“Nostalgia, nostalgia canaglia” cantavano anni fa Al Bano e Romina, e proprio il sentimento della nostalgia l’abbiamo provato noi nel riprendere in mano alcuni Gialli dell’americana Anna Katharine Green (1846-1935), riproposti in Italia dalla metà degli anni ’90 dalla Newton Compton nella benemerita collana Compagnia del Giallo. Sì, perché l’ormai dimenticata Green – più importante sul piano storico che su quello artistico – può vantare due meriti notevoli, almeno: di essere stata la prima vera scrittrice di romanzi polizieschi, e di avere inaugurato di fatto la formula del legal mystery (in anticipo di oltre un ventennio sul connazionale Stanley Gardner) anche grazie all’esser stata figlia di un penalista, la cui professione costituì un utile filtro per molta parte delle sue tecniche descrittive.
Ma andiamo con ordine. La Green, nata l’11 novembre 1846 a Brooklyn, New York e orfana di madre a soli tre anni d’età, era figlia di James Wilson Green, avvocato in uno studio legale di Manhattan, che si risposò con tale Grace Hollister. Merito di quest’ultima, in ottimi rapporti con la figliastra, pare sia stato quello di incoraggiarla sulla strada del romanzo poliziesco, nonostante la rigida opposizione paterna, dovuta anche ai pregiudizi dell’epoca. Laureatasi in lettere a Poultney nel Vermont, la Green si dedicò in un primo tempo alla poesia, pubblicando versi romantici e intrattenendo una corrispondenza epistolare col famoso Ralph Waldo Emerson, conosciuto proprio al college. Frustrata però nelle sue ambizioni di successo, la scrittrice decise di passare temporaneamente al genere poliziesco con la speranza di raggiungere quella notorietà e quell’indipendenza economica che le avrebbero consentito poi di tornare a dedicarsi alla poesia (com’ebbe a dire lei stessa in un’intervista rilasciata poco prima della morte): intento sincero, in parte mantenuto – tra parentesi – se è vero che pubblicò nel 1882 un volume di poesie (The Defense of the Blide and Other Poems) e nel 1887 un dramma in versi (Risifi’s Daughter), quando già la sua fama di autrice di Gialli era assodata.
La Green debuttò dunque nel 1878 con Il caso Leavenworth (noto anche, da noi, come Il mistero delle due cugine), edito da G.H. Putnam a New York, venduto in oltre mezzo milione di copie e assolutamente determinante per il futuro della scrittrice, che decise di proseguire col Giallo e lo coltivò per ben 45 anni, producendo un totale di 34 romanzi più alcune raccolte di racconti.
Nonostante l’enorme successo, o forse anche per questo, Il caso Leavenworth ricevette molte critiche da una parte dell’opinione pubblica americana: fino a quel momento, infatti, il Giallo era stato considerato un genere narrativo tipicamente maschile, e il fatto che l’autrice di questo fortunato romanzo fosse una donna suscitò grande scalpore. Esempio eloquente di ciò fu che, nello stesso 1878 della pubblicazione, l’assemblea legislativa della Pennsylvania si riunì per discutere della questione se l’autrice di questo romanzo avesse potuto veramente essere una donna.
Polemiche a parte, tuttavia, il romanzo d’esordio – oggi valutato quasi da tutti come il suo migliore – rivela praticamente tutta la poetica della Green (come ben scrissero Di Vanni e Fossati nella loro Guida al Giallo) “con il suo bagaglio di romanticismo tardo-ottocentesco patetico e legato come respiro etico al mondo vittoriano, e con molte delle sue formule di chiara derivazione feuilletonistica. Anche se alcuni elementi ambientali e dettagli espressivi possono ricordare Poe, l’influsso maggiore è quello di Gaboriau, ma questo romanzo è senz’altro all’altezza del Dramma di Orcival, se non superiore come preziosità di mystery e come originalità di intreccio. Naturalmente sia la trama vera e propria sia il delitto fanno leva, si sviluppano, vengono sciolti seguendo schemi molto scarni e rigidi, fondati come sono su strutture ripetitive che creano uno strano impasto fra volontà realistiche e violente tipizzazioni. Ma teniamo conto che questo è un dato comune a tutta la produzione romanzesca del periodo, quel dato che la fa apparire oggi così polverosa…”
Comunque sia, con Il caso Leavenworth la Green si guadagnò negli Stati Uniti il titolo di “madre del genere poliziesco” grazie al suo concentrarsi sull’aspetto prettamente investigativo del plot, che seppe rendere nel suo procedimento con buona verosimiglianza. Anche il protagonista delle indagini, il detective Ebenezer Gryce, contribuì al successo del romanzo, col suo realistico aspetto di “ordinario cittadino americano”, schivo e modesto. Sempre secondo il duo Di Vanni-Fossati, Gryce “si riallaccia alla tradizione dei detectives scrupolosi e professionali che hanno avuto i loro probabili progenitori nell’ispettore Bucket di Dickens e nel sergente Cuff di Collins. Figure apparentemente anodine e convenzionali, che però giocano con un loro preciso senso funzionale, in quanto agiscono da pendànt nei confronti della misura drammatica e conflittuale che pesa sulle spalle e nelle vicende degli altri personaggi.”
Nella storia del Giallo, la Green può anche esser ricordata per aver dato vita ai primi personaggi di detective donna. Nei romanzi That Affair Next Door (1897), Lost Man’s Lane (1898) e The Circular Study (1900) affiancò infatti all’ormai noto Gryce Amelia Butterworth, una zitella di mezza età e detective amatoriale, il cui ruolo costituisce una piacevole variazione sulla figura-tema della “spalla”. Questa miss – intelligente, distinta e indiscreta – si accompagna a un insofferente Gyce (rappresentante degli uomini che considerano l’investigazione una prerogativa maschile) a volte come aiutante, a volte come avversaria, e contribuisce attivamente alla soluzione del caso grazie al proprio ingegno e alla propria posizione sociale, che le permette di avere una diversa prospettiva dei fatti e delle persone coinvolte. E nella serie di racconti brevi A Difficult Problem and Other Stories (1900) la Green introdusse il personaggio di Violet Strange, una giovane indipendente, rappresentante a suo modo della nuova generazione di donne, che nel tempo libero si dedica all’investigazione e che diventerà protagonista di un’altra raccolta, nel pieno del primo conflitto mondiale, The Golden Slipper and Other Problems for Violet Strange (1915).
Entrambe queste figure, valutate oggi, risultano interessanti in quanto rappresentative di una categoria di donne dotate del coraggio di ribellarsi alle regole di comportamento che a quel tempo erano tenute a osservare, mentre l’introduzione di personaggi femminili nei romanzi coincide con una maturazione del pensiero della Green, sempre più empatica nei confronti delle donne, specialmente quelle in condizioni difficili, abbandonate, vittime di abusi o intrappolate in matrimoni infelici. Tuttavia – al di là delle pagine scritte – questa consapevolezza della questione sociale femminile non coincise con un impegno pubblico da parte dell’autrice, che anzi non approvò mai l’operato delle contemporanee femministe e nel 1913 si oppose al suffragio femminile.
Tra Otto e Novecento, molte furono le firme illustri che elogiarono i Gialli della Green: Wilkie Collins elogiò la sua grande inventiva in una lettera all’editore Putnam; Arthur Conan Doyle, mentre si trovava a Buffalo, chiese di incontrarla per poterle “stringere la mano”; Agatha Christie la ricordò nella sua autobiografia come fonte di ispirazione per i suoi personaggi; Van Dine scrisse un’entusiastica prefazione alla ristampa nel 1934 de Il caso Leavenworth, un anno prima della morte della Green (che si spense a Buffalo a 88 anni l’11 aprile 1935). E tra i suoi lettori più affezionati non mancarono uomini noti come Stanley Baldwin e i presidenti statunitensi Theodore Roosevelt e Woodrow Wilson.
Per quanto riguarda la critica più recente, invece, non tutti gli studiosi appaiono concordi nel ritenerla la prima scrittrice donna di Gialli. Nel 1866 era stato pubblicato infatti The Dead Letter, l’unico romanzo poliziesco della scrittrice Seeley Regester (pseudonimo di Metta Victoria Fuller Victor), che alcuni considerano essere la vera prima scrittrice donna di questo genere. Tuttavia il libro della Regester viene spesso escluso dal canone del Giallo perché il etective protagonista è chiaroveggente, una caratteristica che non contribuisce a una resa verosimile dell’investigazione.
In un bilancio conclusivo, la fortuna della Green in Italia risulta complessivamente molto alterna. Fra i suoi romanzi pubblicati da noi, ricordiamo Il mistero delle due cugine, Le due iniziali e La moglie del sindaco, usciti nella vecchia collezione d’anteguerra dei Gialli Mondadori, nonché La casa maledetta e Il problema, editi nella collezione I Gialli del Domino Nero dell’editore Martucci, sempre negli anni Trenta. Più di recente, dalla metà degli anni ’90, s’è avuta una ripresa della Green nelle edizioni Newton Compton, proseguita anche nel nostro secolo (con Una strana scomparsa, La casa dei pini fruscianti, Due iniziali soltanto, Un sinistro passo sulle scale, tutti del 2013, e IL fantasma dal passato, 2014) e seguita da altri editori (Lo studio circolare, Nero Press, 2014; Il caso Leavenworth, Elliot, 2016).
Poche, invece, le opere della Green adattate per lo schermo americano e mai doppiate in italiano: dopo alcune pellicole già tra il 1915 e il ’22, una prima versione cinematografica de Il caso Leavenworth apparve nel 1923, seguita da una più importante nel 1936 per la regia di Lewis D. Collins, tradotta in Italia in Il segreto di Joko.
In sintesi, dunque, molti ci appaiono oggi i meriti della Green: prima scrittrice donna del genere poliziesco, prima scrittrice a introdurre nei propri Gialli un protagonista seriale (Ebezener Gryce), prima donna a dedicarsi a tempo pieno a questo genere, prima donna a firmarsi con il proprio nome anziché con uno pseudonimo (sfidando così la convinzione che le donne non avrebbero potuto avere successo nel Giallo, dominato fino ad allora da scrittori di sesso maschile); prima, infine, a coniare, per indicare un preciso genere narrativo, l’espressione detective story, che aggiunse al titolo de Il caso Leavenworth. Oggi, però, che cosa resta di lei? Abbiamo provato a rileggere due suoi Gialli a caso, Una strana scomparsa e La casa dei pini fruscianti, concludendo che qualche tocco retorico, un po’ di romanticismo tardo ottocentesco e alcuni stilemi da romanzo d’appendice limitano il valore di queste pagine, che possono ancora leggersi, peraltro, con legittima curiosità documentaria.