La pioggia furiosa fa da scenario a questo romanzo breve che parla di legami famigliari, di menzogne, di ipocrisia, di territorio. Tre fratelli legati da un rito, quello di una cena commemorativa nell’anniversario della morte del padre. Tre fratelli diversi uno dall’altro: Carmine, cinquantenne, chiamato Il Sultano dalla sorella, capo famiglia designato, che si è adeguato al mutare dei tempi, vuole scendere in politica perché capisce che potrà meglio tutelare gli affari di famiglia andando dove le decisioni si prendono. Papele, fratello di mezzo un anno meno di Carmine, testa rasata per fare più paura, quello al quale si possono affidare i “lavori sporchi” che non si tira indietro e che, nel racconto verrà spiegato, dimostra di sapere perfettamente quanto consolidare la paura serva per consolidare il potere. Ivano, fratello più giovane nato nove anni dopo Papele, tenuto lontano da certe cose, quello che ha potuto studiare, perfino fisicamente diverso dai fratelli. Complice il vino bevuto, Ivano si apre con i fratelli, contando sulla loro accettazione in nome dell’amore che li lega. Fintanto che la soluzione è quella di un allontanamento di Ivano, non ci sono problemi, la facciata è salva, ma quando Ivano cambia idea e decide che è meglio continuare a vivere nel luogo in cui è nato, e combattere per essere accettato, il legame fra fratelli non è più sufficiente per comprendere e supportare, le conseguenze per il potere tragiche, l’entrata in politica di Carmine sicuramente cancellata. Proprio Carmine proverà a convincere il fratello più giovane spiegandogli che proprio no, non è possibile, che troppi sono gli interessi in gioco, che solo andando via, allontanandosi le cose potranno continuare. Papele, meno diplomatico non capisce, non accetta che Ivano non sia come deve essere. In un susseguirsi di situazioni, ottimamente descritte da Andrej Longo, la tragedia troverà il suo compimento, lasciando in chi legge un retrogusto amaro, compensato in parte dalla conclusione che in qualche modo sancisce una sorta di “contrappasso”. La scrittura è lucida, incisiva, il romanzo ha un ritmo placido, l’uso del dialetto calibrato e comprensibile. La capacità di descrivere i rapporti famigliari, le aspettative della società, magistrale. Un libro cupo e doloroso che accompagna le riflessioni su quanto una parte della società sia ancora fortemente ipocrita e incapace di accettare il diverso da sé.
Consigliato a chi è in cerca di storie brevi con una forte componente sociale.