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I maestri del giallo

ALAN A. MILNE
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Dopo l’ultima serie di giallisti, estremamente prolifici, che abbiamo presentato (Berkeley e Wade, la Rinehart e la Eberhart), riesumiamo ora uno scrittore inglese, autore – incredibile, ma vero – di un unico romanzo giallo, sufficiente però ad assicurargli un posto di primo piano nel panorama della letteratura poliziesca di tutti i tempi. Parliamo di Alan Alexander Milne, nato a Kilburn il 18 gennaio 1882 e morto ad Hartfield il 31 gennaio 1956, autore di un numero assai elevato di poesie, articoli di giornale, saggi storici, commedie teatrali, sceneggiature cinematografiche, ma noto soprattutto per la serie di libri per bambini con protagonista l’orsacchiotto Winnie the Pooh.

Il solo romanzo giallo che scrisse – come detto – fu The Red House Mystery (Il dramma di Corte Rossa) del 1922, tradotto in Italia già ai tempi gloriosi dei primi Gialli Mondadori (n. 26, 1930) e più volte ristampato in nuove versioni dal medesimo editore, tra cui segnaliamo l’Oscar Giallo 1976 (con notevole prefazione e postfazione di Claudio Savonuzzi), i Classici del Giallo n. 634, 1991, fino ai benemeriti Bassotti dell’editore Polillo nel 2003.

Archetipo, quasi suo malgrado, del classico mystery all’inglese della Golden Age – e posteriore di un solo biennio all’esordio di Agatha Christie (Poirot a Styles Court, 1920) – Il dramma di Corte rossa è divenuto universalmente noto anche grazie alla corrosione critica che ne fece il grande Raymond Chandler nel suo celebre saggio La semplice arte del delitto, in cui prese il romanzo di Milne come esempio di ciò che non si dovrebbe fare nei polizieschi, demolendo, come sappiamo, il giallo enigmistico, logico, astratto, a vantaggio del giallo realistico, metropolitano, violento, eccetera. Giudizio (o pregiudizio) che tuttora riemerge, se pensiamo al citato Savonuzzi, che ha definito la Corte Rossa “talmente datata, così tipica di una vecchia moda, da rappresentare un pezzo ineccepibile di antiquariato.”

Di sicuro il romanzo di Milne ci appare oggi tutt’altro che perfetto, con un “dilettantismo” innegabile (ancora Chandler), e con più di un sentore di provvisorietà e di accidentalità. E altrettanto sicuramente nel Dramma “si trovano anticipati molti delle qualità e dei difetti tipici della giovane Agatha Christie”, con l’avvertenza però che “difetti e limiti dello stile espressivo che accomuna i due scrittori trovano alimento e competenza quasi esclusiva nella sola Christie, mentre in Milne le indulgenze stilistiche verso cliché forse un po’ antiquati, o senz’altro d’annata, nascono dallo charme di una narrazione che è sì un capolavoro di artificio, ma un flagrante artificio, e che non può non deliziare l’amatore” (Di Vanni-Fossati, Guida al “Giallo”, Milano 1980).

In effetti, a differenza della Christie, Milne, che non era un giallista nato, si propose semplicemente di intrattenere il pubblico con un libro divertente e vivace. E davvero intrattenimento o rasserenamento ci sembrano essere le definizioni più pertinenti a questo mystery, e leggerlo oggi significa “rasserenarsi, entrare in un mondo diverso, garbato, pulito e ordinato, nonostante vi venga commesso un delitto che poi però, come nei migliori romanzi di una volta, ha il suo giusto castigo” (così Omar Lastrucci nel suo blog sul giallo classico, Assassini e gentiluomini, 2014). E l’atmosfera rilassata e sognante si coglie fin dal memorabile inizio, con l’imponente magione di Corte Rossa – sita nella ridente campagna inglese e proprietà del ricco signorotto locale Mark Ablett – in una calda giornata estiva in cui si odono solo il brusio delle api e una falciatrice lontana. Proseguendo nell’intreccio, il fratello scapestrato e reietto di Mark, Robert Ablett, ha appena annunciato il suo ritorno dopo quindici anni dall’Australia, dove si era autorecluso per misteriosi motivi, mettendo il padrone di casa in uno stato di evidente agitazione, a stento trattenuto in presenza degli ospiti, simpatici scrocconi sfaccendati. E appena Robert viene introdotto da una cameriera impaurita nello studio del fratello, si ode una detonazione, ed entrando nella stanza si scopre che Robert è stato ucciso con un colpo di pistola in piena fronte e che Mark è scomparso. Se apparentemente le cose sembrano andate in un solo modo possibile, ecco però l’elemento di disturbo: un personaggio che capita a Corte Rossa all’improvviso, quasi portato dal vento come l’Innocent Smith delle Avventure di un uomo vivo di Chesterton (grande estimatore, tra parentesi, del giallo di Milne): si tratta di Anthony Gillingham, un giovane bizzarro e stravagante passato da quelle parti a salutare uno degli ospiti di Mark, Bill, e ritrovatosi automaticamente ospite a sua volta e detective improvvisato, senza che nessuno dei presenti si chieda più di tanto chi sia e cosa ci faccia lì. E’ questa la prima di quelle molte forzature e inverosimiglianze analizzate da Chandler, ma se il lettore soprassiede un poco all’intreccio – con Gillingham a indagare e Bill a fungergli da Watson – può godersi le belle descrizioni della campagna inglese, la brillantezza dei dialoghi, i personaggi deliziosamente british, l’umorismo sottile e non invasivo che permea tutto il libro, anche nei momenti più drammatici. E l’umorismo è appunto la virtù che Milne “ha dispensato qui in maniera così intangibile e sopraffina da renderlo eternato in misura probabilmente ineguagliabile, o comunque sicuramente incantevole, come ebbe a definirlo una volta Rex Stout” (ancora Di Vanni-Fossati).

Tendente all’effimero, gradevole, elegante, ma un po’ troppo leggero, questo Dramma è un po’ come un corroborante intermezzo, un “grimaldello” (di nuovo Lastrucci) “per evadere da quella quotidianità che ogni lettore forte, in fondo in fondo, disprezza”, e questo spiega forse la fortuna di questo giallo, nel ricordo dei lettori, più di altri titoli di Bentley o del primo Berkeley (già trattati nei nostri MAESTRI DEL GIALLO), con cui ha rapporti molto stretti. Se la regola prima di un romanzo poliziesco è proprio quella di rispettare le regole del codice entro cui è inscritto, Il dramma di Corte Rossa risponde a tutte le regole del gioco, finendo poi per non aderirvi mai completamente con serietà e correttezza, evidenziando anzi più d’una ingenuità o illogicità proprio nel meccanismo poliziesco. Frutto imperfetto e capriccioso, dunque, questo romanzo ha in definitiva il sapore e il fascino di un amore old fashioned, da leggere (perché no?) sorseggiando un tè e ascoltando Mozart.

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