Una vita abbastanza
Per salire sul palcoscenico di un libro ci vuole coraggio, esercizio, una buona dose ironia e autocontrollo da recitare sulla carta. Occorre, in poche parole, essere grandi attori per interpretare se stessi. Così questo romanzo, che è la prima parte di una ricca epopea esistenziale, diventa un vero e proprio teatro, dove la vita è tutto: la sala, gli attori, il regista, il pubblico, perfettamente intervallati dalla Filarmonica dei ricordi. Perché si sa, quando sul palcoscenico qualcosa non quadra, è allora che attacca orchestra, con quella melodia che parla al cuore, che vive di passato, che è memoria di cose semplici e genuine. La vita che Piermaria Cecchini ci racconta non si fa in silenzio, è l’opera prima che tutti recitiamo a braccio senza conoscerne il copione. Una rappresentazione che vale la pena di essere raccontata, sempre e comunque. La sua – di attore, regista, sceneggiatore, uomo semplice e appassionato – è una vita abbastanza… Fantastica, eccezionale o semplicemente abbastanza… Bella o brutta non importa, ma abbastanza… Da non essere chiusa nel cassetto delle cose mai raccontate. Insomma, una vita tutta da mettere in scena sul palco della pagina, che affida al bianco luminoso del foglio il compito di accendere le parole più vere. Una storia che alla fine ci porta tutti sul palcoscenico, senza nemmeno farci accorgere che in platea non è rimasto più nessuno.
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“Se avessi avuto dei figli, questa sarebbe stata la favola che gli avrei raccontato. Mi consola il fatto che ogni volta che leggerete anche una sola riga di questo romanzo io non mi sentirò mai solo”.

Inizia così Piermaria il racconto della storia della sua vita, anzi della prima parte della storia della sua vita e, come un presentatore prima dell’ingresso degli attori sulla scena, dopo questa breve introduzione, ringrazia.

In quel “Grazie”, per nulla scontato, per nulla scenico, per nulla plateale, c’è tutta la semplicità, l’umanità e oserei dire la genuinità di cui sono intrise le oltre trecento pagine di vita a seguire. Una vita che Piermaria racconta scegliendone gli episodi più rappresentativi, quelli che in qualche modo ne hanno segnato le tappe principali, diventando pietre miliari da ricordare, da amare, da rispettare ma soprattutto da trasmettere alle generazioni future. Stralci di vita, spaccati di un’epoca già oggi sconosciuta, vissuti nell’Italia degli anni ’60 e ’70: gli anni delle Fiat, della pasta al sugo, dei primi telefoni e dei televisori in bianco e nero, dei primi cinematografi, delle sale patronato, dei motorini con cui farsi notare e l’immancabile pacchetto di sigarette arrotolato sulla manica della magliette; gli anni in cui le minacce erano promesse, e le punizioni non erano mai promesse ma solide certezze. Gli anni in cui nulla era dovuto, ma tutto prima ancora di essere sognato doveva essere meritato e guadagnato. Anni in cui si insegnavano e si praticavano i Valori, quelli con la V maiuscola, primi fra tutti il rispetto, l’onestà, la lealtà. Anni in cui la stessa vita aveva Valore: senza di essa infatti nessun sogno poteva essere sognato, nessun palcoscenico poteva essere calcato, nessuna storia raccontata e, semplicemente, nessuna vita poteva essere vissuta.

Un romanzo che è un inno alla vita, e insieme un documentario di un’Italia sui cui la società di oggi, pur fingendo spesso di dimenticarsene, fonda le proprie radici. Un romanzo che scrive del passato in un tempo presente, per consegnarlo al futuro.

In un susseguirsi di righe ricche di memoria, scritte con sagacia e ironia, ma sempre rispettose del Dono ricevuto, Piermaria compone un romanzo che assomiglia proprio, alla vita: talvolta è uno scroscio di ilarità, altre un copione drammatico, altre ancora poesia; assomiglia ai moti d’animo più autentici dell’uomo Piermaria, è quell’attore che non ha bisogno di maschere, quell’uomo che – consapevole di sé – onora, loda e osanna quella vita che gli è stata data e che, anche se gli ha riservato qualche imprevisto, anche se l’ha spesso messo sotto esame, l’ha reso fiero di essere, semplicemente, un Uomo.

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