età di dodici anni decisi di diventare scrittrice e di rendermi il più presto possibile indipendente.” Inizio così a lavorare come stenografa, poi come copywriter presso un’agenzia pubblicitaria specializzata in vendite per corrispondenza, ma nello stesso tempo fondò una propria scuola di ballo per corrispondenza, scrisse un corso per insegnare a ricavare una versione cinematografica da un lavoro teatrale e diresse un settimanale  realizzato per conto di una sala da ballo.

Nel 1924, dopo la morte del padre, si trasferì con la madre a New York, dove diventò direttrice della rivista Dance Magazine (o The Dance Lovers). E finalmente nel 1929 pubblicò i suoi due primi romanzi, in parte autobiografici, Ladies and Gents e The White Girl. Quest’ultimo, incentrato su una ragazza di colore che, giunta a New York da Chicago, si fa passare per bianca, ottenne recensioni lusinghiere, confermate da un successivo romanzo del 1932, Thicker than Water, in cui raccontò la storia di una famiglia ebrea (ebrea era anche la madre di Vera, Julia Cohen) dall’inizio del secolo alla Grande Depressione. Già in questi primi romanzi la scrittrice fece una scelta che avrebbe poi replicato in quasi tutte le altre sue opere, quella cioè di mettere al centro delle trame la figura della donna lavoratrice e il suo diritto all’indipendenza nella prima metà del secolo.

Dopo questo felice esordio, la Caspary iniziò a scrivere soggetti cinematografici e nel 1937 si trasferì a Hollywood, dove scrisse sceneggiature per vari film a tema criminale, collaborando con Samuel Badisch Ornitz (1890-1957), un amico sceneggiatore che viveva non lontano da lei nel Greenwich Village. “Sono andata nella capitale del cinema per restarci tre mesi” disse in seguito, “e ho finito per restarci ventiquattro anni.” Ma proprio qui, nell’ambito dei Gialli, la Caspary ottenne il successo nel 1943 con il romanzo Laura, da cui il regista Otto Preminger trasse il film omonimo l’anno seguente (in italiano Vertigine), con Clifton Webb, Gene Tierney e Dana Andrews, destinato a diventare presto un classico del cinema. “Eppure” disse ancora la Caspary, “io ostinatamente credo che il film sarebbe stato migliore se il melodramma alla fine fosse stato pari alla tensione dell’inizio, se il personaggio dell’assassino avesse mantenuto la sua coerenza.” Oltre al film di Preminger, da Laura furono tratti anche due sceneggiati televisivi (il primo, adattato da Truman Capote, fu interpretato da Lee Radziwille e Robert Stack; il secondo da Dana Winter e George Sanders), e la stessa Caspary ne ricavò un adattamento teatrale nel 1947.

Mystery psicologico, confezionato con uno stile elegante e a tratti teatrale (quasi da “camera chiusa”), con notevole dosaggio di toni, alternanza di personaggi ed efficace variazione dell’io narrante, Laura è uscito in Italia presso diversi editori: per Mondadori nel 1948 (Biblioteca Moderna n. 41); ancora per Mondadori nel 1977 (nella collana Giallo Cinema, n. 7, con bella prefazione di Claudio G. Fava), per Interno Giallo nel 1991; per Mondadori nel 1996 (Gli Speciali del Giallo); per Polillo nel 2009 (nella nota collana I Bassotti), e infine nelle Edizioni del Corriere della Sera nel 2013.

La trama – che a noi personalmente ha ricordato in alcuni punti il capolavoro del californiano Collin Wilcox, La morte e la vita di Lisa F.  – inizia con la morte di Laura Hunt, giovane, ambiziosa e bellissima, uccisa nella sua elegante casa di New York da un colpo d’arma da fuoco che le ha sfigurato il viso. Incaricato delle indagini è il tenente di polizia Mark McPherson, uomo solido e razionale, incurante del fatto che l’inchiesta lo metterà a contatto con la gente del bel mondo newyorchese che lo tratterà con snobismo e cercherà di farlo apparire intellettualmente inferiore. E così di giorno il detective interroga gli uomini che hanno amato Laura, e di notte passa al setaccio, in modo sempre più ossessivo, l’appartamento della donna alla ricerca di indizi. Tocca le sue cose, osserva lo splendido ritratto di lei appeso a una parete, sente il profumo che ancora permea i suoi vestiti. E s’innamora perdutamente di una donna che non ha mai conosciuto, che non vedrà mai, che non esiste più…

Se il romanzo, Laura, è oggi considerato un capolavoro del mystery, addirittura il film, Vertigine, è diventato col tempo un vero cult-movie per gli amanti del cinema nero: “eleganza, decadenza, perversione, crudeltà, umorismo e una forte vena di necrofilia ne fanno un cocktail unico. Il motivo di David Raksin, Laura, incanta ancora oggi. Uno di quei film felici dove tutto concorre al risultato finale: regia, sceneggiatura, fotografia (J. LaShelle, premio Oscar), scenografia, musica” (M. Morandini, Dizionario dei film, Zanichelli).

La Caspary scrisse altri romanzi gialli. Tra questi ricordiamo Bedelia del 1945 (Mondadori, 1948), su una coppia di sposini felici, in cui il marito scopre improvvisamente che la moglie potrebbe avere un  passato criminale; Stranger than Truth del 1946 (L’altra felicità, Mondadori, 1951, nella collana I Romanzi della Palma), ambientato nel mondo delle riviste pubblicitarie industriali; The Lady in Mink, sempre del 1946 (La signora in visone, Garzanti, 1954, nella nota collana Le tre Scimmiette, n. 40; poi 1964); The Husband del 1957, in cui una donna scopre le tendenze omicide del marito; The Secret of Elizabeth del 1979 (Il segreto di Elizabeth, nei Gialli Mondadori, n. 1638, 1980).

Da  ricordare, inoltre, che da un racconto della Caspary, Gardenia, pubblicato nel 1952 nella rivista Today’s Woman, fu tratto l’anno seguente il film di Fritz Lang Gardenia Blu, con Anne Baxter, Richard Conte, Ann Sothern, Raymond Burr e un breve passaggio di Nat King Cole nella parte di se stesso. L’intreccio – con una giovane telefonista convinta d’aver commesso, ubriaca, un omicidio e in angosciosa attesa dell’arresto, finché un abile giornalista risolve l’enigma – appare tuttavia “frusto e i personaggi stereotipati nelle loro nevrosi, e per questo è il più debole dei film neri del Lang hollywoodiano, ma, grazie anche alla fotografia di Pasquale Musuraca, giocata sui grigi, la firma del regista è leggibile nell’atmosfera, nei particolari, nel modo con cui segue i personaggi” (ancora Morandini, cit.).

Nel 1948, infine, la Caspary sposò il produttore e sceneggiatore cinematografico austriaco Isidor Igee Goldsmith (1893-1964), con cui aveva avviato da tempo un sodalizio artistico e sentimentale. Con lui visitò la Russia e viaggiò spesso tra Hollywood e l’Europa, talvolta inseguita dai sospetti (e dalle indagini) della Commissione per le attività antiamericane, presieduta in quegli anni  dal senatore McCarthy,  in quanto indiziata di vecchie simpatie comuniste. Dopo la morte del marito,

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