Sperando che il mondo mi chiami
Carolina Altieri ogni mattina si sveglia all’alba per andare al lavoro. Indossa abiti impeccabili, esce di casa, sale su un autobus e accende il cellulare sperando che una scuola la chiami. Carolina fa il mestiere più bello del mondo, ma è ancora, e non sa per quanto, una maestra supplente, costretta a vivere alla giornata senza poter mai coniugare i verbi al futuro, né per sé né per i suoi allievi. Attraverso ore che scorrono in un continuo presente, scandito solo dalle visite a una tenerissima nonna e dall’amore travolgente e imperfetto per Erasmo, Carolina racconta il rocambolesco mondo della scuola, popolato da pendolari speranzosi e segretarie svogliate, e la sua passione per i bambini, che tra sorrisi impetuosi, inaspettate verità e abbracci improvvisi riescono sempre a sorprenderla e a insegnarle qualcosa. E sarà proprio questa passione a costringerla a imprimere una svolta alla sua vita eternamente sospesa e a cambiarle il destino.
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Recensione a cura di Manuela Fontenova

Inizio questo romanzo con un’idea: sarà la solita storia leggera, una giovane insegnante che tra mille peripezie, decide di dare una svolta alla sua vita, e magari alla fine trova pure l’amore. Mi ritrovo dopo poco, completamente disorientata. Scorrendo le pagine entro in un mondo fatto di vita vera, di sentimenti. Esperienze e volti che l’autrice ci racconta nel flusso incalzante della sua narrazione, intervallati da tanti dialoghi, così spontanei e naturali da sentirmi parte attiva delle conversazioni. Mi ritrovo a leggere un meraviglioso romanzo che ruota attorno al tema della precarietà, della scuola di oggi e di ieri, della vita com’era, com’è e come dovrebbe essere.

Carolina è una giovane insegnante precaria, ha 28 anni, abita a Roma con i suoi genitori, anch’essi insegnanti, ormai in pensione. Ha scelto di fare uno dei lavori più belli del mondo, ma forse anche tra i più difficili, sicuramente tra i più precari. Tutte le mattine all’alba esce, telefono in mano, pronta a ripetere quella parola che ormai caratterizza le sue giornate: “Libera”.

“Tutte le mattine vado a Piazza Venezia o alla stazione Termini perché da lì posso raggiungere il mondo. Sperando che il mondo mi chiami”

La sua vita è un salto continuo, il suo compito è “tappare” quei vuoti lasciati da una maestra assente, riempire il posto di altri per un giorno, due, se va bene un mese, e cercare di non affezionarsi troppo a quegli occhi vivaci che la guardano come se da lei dipendessero le sorti dell’universo.

“Vorrei portarvi sempre con me ma so che tra qualche giorno mi odierò per avervi dimenticati tutti ancora una volta e per aver desiderato, anche solo per un istante, che la vostra maestra sacra e santa si ammalasse di nuovo. Magari solo un raffreddore forte”.

Tra una supplenza e l’altra c’è spazio per gli affetti; il suo amore lontano, fuggevole e instabile come il lavoro, Erasmo: ma chi è poi quest’uomo? Fa davvero bene al cuore di Caterina? Perché il suo cuore è così grande da contenere tutti i bimbi che abbraccia con gli occhi, sapendo di dover lasciare. Una ragazza che ama e sogna di essere amata, forse non pienamente compresa dalle passate generazioni della sua famiglia, che ormai non possono sapere quanto sia ardua la vita dell’insegnante. Ecco che con un velato (ma forse nemmeno troppo) tono polemico, la Venturo fa dei paragoni tra la scuola di un tempo e quella di oggi, riflessioni sulla scuola prima di internet, quando un diploma bastava ad aprire la porta di una classe, e a restarci per sempre dietro a quella tanto agognata cattedra.

“La scuola delle mie nonne, di mio padre e di mia madre, non esiste più, siamo rimasti solo noi che l’abbiamo frequentata”.

Così le racconta la nonna Fortunata, quasi cent’anni di aneddoti da condividere con la nipote prediletta: in Sicilia camminava tra la miseria e l’analfabetismo, cercando di raccogliere piccoli gruppi di studenti che avrebbero così avuto un’arma contro la povertà; perché la scuola non si dice, si fa.

Ma la scuola è diventata una gara a punti, un curriculum si scrive con la calcolatrice prima che con le parole. Lo sa bene Caterina che ogni mattina viene investita dal turbine di pendolari che lasciano letti ancora non riscaldati dal tepore del sonno per raggiungere la Capitale, ore di viaggio per un incarico che male che vada, regalerà qualche punto in più in graduatoria.

Caterina ci regala più di un anno della sua vita senza orari e senza sicurezze, ci spiazza con una dolcezza che non esita a lasciar spazio alla tenacia. Ho letto bellissime parole nel libro: mi sono persa dietro alla voce dolce di questa giovane donna, ho riconosciuto in lei i tratti di persone a me care, bravissime insegnanti, alla ricerca di una sedia che non sia solo da tenere in caldo. A voi care amiche ho pensato tutto il tempo, a voi che siete esattamente il modello di istruzione che vorrei per mio figlio… Sperando che il mondo vi chiami.

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