Attraverso una scrittura scorrevole, semplice ed essenziale Francesca Marone ci racconta una storia che sa di mancanza. Protagonista di “Poche rose tanti baci” è il rapporto tra un padre freddo, severo e una figlia che non si è mai sentita amata da lui. La storia si snoda attraverso continui flashback temporali che conducono il lettore tra passato e presente. Ed è così che conosciamo Maria Giulia, la quale, pagina dopo pagina, si scopre, regalandoci momenti di autentica rivelazione.
Maria Giulia, ormai donna, si trova a dover fare i conti con le proprie paure. Al padre ormai malato non rimane tanto tempo da vivere e il solo fatto di rivederlo e parlargli la trascina nello sconforto. È lei stessa a sottolineare più volte nel libro che ci sono ferite dell’infanzia da cui non è possibile guarire perché segnano inevitabilmente l’adulto che verrà. Quella continua ricerca d’amore e comprensione verrà proiettata sugli incontri, sulle persone che ognuno, prima o poi, affianca lungo il corso della vita.
Maria Giulia non trova pace, non sa darsi risposte coerenti e accettabili circa la freddezza del padre. Il suo travaglio interiore raggiunge l’apice quando scopre casualmente delle lettere che egli scriveva a una donna: Milena. È in quell’attimo, nel tentativo di invadere la vita privata del padre che lui si rivelerà come un uomo che non ha mai conosciuto: paziente e amorevole. E allora in cosa lei ha sbagliato? Perché i momenti migliori con suo padre erano quelli in cui regnava il silenzio?
Ho amato molto questo libro introspettivo e riflessivo in cui si entra in empatia molto facilmente con la protagonista.