Felidae

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Regia di Michael Schaack

Film del 1994 con Ulrich Tukur, Mario Adorf, Klaus Maria Brandauer

Genere Animazione/Thriller

 

Si può dire che l’animazione sia nata ancora prima del cinema. I primi esempi di immagini in movimento, molto di ciò che rientra nella definizione di precinema, hanno come oggetto disegni, dipinti, forme. Il che è abbastanza ovvio, dato che per il cinema dal vero si avrà evidentemente bisogno dell’invenzione della fotografia. È dunque curioso e quantomai scorretto il trattamento che viene riservato popolarmente a un’arte ricchissima di possibilità espressive. È opinione troppo comune, specialmente in Italia, che l’animazione sia una faccenda per bambini, al massimo famiglie, che sia troppo difficile entrare in empatia con un disegno o un pupazzo, che le storie che vengono raccontate con questo mezzo non raggiungano una complessità sufficiente per un pubblico maturo ed esigente.

L’idea che l’animazione per tutti sia l’unica possibile è radicata, laddove parliamo invece di una tecnica che è stata ampiamente esplorata, ottenendo dei risultati straordinari, e chissà cosa si può ancora scoprire. Quando ci si stacca dalla raffigurazione oggettiva e aderente, come il cinema dal vero, alla forma teatrale, si realizza che si può animare letteralmente qualsiasi cosa (qualcuno è riuscito ad animare degli atomi) e non esistono limiti.

Al contempo svalutare qualsiasi esempio di animazione mainstream sarebbe un errore superficiale. È innegabile che Walt Disney, pioniere, non l’unico, di questa industria, abbia consolidato una concezione di cartone nella memoria, ma è altrettanto vero che chi avesse guardato alle sue opere con occhi analitici avrebbe trovato dei racconti molto meno semplici di quanto apparisse. Senza entrare nel merito dell’animazione corta, i lungometraggi di Disney, soprattutto i primi (Fantasia, Dumbo, Bambi) sono realmente dei film per chiunque, che a seconda della tua età o della tua visione raccontano dei personaggi e dei mondi stratificati, duri, non di chiara decodificazione, e quindi veri. Questa maturità nell’approccio si perde col tempo: dapprima Disney stesso è costretto a risparmiare sull’animazione, acquisendo un fascino grezzo ma sacrificando la precisione del tratto (La carica dei 101, La spada nella roccia); poi, dopo la sua morte avvenuta nel 1966, la compagnia dedicherà sempre meno attenzione e risorse alla produzione dei lungometraggi animati, favorendo affari più redditizi (con i parchi sempre in prima linea).

Con l’esaurirsi del monopolio Disney al botteghino, molti animatori possono imporsi nelle sale con una proposta alternativa. Nel 1972 Ralph Bakshi con Fritz il gatto riesce a sdoganare il cartone per adulti: ispirato al fumetto di Robert Crumb, Fritz è un gatto antropomorfo che insieme ad altri animali vive in una New York anni ‘60.. Le sue avventure disilluse e volgari hanno a che fare con sesso, droga, razzismo, abusi di potere, terrorismo. Un accumulo parossistico e catartico.

C’è anche chi non rinuncia alla poetica fiabesca ma vuole comunque offrire uno spettacolo più crudo, come Don Bluth, autore molto più fortunato di Bakshi. Nel 1982 con Brisby e il segreto di NIMH Bluth racconta una storia in linea con il primo Disney, in un contesto familiare che diventa cupo, ma con una qualità grafica che film come Gli aristogatti e Robin Hood non potevano vantare. Sempre animali protagonisti, in un campo dove rischiano la vita a causa dell’aratro del contadino e dove vengono scoperte inquietanti verità sul rapporto tra uomo e natura.

Il sentiero è tracciato e c’è spazio per chiunque voglia proporre novità.

Figlio di questa sperimentazione è senza dubbio Felidae, thriller tedesco del 1994 ispirato al romanzo La società dei gatti assassini.

Francis si è appena trasferito in una casa abbandonata col suo padrone Gustav ed esplorando il vicinato si imbatte nel cadavere di un gatto brutalmente ucciso. È l’inizio di un vero e proprio giallo che porta l’indagine di Francis e di Bluebeard, un burbero gatto autoctono, a far luce su una torbida società felina. Tra guardiani di cripte, esperimenti, sette segrete e pulsioni sessuali incontrollabili, il viaggio di Francis nell’oscurità sembra non avere fine. I disegnatori caratterizzano il tutto con un’animazione pulita e corretta. I colori caldi cercano di rendere un ambiente accogliente e ordinario in cui, però, continuano ad avvenire fatti sinistri, preannunciando il dramma che esplode in scene dalla tavolozza fredda e asettica. Francis stesso vive delle vere e proprie profezie che si materializzano nei suoi incubi notturni, dove l’animazione diventa più stilizzata e audace, creativa e surreale, in netto contrasto con il resto della vicenda. Dove l’abilità figurativa trionfa è nella violenza, che non viene risparmiata o censurata: corpi di gatti squarciati, sangue versato, graffi e botte tra teppisti di strada. I gatti di Felidae vivono in un mondo nero in cui sono costantemente in pericolo e non si sa chi sarà la prossima vittima.

Il film non è perfetto. L’indagine è avvincente ma qualcuno potrebbe trovare un po’ arzigogolata la risoluzione del mistero; difficilmente si rimarrà invece delusi dal concetto dietro al finale. Il ritmo è discontinuo (niente di serio, parliamo comunque di 78 minuti) e l’animazione ha qualche rara incertezza. Il fascino, tuttavia, risiede nel contrasto che inevitabilmente avviene tra gli argomenti trattati e la forma utilizzata. Lo sfruttamento del marchio di fabbrica Disney, gli animali antropomorfi, calati in un contesto impossibile da ritrovare nei film dello studio californiano è a priori esaltante. Quando gli animatori della Golden Age americana applicano degli occhi umani a un animale lo fanno per fargli provare tutte le emozioni umane che possono. Eppure, l’orrore, la paura della morte, l’eccitazione sessuale, difficilmente finivano in quei rulli e sempre in una forma alleggerita. Più la storia stessa mette i personaggi di fronte alla realtà cruda, sudicia e disperata, più rapisce vedere la tragedia consumarsi negli occhi di chi fin da piccoli aveva la prerogativa di essere carino e farci ridere.

Felidae non è l’esempio massimo di questa tendenza, ma è uno dei più seri, uno di quelli in cui gli animali si comportano da animali e non da esseri umani, e costituisce una buona via d’accesso per il contenuto scioccante e per il genere giallo che può incuriosire. Il finale può ispirare riflessioni che non sono certo nuove ma mai meno attuali.

Felidae non fu fortunato: costò parecchio e non riuscì a essere un successo. Pensiamo anche che era il 1994 e la Disney era nel pieno del suo rinascimento (lo stesso anno de Il re leone). Non ricevette una grande distribuzione, nel resto del mondo arrivò poco e in un numero esiguo di copie, che oggi sono difficili da reperire. Gode di una discreta fama online, è diventato un piccolo cult e qualcuno si è prodigato per renderlo raggiungibile a tutti. Lo potete trovare su YouTube, completo, sia in versione americana, sia l’originale in tedesco con sottotitoli in inglese. Piuttosto che condannarlo all’oblio per una mancanza di fiducia da parte dei distributori, questa è la soluzione ideale per far sì che chiunque possa dargli facilmente una possibilità.

Infine, vi invito, appena finirete di leggere queste righe, a correre ad ascoltare la stupenda canzone di Boy George che apre il film. Magari vi verrà voglia di vederlo tutto.

 

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