Recensione a cura di Manuela Fontenova
Che grande narratore che è “Il Vitali” per dirla al modo del protagonista di questo nuovissimo e godibilissimo romanzo. Non siamo più a Bellano, non ci sono morti ammazzati e carabinieri affaccendati a risolvere il caso. Siamo in provincia, si resta in Lombardia ovviamente e si presume siano gli anni ‘60/70. Ma chi è questo protagonista? Un uomo di mezza età tutto casa e bottega, e non è un modo dire eh! Già perché il nostro uomo si divide tra il negozio di ferramenta, che ha tirato su con anni di fatiche e la casa che si trova al piano superiore dello stesso edificio. Che gran soddisfazione questa attività: preciso, puntuale, ligio al dovere, i clienti lo sanno bene che nel suo negozio possono trovare solo il meglio. E insomma il lavoro va alla grande ma la famiglia? La famiglia mica tanto, ma non per la moglie no, anzi, una brava donna dedita forse un po’ troppo alla prole, ma buona compagna di vita. No il problema sono i figli, tre per l’esattezza. C’è l’Alice che voleva studiare, ma una femmina deve metter su famiglia, va bene lo studio ma troppi progetti fanno male, che il buon uomo lo sa qual è la soluzione: alla donna che troppo vuole basta metterle un figlio nella pancia così da tenerla impegnata e toglierle ogni fantasia di fare altro. Ma l’Alice mica è una facile, fa la maestra, vuole la laurea, certo un marito poi lo trova…. Solo che “quell’Anselmo lì…”. Ecco una frase che leggerete spesso in quest’avventura, il sospirato “quel … lì”, metto i puntini perché il soggetto varia in base alle situazioni e a pronunciarla è proprio sua moglie. Quasi profetica, piazzata ad arte tra un sospiro e un altro con la fastidiosa capacità di mandare in subbuglio le poche certezze del capofamiglia.
Ma torniamo ai figli: c’è l’Alberto che al contrario della sorella di libri non vuol saperne e difatti a scuola è un disastro. Ma l’azienda in famiglia deve restare, e il giovane scapestrato da raddrizzare ha il destino già segnato… se non fosse che “quell’Alberto lì…”.
Terzo e ultimogenito, nato settimino, è Ercole, noto a tutti come l’Ercolino. Magro e piccolo con una fame da cavallo, sembra un ospite capitato per caso in famiglia. Lui la passione dello studio l’ha presa dall’Alice ma strano è strano, non c’è che dire. D’altronde non c’è bisogno che ve lo dica… “Quell’Ercolino lì…”
E insomma uno si sposa, fa tanti bei progetti e poi si ritrova con una banda di matti che nemmeno il tempo per un pisolino si trova a forza di stargli dietro! Sono grandi ormai, dovrebbero andare per la propria strada ma a quanto pare la mamma chioccia è sempre pronta a risolvere i guai di tutti con l’aiuto del marito che manco a dirlo, non si può mica rifiutare, sono pur sempre figli suoi! Non c’è un momento di tranquillità per il nostro amico alle prese con la vita quotidiana, gli ordini, i clienti, le strategie di vendita e una famiglia che è un’inesauribile fonte di problemi.
Ma perché ve la sta raccontando così? Perché è così che è scritto: tutto in prima persona, un flusso continuo fatto di racconti, aneddoti e dialoghi mai virgolettati, semplicemente inseriti in un parlare che non conosce regole, spazio e tempo. Si può solo essere travolti dalla grande prosa del Vitali che a mio avviso con “Sono mancato all’affetto dei miei cari” conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, di essere sempre una spanna avanti, di arrivare là dove molti ambiscono con una naturalezza che sembra tale ma che credo essere frutto di una capacità narrativa senza uguali.
Prendetevi qualche ora, dimenticate il cellulare, il pc, la tv, semplicemente regalatevi il piacere di una lettura di qualità e sorridete, che per pensare alle incombenze della vita c’è sempre tempo.