Una stella senza luce
Torino, 1935. Il lunedì di lavoro di Anita inizia con una novità: Leo Luminari, il più grande regista italiano, vuole portare sul grande schermo uno dei racconti gialli pubblicati su «Saturnalia», la rivista per cui lei lavora come dattilografa. Il che significa poter curiosare dietro le quinte, intervistare gli attori e realizzare un numero speciale. Anita, che subisce il fascino della settima arte, non sta nella pelle. L’entusiasmo, però, dura solo pochi giorni, finché il corpo senza vita del regista viene ritrovato in una camera d’albergo. Con lui, tramonta il sogno di conoscere i segreti del mondo del cinema. Ma c’è anche qualcosa che inizia in quell’esatto istante, qualcosa di molto pericoloso per Anita. Perché dietro la morte di Luminari potrebbe nascondersi la lunga mano della censura di regime. Anita e il suo capo, Sebastiano Satta Ascona, devono evitarlo: hanno troppi segreti da proteggere. Non rimane altro che indagare, ficcando il naso tra spade, parrucche e oggetti di scena. Tra amicizie e dissapori che uniscono e dividono vecchi divi, stelle che, dopo tanti anni lontano dai riflettori, hanno perso la luce. Ogni passo falso può essere un azzardo, ogni meta raggiunta rivelarsi sbagliata. Anita ormai è un’esperta, ma questa volta è più difficile. Forse per colpa di quell’incubo che non le dà pace, un incubo in cui lei indossa l’abito da sposa, ma nero. Perché i giorni passano e portano verso l’adempimento di una promessa, anche se si vuole fare di tutto per impedire l’inevitabile.
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Recensione a cura di Paola Varalli

Lo devo confessare, all’inizio ero un po’ perplessa, forse perché sono fan di Vani Sarca, la ghostwriter uscita dalla prolifica penna di Alice basso, e qua, invece, mi sono ritrovata catapultata nella Torino degli anni trenta, in pieno regime fascista, insieme a una segretaria davvero sui generis: Anita Bo, giovane dalle rare doti di intuito e intraprendenza, devota al suo capo Sebastiano Satta Ascona (pure troppo) e brillante femminista ante litteram: sua madre la vorrebbe felice e sposata ma lei sembra rifuggire l’idea come la peste.
Delusione? Ebbene no! Mi sono appassionata a questa storia davvero singolare.
A Saturnalia, la rivista in cui lavorano, la minaccia della censura, sempre in agguato, fa sì che vengano usati due pesi e due misure. Da un lato Satta Ascona, capo di Alice, inventa storie politicamente corrette insipide e noiose per non incorrere in sanzioni di regime, ma dall’altro coadiuvato dalla brillante dattilografa, dietro lo pseudonimo di un autore d’oltre oceano, inventa gialli di denuncia sociale; storie in cui, come si suol dire, chi ha orecchie per intendere… intende benissimo. Le vicende raccontate possono essere riportate paro paro nella loro Torino, direttamente in Italia, ben nascoste sotto l’aura statunitense che dà loro una patina di asetticità, ma solo apparente. Divertente sotterfugio inventato per dare scacco al becerismo di regime che vorrebbe tutti gli “italiani brava gente“ omologati a colpi di ramazza mentre nascondono il male sotto il tappeto, insieme alla polvere.
La cifra stilistica di Alice Basso però, nonostante il cambio di scenario, rimane inconfondibile: ironia e scrittura brillante, dialoghi frizzanti e situazioni divertenti al limite del paradosso. Anita, la segretaria che se ne esce con esclamazioni tipo “santa polenta fritta” a un certo punto della narrazione rischia anche di diventare attrice, peccato che il regista muoia insieme ai suoi sogni di gloria. Pazienza! Tocca investigare, scoprire chi lo ha ammazzato, e allora via a intervistare stelle del cinema che hanno perso la luce e attori bellocci che nascondono segreti.
E il finale sarà all’altezza di cotanta dattilografa? Di più non posso rivelare, vi tocca leggerlo.

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