Inserire questo libro in un genere letterario è quasi un sacrilegio, perché non si può imbottigliare il mare, lo sappiamo tutti. Quando mi chiedono di che cosa parla, sono in grado di rispondere solo: parla di tutto. In Pomodori verdi fritti al Caffè di Whistle Stop troviamo l’amore, l’odio, la vita, la morte; troviamo l’amicizia, il senso della famiglia con le relative difficoltà che sono insite in ogni rapporto di coppia; troviamo la violenza, il razzismo ma anche la solidarietà e la bontà. A primeggiare su tutto, però, troviamo la forza delle donne: un’energia vitale che travolge e sconvolge, senza mezzi termini.
La storia inizia quando Evelyn Couch va con il marito (Ed) a trovare l’anziana e indocile suocera, da poco ricoverata presso la Casa di Riposo di Rose Terrace, in Alabama. Quando arrivano, lei riesce a sfuggire a quella fastidiosa situazione, lasciando Ed in camera e rifugiandosi nel salottino dei visitatori per dedicarsi ai suoi canditi. Appena si siede, però, viene agganciata da un’attempata signora che inizia a parlarle:
“Mi chieda in che anno qualcuno si è sposato, con chi si è sposato e che cosa indossava la madre della sposa, e nove volte su dieci saprò dirglielo, ma accidenti a me, proprio non saprei dirle quand’è che sono diventata così vecchia.”
Ecco, questo breve estratto è solo una piccolissima anticipazione del turbinio di riflessioni scatenate dalla lettura di questo libro. Io, per esempio, mi sono ritrovata molto in questa frase:
“Mi sembra che la vita mi sia passata accanto. Oh, signora Threadgoode, sono troppo giovane per essere vecchia e troppo vecchia per essere giovane!”
In un saltare continuo ma piacevole tra l’inizio e la fine del Novecento, l’autrice presenta numerosi personaggi che rimarranno scolpiti per sempre nel cuore dei lettori. Inizia proprio con Evelyn, una donna in apparenza fragile che scopre, attraverso l’amicizia con la signora Threadgoode, quanta forza ci sia dentro di lei e la tira fuori, sorprendendoci con una metamorfosi magistrale. Muta di continuo anche la voce narrante e questo stile di scrittura, usato egregiamente, dona un ritmo davvero piacevole al romanzo.
Virginia Threadgoode (Ninny), la dolce anziana che rivoluziona il mondo di Evelyn, porta dentro di sé un bagaglio immenso che vuole donare a qualcuno prima di morire, per non fare svanire nel nulla le esistenze che tiene ancora in vita grazie al suo ricordo. Attraverso la sua solitudine possiamo percepire appieno lo sconforto di chi, pur avendo uno spirito ancora giovane, è arrivato a fine corsa e non può che prenderne atto, cercando di lasciare quante più tracce possibile del suo passaggio e delle proprie memorie. Quindi, quando la signora Threadgoode incontra quella strana donna nel salottino della struttura che la ospita, le viene spontaneo avvicinarla, scegliendola come custode delle sue preziosissime storie. All’inizio, Evelyn è un po’ infastidita e vorrebbe dedicarsi ai suoi dolci in santa pace, ma pian piano si appassiona a quei racconti e torna a trovarla numerose volte, traendo da quegli appuntamenti uno stimolo inaspettato. In questo rapporto speciale ci sono due generazioni a confronto che, a discapito dei tempi che cambiano e stordiscono, si prendono per mano supportandosi a vicenda.
Ninny le parla di un Caffè, acquistato da due donne in uno sperduto centro dell’Alabama, di fronte alla fermata del treno. I loro nomi sono Ruth e Idgie e, credetemi, dopo aver letto questo libro non le dimenticherete mai più.
Ruth è una donna educata, tranquilla e dolce.
Idgie invece è una selvaggia, amante dei vizi e poco propensa a rispettare le norme di cordiale convivenza, sia all’interno della famiglia che al di fuori. Ma, nonostante questo esuberante temperamento, possiede un cuore immenso e il suo altruismo trasforma il Caffè di Whistle Stop in un punto di riferimento per tutte le anime perse, che lì trovano sempre un pasto caldo e qualche parola di conforto.
Molto sentito è il problema del razzismo, che in quegli anni dilagava incontrollato con risvolti drammatici. Non dobbiamo dimenticare la presenza di numerosi gruppi appartenenti al Ku Klux Klan, una vera piaga che andava a gravare su una situazione resa già critica dalla Grande Depressione. Viaggiando tra queste pagine vi verrà voglia di abbracciare Big George e tutte le persone che hanno subito enormi ingiustizie per il colore della loro pelle; sentirete l’istinto di chiedere perdono per tanta crudeltà. Ricordo che negli anni Novanta, quando uscì il film tratto da questo romanzo, i professori ci portarono al cinema a vederlo e tornai a casa con l’anima in subbuglio. Credo che le scuole debbano essere il nuovo punto di partenza per una maggiore consapevolezza, e ciò non significa indorare la pillola cancellando il passato; tenere vivo quello che è stato affinché certi drammi non avvengano mai più, ecco cosa bisogna fare. A proposito del film, che amo alla follia, non capisco perché sia stato storpiato il rapporto affettivo che c’è tra Idgie e Ruth; nel romanzo è chiaro che tra le due ci sia un amore che va oltre la “semplice” amicizia. Fosse stato girato ai nostri giorni, sono certa che la loro relazione sarebbe stata il fulcro di tutta la pellicola. Ipocrisie antiche e moderne, mode che si preoccupano di tutto, tranne che dell’essenziale.
DISCLAIMER! Questo libro contiene molte delle parole che, oggi, una fetta di mondo vorrebbe sostituire con altre meno impattanti. Quindi, se siete particolarmente suscettibili, lasciate perdere. Detto questo, mi permetto una digressione. Vi piacerebbe far credere alle nuove generazioni che lo sterco sapeva (e sa?) di cioccolato? Non credo, anzi, spero di no. Lasciate che le opere degli autori arrivino ai giovani per come sono state scritte, non mortificate i romanzi e anche voi stessi con banalità prive di fondamento. Questo libro, a tratti, è un pugno nello stomaco? Certo che sì, ma è proprio questa la sua forza e non scuoterebbe le nostre coscienze se ne venisse alterata la forma. Non possiamo modificare la Storia, altrimenti ogni passo compiuto in avanti sarà reso vano. Imparare a usare la testa… è questo che dobbiamo insegnare ai nostri figli.
Torniamo in Alabama! Tra le presenze da abbracciare troviamo anche Smokey Phillips, un vagabondo molestato dalla vita che nel Caffè di Whistle Stop si è sempre sentito a casa e che non ha mai smesso di amare Ruth, Idgie e quel posto così speciale. È proprio nel giorno del suo arrivo, dopo un episodio poco piacevole, che Idgie, per consolarlo, gli racconta una storia, rimasta memorabile sia nel libro che nel film:
“Un novembre, un enorme stormo di anatre, almeno una quarantina, andarono a posarsi proprio in mezzo al lago e nel pomeriggio, mentre nuotavano tranquillamente, successe quella cosa strana. La temperatura scese di colpo e l’acqua si ghiacciò. Divenne solida come pietra nel giro di tre secondi.” A questo punto, Smokey chiede se le anatre siano morte e Idgie risponde: “È questo il punto. Non morirono, ma volarono via e portarono con sé il lago. E adesso il nostro lago sarà da qualche parte in Georgia…”.
Un plauso all’autrice per la capacità di far convivere nello stesso romanzo scene drammatiche con attimi colmi di ironia e leggerezza. Fannie Flagg ci mostra tutte le sfumature dell’animo umano senza aggiungere fronzoli ma raccontando semplicemente la vita. Questo libro vi regalerà la sensazione di essere proprio lì, immersi in atmosfere uniche e in compagnia di personaggi che vi auguro di incontrare presto, assaporando ogni pagina come si farebbe con i pomodori verdi fritti di Whistle Stop.