Il romanzo di Beppe Perrier mi ha lasciato addosso un misto di angoscia e claustrofobia. Perdersi nella mente di una persona debole ma che, attraverso la sua debolezza, approfitta di altri mentre viene abusato a sua volta, ribalta, continuamente, i ruoli di vittima e carnefice.
Non è facile identificarsi e voler bene al personaggio principale del romanzo, Marcello, ma non si riesce nemmeno a solidarizzare con le presunte vittime che prima di diventarlo erano, effettivamente, dei carnefici. Carnefici sentimentali, oserei dire.
Il flusso di coscienza di Marcello che, man mano che prosegue il romanzo, diventa sempre meno lucido è più opprimente, ci fa scivolare nella pazzia del personaggio. Noi con lui ci perdiamo per le vie nebbiose e decadenti di Parigi, non più Ville Lumière, ma quasi un lugubre labirinto in cui Marcello si rifugia per esiliarsi dal mondo e forse anche un po’ da se stesso.
Ma chi si macchia di un delitto non può sfuggire al proprio castigo e per liberarsi dalla propria coscienza non resta altro che sprofondare nel sogno, nelle droghe o nella pazzia.
Un romanzo di non ritorno che lascia un senso di amarezza profondo.