È noto: parecchi tra gli investigatori letterari sono degli inguaribili epicurei.
Vien da pensare che sublimino con la buona tavola quel loro starsene in mezzo a crimini, furti e delinquenza in genere. E forse è proprio così. Prendiamo ad esempio Pepe Carvalho di Montalban, precursore in tema di giallo e cucina! O gli arancini che la “cammarera Adelina” frigge per Montalbano, che si dispera perché Livia lo vuole portare a Parigi! O ancora Nero Wolfe, chef così raffinato da competere con il suo cuoco in una gara di ricette all’ultima forchetta. E che dire della moglie del commissario Kostas Charìtos, creato dalla penna di Petros Markaris? I Gemistà della signora Adriana pare siano un’apoteosi. Insomma, la lista è lunga, ne ho citati solo alcuni. Vedremo di darle, ad ogni uscita, un’occhiata insieme.
Oggi affrontiamo il palato di un detective edonista per eccellenza: Mario Longoni detto Marlon. Un investigatore che strizza l’occhio a Philip Marlow ma in salsa prettamente meneghina.
Marlon non è un gourmet, è un mangione, una tipologia umana di cui oggi si è perso lo stampo. D’altra parte è alto 1,85 e pesa 90 chili, faceva il pugile, fa il detective, ha bisogno di energie da mettere in circolo. Marlon non si ubriaca mai. Quasi mai. Praticamente mai. Anche perché quando beve mangia e quando mangia beve. Deve fare due pranzi al giorno e devono essere completi, dall’antipasto al dolce. Gli amici, per prenderlo in giro, dicono che non ha mai imparato a cosa serve il menù: lui lo guarda e dice “Va bene”, come fosse la lista di tutto ciò che prenderà. In compenso Greta, l’avvocato con cui collabora, è anoressica: allora non si usava questo termine (e parliamo degli anni Sessanta) ma oggi sì. Ha un pessimo rapporto col cibo e mangia solo per necessità. O per tenere compagnia a Marlon. I vini di quegli anni erano pochi e robusti. C’era il Chianti che faceva la parte del gigante e i piemontesi Nebbiolo, Barolo e Barbaresco. Non c’erano i Supertuscan o i barricati, ma non mancavano i posti dove si beveva vino di qualità: uno di questi posti, a Milano, era il Bar Jamaica, dove la competenza di Elio Mainini contribuiva a crescere una generazione di avventori colti in enogastronomia. In maggioranza giornalisti o artisti. Il cibo è un passaggio trasversale in tutti i libri di Marlon e Greta, senza contare che uno dei loro migliori amici è il fornaio Alberto, artista della panificazione e innamorato di pala e forno.
Ma diamo un’occhiata alla storia che ci raccontano i due autori nella loro ultima fatica: Mannequin, giallo d’antan:
Estate 1965, i giovani, nuovi protagonisti della scena mondiale, impazziscono per i Beatles e per le minigonne di Mary Quant. A Milano i due mondi si incontrano nel mese di giugno: il quartetto di Liverpool terrà due memorabili concerti al Vigorelli, mentre pochi giorni prima una casa di moda newyorkese, fondata da una stilista italiana, Egle Bianchetti, aprirà la sua nuova sede, accompagnata dalla mannequin prediletta: Ines Corelli. Poche ore dopo la sfilata, la sarta viene trovata morta nel suo lussuoso appartamento e l’indossatrice incriminata. Per difenderla l’avvocato Greta Morandi si trova di fronte al suo vecchio mentore, il giudice istruttore Umberto Nardi. Tutti gli indizi condannano Ines, ma Greta la sostiene strenuamente, scontrandosi persino con Marlon che ha molti dubbi sulla sua innocenza. A pesare, per il detective, è anche la stanchezza di una vita al limite e la voglia di ritirarsi dalla professione, ma alla fine giocherà la sua parte. Anche perché i conti non tornano e i personaggi che ruotano intorno alla casa di moda sembrano intenti a ingarbugliare la matassa. Persino il giudice istruttore ha qualche scheletro nell’armadio. Solo un tuffo nel passato scioglierà l’imbroglio. È davvero il momento della parola fine? Forse no, perché i mazzi truccati erano più di uno. Un viaggio nella mente dell’assassino, un ritorno agli anni della guerra e un passato, con cui non si firma mai neanche un armistizio, compongono quello che potrebbe essere l’ultimo caso di Greta e Marlon.
Ed ora un brano, tratto da un dialogo tra investigatore e avvocato, al solito puntuale e frizzante come solo le penne dei due autori sanno confezionare, un estratto che ci introduce alla ricetta che vogliamo proporvi, come di consueto, alla fine dell’articolo:
“Secondo me c’è anche un’altra cosa – Il detective si alza e inizia a camminare per la stanza – A proposito, hai voglia di andare a mangiare qualcosa? Passando davanti a Giacomo ho sentito un profumino … mi sa che ha fatto il peposo”.
“A proposito di cosa? Non puoi saltare così di palo in frasca. Poi lo sai che non mangio volentieri”.
“Con me meglio che con qualsiasi altro”.
“È vero, mangi con così tanto gusto che è un piacere guardarti. Dopo andiamo. Adesso finisci il discorso”.
“Guarda, non resisto: ho lo stomaco che brontola. Facciamo così, mentre mangiamo ti racconto”.
Inutile opporsi quando Marlon si mette di impegno. Testone lui, testona Greta, ma alla fine l’annusapatte di via Corelli vince il premio per la testa più dura dell’est Milano.
Seduti alla trattoria toscana di via Donizetti, dopo la pasta e fagioli col cucchiaio in piedi e in attesa di attaccare il peposo con patate, si riparte col discorso da dove s’era interrotto.
“Prima un sorso di Chianti. Che è poi il vino dove cuoce il peposo, assieme a una robusta quantità di pepe e altre spezie assortite”…
Che dire? Un romanzo affascinante e pieno di spunti culinari, un giallo tutto da gustare in punta di forchetta.
IL PEPOSO RICETTA TOSCANA TRATTA DA “La Cucina Italiana”
Ingredienti:
Cappello del prete 1400 grammi
Pepe nero in grani 10
Olio E.V.O. qb
Vino rosso (Chianti) 500 gr.
Aglio 4 spicchi
Per preparare il peposo come prima cosa sistemate i granelli di pepe in una garza e realizzate un pacchettino chiudendolo con dello spago. Passate ora alla carne, tagliatela prima a fette spesse circa 3 cm
e poi a listarelle lunghe 4 cm. Non rifilate la carne dal grasso, a meno che non sia eccessivo. Ponete sul fuoco una pentola, possibilmente di ghisa, con olio extra vergine di oliva, aggiungete la carne, gli spicchi d’aglio sbucciati e la garza con il pepe. Mescolate e rosolate la carne per almeno 10 minuti. A questo punto versate il vino rosso e coprite con il coperchio. Lasciate cuocere a fiamma bassa per 2 ore. Togliete quindi il coperchio regolate di sale, mescolate e lasciate cuocere per altre due ore sempre a fiamma bassa, mescolando di tanto in tanto.
Quando il sughetto si sarà ritirato eliminate la garza con il pepe. Il vostro peposo è pronto, assaggiate la carne per verificarne la cottura, se dovesse essere necessario regolate di sale e servitelo.
Il Peposo è una ricetta toscana, tipica dell’Impruneta, un paesino alle porte di Firenze. Simile a uno spezzatino, ma con molte sfaccettature diverse. La carne è cotta nel Chianti e risulterà speziata grazie all’aggiunta di pepe nero.
Il peposo è conosciuto anche come peposo alla fornacina, infatti in passato questo veniva sistemato nelle ciotole di terracotta e la cottura avveniva molto lentamente, all’imboccatura delle fornaci. Cosiché i fornacini, commissionati da Brunelleschi per la realizzazione dei mattoni che servivano a realizzare la sua grandiosa cupola al centro di Firenze, potevano rifocillarsi dopo le loro fatiche di artigiani.
Buon appetito e … buona lettura con Marlon&Greta!